Lo sfondo teologico del Rescritto e una nuova edizione aggiornata del volume “Eucaristia”


Per inquadrare il Rescritto del 20 febbraio 2023 , con cui si precisano le competenze episcopali e papali in materia di liturgia eucaristica, occorre uno sguardo ampio, che consideri la questione non semplicemente come un caso di “esercizio del potere”, ma come custodia della comunione ecclesiale e di una autentica comprensione del sacramento dell’eucaristia. Per chiarire in quale misura anche questo recentissimo documento si inquadri nel doveroso superamento del “parallelismo rituale” introdotto da Summorum Pontificum nel 2007, pubblico qui alcuni stralci degli aggiornamenti che ho dovuto apportare al testo “Eucaristia” (in particolare al cap. 10 dedicato proprio al travaglio della recezione della Riforma liturgica), per metterlo in asse con la evoluzione della disciplina proprosta da papa Francesco negli ultimi due anni, fino al testo pubblicato ieri. Si tratta di un’opera di pacificazione, che dimostra come le intenzioni di pacificazioni precedenti avessero in realtà prodotto una pericolosa opposizione interna al cattolicesimo, fondata su una alternativa tra “forme del rito” che rivelavano il rigetto del Concilio Vaticano II. La nuova edizione del mio volume Eucaristia, dove si potrà leggere integralmente il nuovo capitolo 10, di cui qui pubblico solo qualche stralcio, sarà in commercio intorno alla metà del mese di marzo.

EucariQue

Dal cap. 10 di A. Grillo, Eucaristia. Azione rituale, forme storiche, essenza sistematica, Brescia, Queriniana, 2023 (II ediz. aggiornata, di prossima pubblicazione)

Il superamento del parallelismo rituale: Traditionis custodes (2021) e Desiderio desideravi (2022) 

Il magistero liturgico di papa Francesco si è manifestato gradualmente, lungo l’ultimo decennio, con progressiva chiarezza. I primi interventi hanno riguardato questioni importanti come le traduzioni liturgiche ( il MP Magnum principium del 2017) o come la estensione del lettorato e dell’accolitato anche alle donne (il MP Spiritus Domini del 2021). Ma i due testi fondamentali, anche sul piano di una sistematica liturgica ed eucaristica, sono il MP Traditionis custodes (luglio 2021), accompagnato da una Lettera ai vescovi, e la lettera apostolica Desiderio desideravi (giugno 2022), sui quali è bene soffermarsi.

 1. Traditionis Custodes e la fine del principio generale del parallelismo liturgico

 La pubblicazione del MP Traditionis custodes (= TC) e della contestuale Lettera ai Vescovi di papa Francesco, con cui si supera dopo 14 anni il MP Summorum pontificum” (= SP), riporta la condizione dell’uso del rito tridentino alla sua originaria posizione: ossia di essere quella forma del rito romano che il Concilio Vaticano II ha deliberato di riformare. Questa condizione è rimasta inalterata fino al 1984 e poi al 1988, quando si è data facoltà ai Vescovi di concedere un “indulto” che permettesse, a particolari condizioni, di far uso della forma precedente del rito, solo in casi specifici.

Ciò implica che le condizioni di accesso al rito tridentino sono tornate oggi, dopo TC, sostanzialmente a quanto concesso da Giovanni Paolo II nel 1988. Può essere utile costruire una breve “sinossi” per vedere che cosa era cambiato con SP e che cosa accade oggi con TC. In questo modo appare con chiarezza che una “teoria azzardata e contraddittoria” – l’idea che la stessa lex credendi potesse esprimersi pacificamente in due “forme rituali parallele” – aveva causato una incertezza di diritto e un vuoto di potere episcopale, che ha portato confusione, divisione e conflitto nell’unica Chiesa. Ecco il confronto:

 a) SP all’articolo 1 diceva che le “due forme del rito romano” – ossia il novus ordo (NO) e il vetus ordo (VO) – erano entrambe vigenti e lecite. TC 1 dice invece che vi è solo una lex orandi, ed è quella di cui è espressione il NO. La posizione classica e tradizionale è quella sostenuta da TC, mentre SP aveva introdotto per 14 anni una lettura inedita e contraddittoria della tradizione. L’affermazione di SP, per cui “le due forme non porteranno in alcun modo ad una divisione della lex credendi della Chiesa” è priva di fondamento reale, suona apodittica e soprattutto è apparsa smentita dalla esperienza. Ciò che Benedetto XVI ha affermato come giustificato a priori, Francesco ha verificato e superato come infondato a posteriori.

