Unanimità


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La conferenza episcopale tedesca non ha raggiunto l’unanimità sulla questione dell’ammissione alla comunione di un coniuge cristiano non cattolico durante la messa di matrimonio.

Mi chiedo se non ci sia qualche incomprensione sulla parola “unanimità”. Unanimità significa forse accordo di tutti i membri di un gruppo, senza eccezioni, sulla risoluzione finale da adottare a riguardo di un determinato argomento? Una tale unanimità è davvero possibile? Faccio fatica a crederlo.

Ciò che è possibile fare è un chiarimento teorico per assicurarsi che si stia parlando della stessa cosa, e un riavvicinamento pratico per proporre una decisione che sia accettabile per tutti. Ora un simile sforzo, che ci si può aspettare che sia fatto per il bene dell’unità, non potrà mai, a mio parere, ottenere l’approvazione di tutti senza eccezioni.

Ecco perché sarei incline a pensare che la regola dei due terzi dei voti positivi sia una buona garanzia di unanimità. Ora, sulla questione sollevata in Germania, i due terzi sono stati raggiunti. Non mi sembra ragionevole aspettarsi molto di più.

Se papa Francesco, a cui è stata presentata la questione, la rinvia alla conferenza episcopale chiedendo l’unanimità, questo non significa forse: alla maggioranza, “controllate che il testo non possa essere un po’ migliorato” e, alla minoranza, “alla fine del percorso votate il testo”? Ciò detto, la votazione finale non raccoglierà certamente tutti i consensi in termini assoluti, ma tutti i votanti avranno tanto la soddisfazione di aver agito secondo la propria coscienza quanto l’umiltà di pensare che sia lo Spirito di Dio che soffia in questa direzione. Non ci saranno né vincitori né vinti.

Ciò che la Regola di San Benedetto dice a questo proposito “l’obbedienza nelle cose impossibili” (c. 68) potrebbe, credo vantaggiosamente, valere nelle deliberazioni episcopali: affrontare le domande in uno spirito di dolcezza e obbedienza; presentare i proprî argomenti con pazienza, senza orgoglio, senza uno spirito di resistenza o contraddizione; e quando la decisione è presa, pensare che sia la cosa giusta e, fidandosi dell’aiuto di Dio, farla propria nella carità.

Meglio così, a mio modesto parere, che ricorrere all’autorità superiore – la quale non ha partecipato al dibattito e ha meno familiarità con la situazione concreta – allo scopo di imporre definitivamente a tutti ciò che forse non è altro che la “volontà propria” di alcune individualità.

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