Cesare cercasi


Frontiera, contrabbando e terrorismo sono vecchi arnesi. Per la prima, «è bene, tuttavia, ricordare subito che una linea di frontiera (così come è indicata convenzionalmente su una carta geografica), non appena viene studiata sul terreno risulta essere una zona e non più una semplice linea. Una linea di confine separa due giurisdizioni; ma, sia nel caso che le due comunità, divise l’una dall’altra, siano sostanzialmente simili fra loro, come la Francia e l’Italia, sia nel caso in cui fra l’una e l’altra esistano notevoli disuguaglianze, come fra l’India e il Tibet, il punto di massima differenziazione dev’essere ricercato vicino al centro di gravità di entrambi i paesi e non lungo la frontiera dove essi si uniscono. Per fare un esempio facilmente comprensibile, là dove l’esistenza di un confine è messa fortemente in rilievo da tariffe doganali che colpiscono esportazioni e importazioni, è normale che molta gente – al di qua e al di là della frontiera – si dedichi al contrabbando» [Owen Lattimore, La frontiera, Torino 1970, p. 406, ed.or. 1962].

Oggi tra Medio Oriente e Europa l’esistenza di un confine è messa fortemente in rilievo da guerra e povertà da un lato, e pace e ricchezza dall’altro. Il contrabbando di esseri umani dà enormi profitti illegali, come quelli delle multinazionali che fuggono il fisco attraverso confini messi fortemente in rilievo da regimi fiscali volutamente molto diversi. E come quelli del terrorismo, che passa confini messi fortemente in rilievo da scontri di civiltà inventati dopo la guerra fredda, in mancanza d’altro.

La logica multinazionale del terrore è nota dal 1975, «quando un gruppo di terroristi sconosciuti fecero irruzione nel palazzo dell’OPEC a Vienna e sequestrarono l’intera rappresentanza dei più importanti paesi produttori di petrolio» [Walter Laqueur, Storia del terrorismo, Milano 1978, p. 281, ed. or. 1977]. «All’inizio fu detto che i terroristi di Vienna fossero palestinesi, spinti dalla disperazione e dalla povertà, che dimostravano contro la perdita della loro madre patria. Poi venne fuori che l’unità era diretta da tedeschi e latino-americani; potevano anche esserci stati degli arabi tra di loro, ma non si trattava né di poveri né di disperati. Il loro capo era un venezuelano, “Carlos”, addestrato a Mosca e legato ai servizi segreti cubani di Parigi. Il raid non era certamente un’azione spontanea, e non era del tutto chiaro chi stesse dietro le quinte […] Ma qual’era il suo scopo […]? Il terrorismo moderno con i suoi legami con Mosca e l’Avana, con i suoi rapporti con Libia e Algeria, mostra una certa rassomiglianza con il carattere anonimo di una multinazionale, e quando una multinazionale sponsorizza cause patriottiche bisogna prendere le precauzioni del caso» [p. 282]. E «da ultimo, e peggio, il Medio Oriente ci ricorda che la globalizzazione ha il suo lato buio. Che cosa sono Stato Islamico e al-Qaeda se non multinazionali del jidaismo?» [“Beware of sandstorms”, The Economist, June 20th-26th 2015, p. 62].

Nuova è la scala globale dei profitti illegali, indifferenti a confini disegnati su e da stati nazionali non più sovrani anche perché tecnologie e interessi che ne chiudono le frontiere cedono a tecnologie e interessi che quelle frontiere aprono, anche a forza. Mercati e profitti si sono sostituiti a leggi e cittadinanze, bloccandone lo sviluppo verso gli accordi internazionali sui diritti e doveri umani, che includono leggi e cittadinanze.

La domanda è: «Se la minaccia di una guerra globale è finita con la Guerra Fredda e le guerre fra stati sono virtualmente estinte, da dove viene la violenza in questo “caotico” mondo? La troviamo, travolgente, negli stati-nazione […]. Il traffico di armi tra stati può essere molto diminuito dopo la Guerra Fredda, ma è cresciuto drammaticamente per le piccole armi e con ogni probabilità alimenta guerre sociali endemiche in molti stati. Secondo lo Small Arms Survey, un progetto indipendente di ricerca del Graduate Institute of International Studies a Ginevra, il commercio di piccole armi per civili ha di recente superato quello delle piccole armi militari. È un fattore di sviluppo delle società private di sicurezza in aree sia avanzate sia sottosviluppate dell’economia globale, e dopo la Guerra Fredda singoli e imprese hanno evidentemente iniziato a finanziarsi buona parte dei propri bisogni di sicurezza» [Thomas P.M. Barnett, The Pentagon’s New Map. War and Peace in the Twenty-First Century, New York 2005, p. 86, 1 ed. 2004]. Strategic researcher e professore allo US Naval War College, nel 2004 Barnett additava violenza privata e terrorismo, con la loro logica di mercato e impresa multinazionale. Ma, ammoniva Laqueur nel 1977, «quando una multinazionale sponsorizza cause patriottiche bisogna prendere le precauzioni del caso» [p. 282].

Appunto. È quel che dobbiamo fare in Europa.