 b) SP 2 stabilisce la libertà di ogni prete di poter celebrare “senza popolo” indifferentemente con il NO o il VO, senza dover rispondere né al Vescovo né alla Sede Apostolica. Per TC questa possibilità non può essere in alcun modo neppure considerata, essendo vigente e lecita solo la forma del NO, come ragione e tradizione comandano. Per questo TC 4-5 prevede per tutti i presbiteri che intendessero celebrare secondo il VO la necessaria autorizzazione da parte del Vescovo. SP 4 aggiungeva la possibilità, per singoli membri del popolo di Dio, di “essere ammessi” alle messe “senza popolo” celebrate secondo VO, in palese contraddizione con il principio generale di partecipazione attiva, stabilito dal Vaticano II e ristabilito da TC.

 c) SP 5 regolava la presenza di “gruppi stabili” nelle parrocchie, invitando il parroco e il vescovo alla accoglienza e ad evitare ogni discordia. TC 3,2 esclude che si possa celebrare con VO nelle chiese parrocchiali: questo è la conseguenza ragionevole del fatto che è vigente e lecito universalmente soltanto il NO, non il VO.

 d) TC 3 provvede ad attribuire al Vescovo diocesano la cura delle possibilità di celebrazione in VO, avvalendosi di un prete incaricato che si occupi di celebrazione e cura pastorale, stabilendo giorni e luoghi specifici, verificando la necessità delle parrocchie personali già istituite per questo scopo e non autorizzando nuovi gruppi.

 e) Secondo SP 5,3 al parroco poteva essere chiesta la celebrazione della messa VO anche in occasione di matrimoni, esequie o pellegrinaggi. Essendo esclusa la competenza del parroco in TC, anche la possibilità di queste richieste cade.

 f) SP 9 prevedeva inoltre che il parroco, se lo ritenesse opportuno, potesse utilizzare il VO anche per i battesimi, i matrimoni, le confessioni o le unzioni dei malati; che il Vescovo potesse utilizzarle il VO per la confermazione e che i chierici potessero usare il breviario VO per la preghiera oraria. Nulla di tutto questo è più possibile senza una autorizzazione specifica e personale.

 Ovviamente, le questioni che possono sorgere in merito alla applicazione di TC non avranno più la interpretazione “speciale” che la Commissione “Ecclesia Dei” (abolita nel 2019) aveva assicurato secondo SP. La competenza della Congregazione per il Culto divino unifica l’unica “lex orandi” sotto una medesima autorità ed evita così di scadere in discipline caricaturali e fittizie1.

La tradizione cammina con l’unico rito comune, “unica espressione della lex orandi del Rito Romano” (TC 1),che merita di essere pienamente valorizzato. La ragionevolezza ha prevalso sulla astrazione irrealistica e sulla incauta convivenza contraddittoria tra fasi diverse e irreversibili del rito romano. Come abbiamo visto SP, con una normativa contraddittoria, aveva portato il conflitto a causa della sua confusione. TC torna all’orizzonte che può promuovere la pace, per merito della sua lineare chiarezza2. SP aveva reso marginale ed accessorio il Concilio Vaticano II, mentre TC lo ristabilisce con evidenza nella sua irreversibilità3. Ovviamente la normativa di TC impatta ora sulle illusioni che per 14 anni sono state nutrite e alimentate, anche dal centro, e che ora sono inclini ad invertire le parti, facendo di TC un documento di ”rottura della tradizione”, senza saper riconoscere, con animo seremo, che la rottura grave è avvenuta proprio con la “anarchia dall’alto” promossa da SP.

