Una Lettera Aperta sullo “STATO DI ECCEZIONE LITURGICA”


letteraperta

 

Questa Lettera Aperta sullo “stato di eccezione liturgica” viene proposta alla libera sottoscrizione di teologhe e teologi, studiose e studiosi, studentesse e studenti. Per le modalità di adesione è possibile:

  • apporre un commento al post sul mio profilo  su Facebook. Nel commento indicare la propria adesione e il proprio titolo (di docente, oppure il titolo di baccellierato o licenzia o dottorato, o, se studente di teologia, l’Istituto e l’anno di corso)
  • oppure spedire un messaggio @mail, con gli stessi dati, all’indirizzo:

andreagrillo61@gmail.com

Ecco il testo da condividere:

 

Lettera aperta sullo “stato di eccezione liturgica”

Alle Teologhe e ai Teologi,

alle Studiose e agli Studiosi,

alle Studentesse e agli Studenti di teologia

La grande tradizione liturgica, che da sempre accompagna e sostiene la Chiesa nella sua storia di grazia e di peccato, sente il gemito delle persone e delle nazioni, in questa crisi pandemica, che porta sofferenza e afflizione a chi è malato, isolamento, solitudine e paura a tutti gli altri. Così il ritmo ordinario del cammino quaresimale e pasquale è alterato, è sovvertito, facendosi solidale con la comune sofferenza. Non avremmo mai pensato, però, che una piccola, ma non marginale sofferenza, venisse, in questo tempo, anche dall’esercizio della autorità ecclesiale e dai Decreti Quo magis e Cum sanctissima, che la Congregazione per la Dottrina della fede ha pubblicato il 25 marzo 2020. Non fa specie che tale Congregazione dedichi le sue attenzioni anche alla liturgia. Ma speciale e singolare è il fatto che essa modifichi gli ordines, introduca prefazi e formulari di feste, modifichi calendari e criteri di precedenza. E che lo faccia su un messale del 1962. Come è possibile tutto ciò? La Congregazione, come è noto, in questo caso si muove nello spazio di una autorità eccezionale, che risale a 13 anni fa, ai sensi del Motu Proprio Summorum Pontificum. Ma siccome il tempo è superiore allo spazio, ciò che è possibile sul piano normativo, non sempre risulta opportuno. Una riflessione critica sulla logica di questa vicenda diventa allora decisiva. Il tempo, infatti, ci spiega il paradosso di una competenza sulla liturgia che è stata sottratta ai Vescovi e alla Congregazione del culto: ciò era stato disposto, in Summorum Pontificum, con una intenzione di solenne pacificazione e di generosa riconciliazione, ma ben presto si era mutata in grave divisione, in capillare conflitto, addirittura nel simbolo di un “rifiuto liturgico” del Concilio Vaticano II. Il massimo della distorsione delle intenzioni iniziali si nota oggi in quei seminari diocesani, dove si pretende di formare i futuri ministri contemporaneamente a due diversi riti: al rito conciliare e a quello che lo smentisce. Tutto ciò è giunto al suo punto più surreale quando, l’altro ieri, i due Decreti hanno attestato il culmine di una distorsione non più tollerabile, che si può esporre in questi termini sintetici:

– la Congregazione per la Dottrina della fede si pone come sostitutiva delle competenze attribuite dal Concilio Vaticano II ai Vescovi e alla Congregazione per il Culto divino;

– essa ritiene di elaborare “varianti liturgiche degli ordines senza averne le competenze storiche, testuali, filologiche e pastorali;

– sembra trascurare, proprio sul piano dogmatico, il grave conflitto che si crea tra lex orandi e lex credendi, poiché è inevitabile che una duplice forma rituale conflittuale induca una significativa divisione nella espressione della fede;

– pare sottovalutare l’effetto dirompente che sul piano ecclesiale reca questa “riserva”, col fatto di immunizzare una parte della comunità dalla “scuola di preghiera” che il Concilio Vaticano II e la Riforma liturgica hanno donato provvidenzialmente al cammino ecclesiale comune.

Lo “stato di eccezione”, però, oggi accade anche sul piano civile, nella sua dura necessità: ma questo fatto ci permette una maggiore lungimiranza ecclesiale. Per tornare alla normalità ecclesiale, noi dobbiamo superare lo stato di eccezione liturgico stabilito 13 anni fa, in un altro mondo, con altre condizioni e con altre speranze, da Summorum Pontificum. Non ha più senso sottrarre ai vescovi diocesani la loro competenza liturgica; non ha più senso né una Commissione Ecclesia Dei (che di fatto è già stata soppressa), né una Sezione della Congregazione per la Dottrina della fede, che sottraggano la autorità o ai Vescovi diocesani o alla Congregazione del Culto; non ha più alcun senso che si facciano decreti per “riformare” un rito che è chiuso in una storia passata, ferma e cristallizzata, senza vita e senza forza. Per esso non può esservi rianimazione alcuna. Il doppio regime è finito, la nobile intenzione di SP è tramontata, i lefebvriani hanno alzato sempre più la posta e poi sono scappati lontano, ad insultare il Concilio Vaticano II, il papa attuale insieme a tutti i suoi tre predecessori. Alimentare ancora uno “stato di eccezione liturgica” – che era nato per unire, ma non fa altro che dividere – porta solo a frantumare, privatizzare, distorcere il culto della Chiesa. Sulla base di queste considerazioni, ci proponiamo di condividere, tra tutti noi, la richiesta alla Congregazione per la Dottrina della Fede di ritirare immediatamente i due Decreti del 25/03/2020 e di restituire tutte le competenze sulla liturgia ai Vescovi diocesani e alla Congregazione per il Culto divino. Salva restando, come sempre, alla detta Congregazione, la competenza in materia dottrinale. Usciamo dunque dallo “stato di eccezione liturgica”. Se non ora, quando?

Con i migliori auguri a tutti i colleghi e le colleghe,  agli studenti e alle studentesse, per la vita assediata, ma non espugnata, in questi tempi amari, ma non avari. 

 

Andrea Grillo

 

 

Share