Perché non obbedisci? Lettera aperta a Enzo Bianchi (di Marinella Perroni)


Bose

Ricevo da Marinella Perroni e pubblico come contributo ad una “parola di verità”.

Perché non obbedisci?

Lettera aperta a Enzo Bianchi

[Avevo scritto questa lettera aperta mercoledì 17 ed ero in attesa di pubblicazione venerdì 19 su un giornale nazionale. Non è stato più possibile perché la lettera che il Papa ha scritto alla comunità di Bose sembra ormai a molti l’ultima parola oltre la quale nessuno può dirne altre. Io credo, invece, che c’è una parola che non è stata ancora detta e che solo Enzo Bianchi può dire. Se sarà l’ultima o aprirà una fase nuova di dialogo non lo so. Io, certo, lo spero.]

Caro Enzo,

scelgo il genere letterario della lettera perché vorrei tornassimo a quelle relazioni che fanno degli umani, appunto, degli umani. E scrivo a te perché ora solo tu puoi avere la parola di verità che tutti aspettiamo da tempo.

Perché non obbedisci, Enzo? Te lo chiede la maggioranza della tua comunità, te lo chiede il Papa, se lo aspettano in tanti, sia pure per motivi opposti: alcuni perché, dopo tante ingiurie, desiderano che tutto finisca; altri perché, finalmente, vedono saldati i conti con un personaggio caratterialmente faticoso ma, soprattutto, ecclesialmente scomodo.

E te lo chiedo allora anche io: perché non obbedisci? Te lo chiedo perché mi sembra sia l’unica domanda da porre, e da porsi, in questo momento in cui si rincorrono decreti e comunicati che non sono certo contributi alla ricerca della verità, ma sembrano vere e proprie bolle di accompagno per il trasporto merci. E, mentre spero in una tua risposta, ti dico perché te lo chiedo.

Nella nostra Chiesa abbiamo assistito in questi anni a una vera e propria “strage di fondatori”. E ci siamo interrogati, da fratelli e sorelle nella stessa fede, su tante cose: ricchezze e miserie di uomini e donne, di intere comunità, di apparati preposti al funzionamento del corpo ecclesiale. Purtroppo, alcuni fondatori avevano debiti da saldare, debiti di sesso e di denaro, e sono stati messi fuori, a diversi livelli, dalla loro comunità o dalla comunità ecclesiale o, addirittura, dalla comunione ecclesiale. È questo il caso anche per te? Tutti quelli implicati nella erogazione di quel monstrum giuridico ed ecclesiale che è il decreto singolare non lo esplicitano, ma è come se volessero farci intendere che potrebbe essere questo il caso anche per te e per i due monaci e la monaca allontanati come te dalla comunità. Se così fosse, Enzo, la confessione delle proprie colpe è sempre stato un dono di verità a sé stessi e agli altri, e noi non potremmo far altro che accompagnarvi in un cammino di ripensamento e di riconciliazione profonda con la vostra stessa vocazione cristiana prima ancora che monastica.

Se invece – e il caso sarebbe davvero “singolare” – la Santa Sede si è mossa con inedita asprezza nei confronti di un Fondatore e di tre monaci di una comunità ancora pienamente vitale solo per sedare conflitti interni tra Priore e Fondatore che si era liberamente dimesso e tra i due gruppi di rispettivi fedeli, beh, allora facciamo fatica a seguirvi. Non ho mai capito perché non vi siete separati, sarebbe stata una germinazione e avrebbe impedito la suppurazione. Soprattutto, le diverse espressioni di Bose avrebbero continuato a comunicare il genius loci umano e cristiano da cui hanno avuto origine.

A Bose si dice che “noi”, cioè gli amici della comunità, dobbiamo restarne fuori perché sono in gioco “affari interni”. La mancanza di maturità ecclesiale di un tale punto di vista salta agli occhi: una volta arrivati a una chiarezza e a una decisione, ciascuno o ciascuna di voi, chi da una parte e chi dall’altra, va certamente lasciato in pace a curarsi le ferite e a ritrovare slancio per un futuro possibile. Ma solo dopo aver fatto chiarezza, però, non prima. Perché Bose è stata – cioè ha voluto e saputo esserlo – testimonianza di Chiesa, e chi la frequentava non andava a impicciarsi dei fatti di altri, ma andava a condividere un’esperienza seria e profonda di ecclesialità evangelica, di ansia ecumenica, di “compagnia del mondo”. Se i tuoi monaci e le tue monache non lo capiscono, se non si rendono conto che la vostra ferita è ferita del corpo di cui tutti facciamo parte, allora il problema è ben più grave dei vostri contenziosi interni.

Perché non obbedisci, Enzo? Hai sempre chiesto, e a tuo rischio, che tutti, dal Papa in giù, ti dicessero le tue colpe. Se non è stato fatto, lo chiedo allora anche io con te e per te, perché questa torbida cortina di non-detto è tossica per tutti. Non ci sono colpe che non possano essere dette, anzi, è questa la condizione perché possano essere perdonate. Anche se, prima che perdonate, vanno anche commisurate con le pene inflitte perché, piaccia o no, viviamo in un tempo che ha ormai visto la proclamazione dei diritti fondamentali di ogni persona. Si pretende da un uomo di quasi ottant’anni che ha fatto voto di stabilità monastica di andar via dal luogo in cui affondano le radici dell’albero che lui stesso ha piantato e coltivato per più di mezzo secolo perché ha un carattere infernale, di padre-padrone, e un nutrito gruppo di monaci e monache adulti che per decenni, se non lo hanno amato, hanno certamente riconosciuto il suo carisma non sono stati capaci di tenergli testa e hanno creduto che, per difendere la comunità da lui e da quei fratelli e quelle sorelle che ancora gli sono fedeli, dovessero chiamare i rinforzi?

Perché non obbedisci, Enzo? Il fatto che il Papa non ti abbia chiamato, ascoltato, redarguito se necessario, lascia forse sgomento te, ma anche tanti di noi. La maggioranza dei tuoi fratelli e delle tue sorelle, perfino dei novizi o dei giovani professi, ha espresso accuse o riserve nei tuoi confronti. Bisogna certamente tenerne conto. Ma aver fatto loro credere che i loro disagi e le loro proteste potessero trovare espressione nel linguaggio di decreti e di comunicati, e nelle procedure che ne conseguono, attesta una mancanza di discernimento spirituale increscioso. Anche perché non ci si può non domandare se, almeno loro, siano stati messi a parte delle tue colpe. In questi mesi non vi siete confrontati tra anime belle, non avete intrecciato croci e rosari, ma avete messo a nudo problemi giuridici ed economici, relazioni pubbliche e rapporti privati, mezze verità e vere falsità. Fin dall’inizio qualcuno, anche autorevole come Padre Sorge, ti ha chiesto di tacere, di accettare l’esilio e di viverlo come “passio justi”, perché questo ha fatto Gesù quando ha accettato di essere inchiodato a una croce. Io non te lo chiedo, Enzo, perché questa teologia e questa spiritualità non mi appartengono perché non liberano la fede da confusioni e mistificazioni.

Perché non obbedisci, Enzo? Puoi anche pensare sia giusto non rispondere pubblicamente a questo interrogativo. Ma allora, con coraggio, chiedi al Papa di parlarsi da fratelli e digli le tue ragioni. Forse, a quel punto, almeno uno di voi due, uomini di Chiesa, accetterà di fare la verità anche con noi. In fondo, in virtù del battesimo, siamo anche noi uomini e donne di Chiesa.

Marinella Perroni

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