 2. Una nuova chiarezza da Desiderio Desideravi.

 Al testo di TC si è aggiunta, dopo circa un anno, la lettera apostolica Desiderio desideravi, che il 29 giugno 2022 papa Francesco ha dedicato alla “formazione liturgica del popolo di Dio”.

Questo testo ci offre un primo livello di intenzione, che traspare dalle prime righe e da una ripresa potente, negli ultimi numeri del testo (composto di 65 brevi numeri).

E’ evidente che DD dichiara di scaturire, come un ampliamento, dalla “lettera ai Vescovi” che aveva accompagnato, l’anno prima, il MP “Traditionis custodes”. In ragione della Riforma Liturgica, veniva superato il regime di “parallelismo” tra due forme dello stesso rito romano. Con DD Francesco chiarisce più esplicitamente la sua intenzione (DD 61):

 Siamo chiamati continuamente riscoprire la ricchezza dei principi generali esposti nei primi numeri della Sacrosanctum Concilium comprendendo l’intimo legame tra la prima delle Costituzioni conciliari e tutte le altre. Per questo motivo non possiamo tornare a quella forma rituale che i Padri conciliari, cum Petro e sub Petro, hanno sentito la necessità di riformare, approvando, sotto la guida dello Spirito e secondo la loro coscienza di pastori, i principi da cui è nata la riforma. I santi Pontefici Paolo VI e Giovanni Paolo II approvando i libri liturgici riformati ex decreto Sacrosancti OEcumenici Concilii Vaticani II hanno garantito la fedeltà della riforma al Concilio. Per questo motivo ho scritto Traditionis Custodesperché la Chiesa possa elevare, nella varietà delle lingue, una sola e identica preghiera capace di esprimere la sua unità. [23] Questa unità, come già ho scritto, intendo che sia ristabilita in tutta la Chiesa di Rito Romano.”

 Questa frase indica in che modo il testo si colloca esplicitamente nella ripresa del disegno conciliare e come superi in modo netto la lunga fase di esitazione, che aveva segnato la Chiesa cattolica nella parte finale del pontificato di Giovanni Paolo II e più nettamente durante il pontificato di Benedetto XVI. Che cosa deve essere riportato al centro della attenzione? Il testo lo dice con una espressione “classica”: la “formazione liturgica”.

Con questa espressione si vuole ritornare al carattere “comune” dell’atto liturgico, e anzitutto eucaristico, di cui i soggetti sono Cristo e la Chiesa. Se si acquisisce la qualità di “celebranti” di tutti i battezzati, come fa DD in modo chiarissimo, allora è evidente che la duplice formazione (alla liturgia e da parte della liturgia) possa avvenire solo grazie ai riti scaturiti dalla riforma, che hanno ristabilito in modo limpido questa antica verità:

 Ricordiamoci sempre che è la Chiesa, Corpo di Cristo, il soggetto celebrante, non solo il sacerdote.” (DD 36)

 Questo principio discende dal valore teologico della liturgia e permette di assumere la celebrazione “comune” come una fonte e un culmine di tutta la azione della Chiesa. Perciò non ha senso fondare una scienza liturgica come “timore degli abusi da evitare”, quanto piuttosto come desiderio degli usi da imparare. Questa “svolta ad imparare l’uso” è davvero un grande evento di grazia. Dopo che, a partire da “Redemptionis Sacramentum” (2004), era divenuto usuale e persino scontato ascoltare interventi magisteriali sulla liturgia ricchi solo di preoccupazioni, di limitazioni, di esitazioni, di timori, di messe in guardia, ora un testo orientato a riprendere il cammino della riforma liturgica, che assuma un solo ambito di confronto comune e che elimini, strutturalmente, il tarlo di un “secondo tavolo” su cui poter fare la “vera esperienza liturgica”, assume la qualità di un grande evento. Il suo orizzonte è il Concilio Vaticano II e la preziosa sua eredità, che DD 31 sintetizza così:

