“Con tutta parresìa e senza impedimenti” (At 28,31): tre teologhe e tre teologi su donna e ministero ordinato


Esce in questi giorni Senza impedimenti. Le donne e il ministero ordinato (Queriniana, 2024). Un esercizio di “parrhesia” per scoprire che non ci sono impedimenti ad ammettere la donna al grado del diaconato del ministero ordinato. Il libro degli Atti degli apostoli finisce con tre parole che si riferiscono al modo con cui Paolo insegnava a Roma. Il testo si conclude con πάσης παρρησίας ἀκωλύτως, “cum omni fiducia, sine prohibitione”, con franchezza e senza impedimenti. Questo volume vuol essere una esperienza di “parrhesia”, che può maturare in una Chiesa che non proibisce la ricerca seria e documentata, e che giunge a riconoscere che non ci sono impedimenti all’accesso delle donne al ministero ordinato. Propongo qui una breve descrizione del testo, tratta dalla mia Introduzione. Il volume comprende una Prefazione di Marinella Perroni e gli interventi di Emanuela Buccioni, Cristina Simonelli, Luigi Mariano Guzzo, Serena Noceti, Luca Castiglioni e Andrea Grillo. Lo abbiamo scritto affinché nella prossima Assemblea sinodale di ottobre non si ascoltino più né silenzi imbarazzati, né parole vuote, né pregiudizi mascherati. (ag)

Introduzione

Donne e ministero? Responsum teologico a sei voci

In secondo luogo viene un fatto a tutti noto, e cioè l’ingresso della donna nella vita pubblica: più accentuatamente, forse, nei popoli di civiltà cristiana; più lentamente, ma sempre su larga scala, tra le genti di altre tradizioni o civiltà. Nella donna, infatti, diviene sempre più chiara e operante la coscienza della propria dignità. Sa di non poter permettere di essere considerata e trattata come strumento; esige di essere considerata come persona, tanto nell’ambito della vita domestica che in quello della vita pubblica”.

Giovanni XXIII, Pacem in terris, 22

Il contributo che questo libro vuole offrire al dibattito sinodale, in vista della necessaria discussione sul tema della piena valorizzazione delle donne nell’esercizio del ministero ecclesiale, si muove nella prospettiva di un obiettivo molto semplice: permettere a tutte le componenti della Chiesa, ai ministri e a tutti i fedeli, ai competenti e ai semplici interessati, di comprendere la fragilità della posizione assunta dal magistero negli ultimi 50 anni e provvedere a suggerire uno sguardo diverso sulla materia, per assumere ecclesialmente la possibile autorità di decisione, non per spogliarsi di tutta la autorità esclusivamente su questo tema.

[…]

Sul piano biblico-esegetico, Emanuela Buccioni, con il titolo Che cosa sta scritto nella Bibbia? Come la leggi?,  ricostruisce con cura sia i limiti della lettura dei testi biblici offerti dal magistero, sia l’orizzonte di recupero del contesto dimenticato dei testi invocati a supporto della tesi ufficiale. Vengono segnalate alcune sovrapposizioni di termini – soprattutto tra ministero apostolico e collegio apostolico, metafora sposale e guida pastorale della comunità – che inducono ad assumere il testo biblico non come fonte, ma come mero strumento di conferma di stereotipi e di pregiudizi fondati altrove e altrimenti. Il confronto con il testo biblico, come già auspicato dalla Commissione biblica inascoltata del 1976, potrebbe aiutare a scongiurare nuove polarizzazioni e ad aprire legittimi percorsi di novità, che la esegesi della Scrittura non vieta e perciò non esclude.

Sul piano storico-patristico, Cristina Simonelli, sotto il titolo Il ricorso ai Padri: un meccanismo collettivo di difesa, sviluppa un ricco ragionamento che si articola in due parti: nella prima analizza le gravi “rimozioni che annebbiano la vista e invalidano il processo”, determinando una sorta di lettura distorta dei testi del NT e degli usi che i padri ne hanno fatto, all’interno di una cultura profondamente misogina. Una seconda parte sviluppa invece una diversa “lezione dei Padri”, che per analogia con la elaborazione di una nuova comprensione della penitenza, possa recuperare una lettura dinamica e aperta del teologia patristica, da riproporre nella discussione del sinodo, dove dissenso di discussione animata potranno creare lo spazio per un avanzamento comune. Se la libertà di coscienza aveva potuto essere definita un “delirio”, nel XIX secolo e con il massimo della autorità, una evoluzione anche sul ministero delle donne non può essere esclusa.