Laqueur precisava infatti che «è quasi impossibile ottenere una cooperazione internazionale contro il terrorismo fin quando alcuni stati sovrani sponsorizzano, addestrano, finanziano, equipaggiano e offrono dei “santuari” ai gruppi terroristi. […] D’altra parte quando succedono dei disastri ben più grandi provocati dal terrorismo internazionale, la pressione perché “si colpisca al cuore” il terrorismo diventa schiacciante: questa è la dialettica del terrorismo internazionale» [p. 293]. «Una volta creatasi una situazione di emergenza le contromisure possono provocare un aumento del controllo statale e della repressione fino ad oggi del tutto sconosciuto in qualsiasi società democratica, tranne che in tempo di guerra; alla lunga potrebbe significare la fine dei diritti sovrani del cittadino […]. Si creerebbe allora una situazione pericolosa quanto una guerra totale, e non c’è dubbio quale sarebbe la risposta se si dovesse fare una scelta tra la sopravvivenza da una parte e la restrizione delle libertà civili e dei diritti sovrani dall’altra. […] Se si dovesse creare questa situazione, sarebbe necessaria una più grande chiarezza sulle radici e il carattere del terrorismo per fronteggiarne la minaccia senza cadere nel panico o nell’isterismo» [pp. 303-4] .

Appunto. È quel che dobbiamo fare in Europa.

Invece Front National in Francia e destre estreme in Europa eccitano panico e isterismo, e non a caso vogliono la fine dell’euro, nostra sola difesa mentre facciamo «una più grande chiarezza sulle radici e il carattere del terrorismo». L’antica verità che si può fare soldi senza guerra ma non guerra senza soldi, si aggiorna nella strategia inclusiva proposta da Barnett contro la minaccia terrorista che, «se non posso condividere il tuo benessere, lo perderai anche tu» [p. 298]. Inclusione in ciò che «è sacro in America, non il nostro suolo, ma la nostra unione, che può e deve essere estesa – anzitutto in termini di sicurezza collettiva, poi di legame economico e infine di comunità politica» [p. 297]. «Probabilmente l’indice più importante di fallimento di questa strategia sarebbero i segnali che il mondo non acquista più i titoli del tesoro americani. Per molti aspetti, questo è il solo vero sondaggio nella guerra globale al terrorismo perché, come sempre, il denaro parla. Dieci anni fa solo un quinto dei buoni del tesoro USA era in mani estere, oggi [2004] è circa due quinti. Quest’aumento esprime la fiducia di una mossa vincente non solo economica, ma anche garanzia ultima di sicurezza complessiva globale» [p. 378].

Barnett riflette sul ruolo globale USA dopo la guerra fredda, ma già allora e come freno alla sua deriva nucleare, in Europa abbiamo attuato una strategia di inclusione di grande successo, mettendo in comune il carbone e l’acciaio, contesi in due guerre mondiali. La pace europea, oggi a rischio, deve molto a Adenauer, De Gasperi e Schuman, nati nella regione di frontiera interna Reno-Alpi, divenuta mercato comune e poi Unione Europea con Monnet e Delors. L’Europa che, esportate due volte nel mondo le sue guerre di frontiera, si è data una moneta comune, simbolo e strumento del superamento di quelle frontiere e dei loro conflitti, e della nostra sovranità nel mondo globalizzato.

Oggi l’area inclusiva dell’Unione Europea rappresenta il 34% del commercio mondiale di merci e servizi a fronte del 23% di Cina e lontano oriente e del 15% di USA, Canada e Messico. Con questa ricchezza siamo attori di primo piano nella strategia di inclusione, ma anche la preda più ghiotta e l’avversario principale del terrorismo. Preda tanto più facile se i 28 paesi UE perdono la loro forza unitaria prendendo strade diverse. La distanza sempre più sottile tra essere attori o prede dipende dalla nostra capacità di proseguire sulla via dell’inclusione, tra noi e coi vicini, usando l’attrezzo più potente della nostra sovranità, l’euro. Ma ci vuole cervello, un governo federale democratico europeo per fare il lavoro ormai al di là della portata dei sempre più ipotetici governi nazionali.

I quali, per impotenza o malafede, pretendono sia la Grecia la barriera all’immigrazione, avendo infine capito che efficace è solo la frontiera esterna; ma va gestita da un governo federale europeo che, come ricorda Lattimore, è il centro di gravità dei nostri interessi condivisi, mentre i paesi che sono la frontiera (Grecia, Italia …) subiscono gli effetti anche corruttivi del contrabbando di esseri umani, e gli altri gli effetti ancora più corruttivi di popolazioni esasperate dalla crisi e in cerca di un capri espiatori.

Solo politiche inclusive di scala europea possono invertire l’attuale suicida processo di esclusione, spinto fino alla vergogna del sequestro dei beni dei migranti, in un mondo dove, secondo l’ultimo rapporto OXFAM, i 53 uomini e le 9 donne più ricchi possiedono quanto la metà della popolazione mondiale (erano 388 nel 2010). E solo un governo democratico europeo può impedire la «fine dei diritti sovrani del cittadino» e la «situazione pericolosa quanto una guerra totale» che si profila in Ungheria, Polonia, Francia e via via altrove, a danno di noi cittadini europei e a pro dei terroristi anche potenziali. Arroccandoci in casa, per paura o interesse o cecità o stupidità non solo di governi nazionali, e rinunciando all’euro ci arrendiamo al terrorismo: «Se non posso condividere il tuo [nostro] benessere, lo perderai anche tu [noi]». Insieme a dignità e libertà.

Cadendo di schiena ci faremmo molto male. Radicata in Europa è la coscienza che bisogna dare a Dio ciò che è di Dio e a Cesare ciò che è di Cesare. Cercasi Cesare.

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