 Se la Liturgia è “il culmine verso cui tende l’azione della Chiesa e, al tempo stesso, la fonte da cui promana tutta la sua energia” (Sacrosanctum Concilium, n. 10), comprendiamo bene che cosa è in gioco nella questione liturgica. Sarebbe banale leggere le tensioni, purtroppo presenti attorno alla celebrazione, come una semplice divergenza tra diverse sensibilità nei confronti di una forma rituale. La problematica è anzitutto ecclesiologica. Non vedo come si possa dire di riconoscere la validità del Concilio – anche se un po’ mi stupisce che un cattolico possa presumere di non farlo – e non accogliere la riforma liturgica nata dalla Sacrosanctum Concilium che esprime la realtà della Liturgia in intima connessione con la visione di Chiesa mirabilmente descritta dalla Lumen gentium”.

 Qui la questione eucaristica e liturgica è di nuovo compresa sul terreno teologico ed ecclesiologico che le compete. Un parallelismo rituale, apparentemente irenico, nasconde una grave concorrenza tra diverse visioni della chiesa e di Dio.

 1Nel novembre del 2021 la Congregazione per il culto divino ha pubblicato dei “Responsa ad dubia” per fare chiarezza sui dubbi sollevati intorno alla interpretazione del testo di TC. Il contenuto di questo documento si può leggere a questo indirizzo: https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/ccdds/documents/rc_con_ccdds_doc_20211204_responsa-ad-dubia-tradizionis-custodes_it.html , accesso 15/11/2022.

2Questa preoccupazione viene espressa da papa Francesco, nella lettera ai vescovi che accompagna TC, con queste parole: “A distanza di tredici anni (dal 2007) ho incaricato la Congregazione per la Dottrina della Fede di inviarVi un questionario sull’applicazione del Motu proprio Summorum Pontificum. Le risposte pervenute hanno rivelato una situazione che mi addolora e mi preoccupa, confermandomi nella necessità di intervenire. Purtroppo l’intento pastorale dei miei Predecessori, i quali avevano inteso «fare tutti gli sforzi, affinché a tutti quelli che hanno veramente il desiderio dell’unità, sia reso possibile di restare in quest’unità o di ritrovarla nuovamente»[12], è stato spesso gravemente disatteso. Una possibilità offerta da san Giovanni Paolo II e con magnanimità ancora maggiore da Benedetto XVI al fine di ricomporre l’unità del corpo ecclesiale nel rispetto delle varie sensibilità liturgiche è stata usata per aumentare le distanze, indurire le differenze, costruire contrapposizioni che feriscono la Chiesa e ne frenano il cammino, esponendola al rischio di divisioni” ( Lettera del Santo Padre Francesco ai Vescovi di tutto il mondo per presentare il Motu Proprio «Traditionis Custodes» sull’uso della Liturgia Romana anteriore alla Riforma del 1970, del 16.07.2021 che si può leggere all’indirizzo: https://press.vatican.va/content/salastampa/it/bollettino/pubblico/2021/07/16/0469/01015.html, accesso 13.11.2022

3Sempre nella stessa Lettera ai Vescovi, si legge, poco più avanti: “…mi rattrista un uso strumentale del Missale Romanum del 1962, sempre di più caratterizzato da un rifiuto crescente non solo della riforma liturgica, ma del Concilio Vaticano II, con l’affermazione infondata e insostenibile che abbia tradito la Tradizione e la “vera Chiesa”. Se è vero che il cammino della Chiesa va compreso nel dinamismo della Tradizione, «che trae origine dagli Apostoli e che progredisce nella Chiesa sotto l’assistenza dello Spirito Santo» (DV 8), di questo dinamismo il Concilio Vaticano II costituisce la tappa più recente, nella quale l’episcopato cattolico si è posto in ascolto per discernere il cammino che lo Spirito indicava alla Chiesa. Dubitare del Concilio significa dubitare delle intenzioni stesse dei Padri, i quali hanno esercitato la loro potestà collegiale in modo solenne cum Petro et sub Petro nel concilio ecumenico, e, in ultima analisi, dubitare dello stesso Spirito Santo che guida la Chiesa”. (Francesco, Lettera ai Vescovi, cit.)

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