Sul piano canonico-istituzionale, Luigi Mariano Guzzo, con il titolo Il conferimento dell’ordine sacro ad una donna: profili giuridici, offre una lettura molto limpida delle contraddizioni interne al sistema giuridico prodotta dal diritto canonico, a proposito del sacramento dell’ordine in rapporto ai soggetti battezzati di sesso femminile. Il respiro della analisi verifica con acume tensioni interne all’ordinamento, sia a proposito del principio di eguaglianza, che entra in contrasto con un preteso diritto divino, sia a proposito della sovrapposizione tra logiche teologiche e logiche giuridiche, che creano coni d’ombra e conseguenze paradossali in molti aspetti della normativa. A completare l’analisi la rilevazione di “privilegi” concessi alla esperienza monastica femminile della tradizione benedettina e certosina mostra chiaramente come la integrazione della donna nell’esercizio di funzioni diaconali non sia solo una possibilità, ma già una realtà.

Sul piano ecclesiologico-ministeriale Serena Noceti, con un contributo intitolato Orientarsi nel labirinto: quale teologia del ministero ordinato?, predispone una rilettura complessiva della questione di genere all’interno di una visione dinamica del ministero ecclesiale, assumendo con rigore critico la impostazione cristologica e mostrando i limiti evidenti della sua traduzione concettuale, sia nel modello preconciliare, sia in alcune espressioni prioritarie della recezione postconciliare della formulazione che LG aveva dato profeticamente alla comprensione del ministero, in termini pneumatologici ed ecclesiologici. Accanto a questa pars destruens, si configura una lettura diversa, ispirata al Concilio Vaticano II, che sul piano fondamentale può consentire una nuova visione del soggetto ministeriale, superando le strettoie di una “riserva maschile” non solo teologicamente giustificata, ma addirittura pretesa come definitiva. Uscire da questo labirinto, che mescola argomenti di fatto e argomenti di autorità, risulta alla fine non solo possibile, ma doveroso.

Sul piano teologico-dogmatico, Luca Castiglioni, con il titolo Donne e ministerialità ecclesiale, sviluppa una presentazione del tema in cui viene analizzata, con grande attenzione e finezza, la emergenza della attenzione a partire dal 1964, durante il Concilio, con la predisposizione di una serie di argomenti, che vengono passati minuziosamente in rassegna, offrendone una lettura limpida e persuasiva, da cui emergono i limiti teologici e i condizionamenti culturali dei procedimenti discorsivi con cui si è tentato di rispondere alla nuova comprensione delle donne nella cultura e nella società. L’indagine accurata sulle argomentazioni a proposito della ordinazione presbiterale e della ordinazione diaconale, distinguendo bene tra ragioni fondamentali, argomenti di convenienza e silenzi imbarazzati e imbarazzanti, approda ad una rilettura della questione che, se valutata rispetto al tema più generale del ripensamento del ministero, appare “seconda”, ma in nessun modo può essere considerata secondaria.

Sul piano storico-sistematico, Andrea Grillo, sotto il titolo Senza l’autorità di ammettere o senza l’autorità di escludere?, esamina lo sviluppo storico delle argomentazioni, mostrando una svolta epocale nel passaggio dalla “società dell’onore” alla “società della dignità”, recepita dalla Chiesa cattolica a partire dalla enciclica Pacem in terris (1963). La elaborazione di nuovi argomenti, dovuta alla improponibilità immediata di tutti gli argomenti classici, fondati sul pregiudizio a proposito della donna, approda ad una “negazione di autorità”. Se la teologia constata negli ultimi 50 anni che il sesso femminile non è più un “impedimento” all’esercizio della autorità, in tal modo si sblocca il dispositivo culturale ed ecclesiale, che per secoli ha considerato la riserva maschile come un dato insuperabile. Il non poter includere si trasforma così, quasi inavvertitamente, nel non poter escludere.

 

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