Fedeli defunti, comunione e penitenza. Per “esplorare, ordinare ed esprimere” la tradizione (/1)


Eternoriposo

Nel giorno della commemorazione dei fedeli defunti, la grande schiera di coloro che non sono più visibili, a noi legati dai molteplici vincoli della fede, della famiglia, dell’affetto e della relazione, una riflessione sul “linguaggio ecclesiale” a proposito della morte e del rapporto tra vivi e defunti mi pare un atto necessario.

Riposo eterno, luce perpetua, pace. Questi sono i tre punti-chiave della preghiera più antica e più bella: il “requiem eterna”, attestata già nel V secolo. Ma in che modo questa antica evidenza, ripresa continuamente al centro della celebrazione eucaristica, dalle parole delle Anafore, stia in correlazione con la “matematica delle indulgenze” sviluppatasi dal medievo e con la idea di “suffragio”, merita una parola di riflessione, senza la pretesa né di esaurire il tema, né di squalificare i fenomeni del passato o le domande del presente.

Un “aggiornamento” in questo ambito, così delicato e così decisivo, appare non differibile. E le logiche del “suffragio” – la cui potenza ha attraversato per secoli la esperienza “comune” di celebrazione eucaristica, possono essere ripensate solo con molta pazienza, con modestia, ma anche con la necessaria audacia e con l’ascolto più sereno della realtà. Riprendiamo qui l’intento con cui Paolo VI, all’inizio della II sessione del Concilio Vaticano II, espresse questo “lavoro di ripensamento” con parole mai più ascoltate con tanta chiarezza:

«E’ venuta l’ora, a noi sembra, in cui la verità circa la Chiesa di Cristo deve essere esplorata, ordinata ed espressa, non forse con quelle solenni enunciazioni che si chiamano definizioni dogmatiche, ma con quelle dichiarazioni con le quali la Chiesa con più esplicito ed autorevole magistero dichiara ciò che essa pensa di sé» Paolo VI, 29/09/1963 (Apertura II Sessione Conc. Vaticano II)

Esplorare, ordinare ed esprimere in modo nuovo la comunione con i defunti è il compito che possiamo condividere con questo primo post.

Le parole su defunti nella messa

Iniziamo da ciò che viene detto dei defunti in ogni celebrazione eucaristica. Ecco un primo testo:

Ricordati anche dei nostri fratelli e sorelle
che si sono addormentati
nella speranza della risurrezione
e, nella tua misericordia, di tutti i defunti:
ammettili alla luce del tuo volto.

Il testo della preghiera eucaristica II parla, per i defunti, di “speranza della risurrezione” e di “ammissione alla luce del volto” del Signore.

Nella III Preghiera eucaristica si dice invece:

Accogli nel tuo regno

i nostri fratelli e sorelle defunti,

e tutti coloro che, in pace con te,
hanno lasciato questo mondo;
concedi anche a noi di ritrovarci insieme
a godere per sempre della tua gloria,
in Cristo, nostro Signore,
per mezzo del quale tu, o Dio,
doni al mondo ogni bene.

Il “ritrovarsi insieme” e “godere per sempre della gloria” del Signore. Lo si può fare ricorrendo a questo testo alternativo:

Accogli nel tuo regno
i nostri fratelli e sorelle defunti,
e tutti coloro che, in pace con te,
hanno lasciato questo mondo;
concedi anche a noi di ritrovarci insieme
a godere della tua gloria
quando, asciugata ogni lacrima,
i nostri occhi vedranno il tuo volto
e noi saremo simili a te,
e canteremo per sempre la tua lode,

Mentre la IV Preghiera dice, più semplicemente:

Ricordati anche di coloro
che sono morti nella pace del tuo Cristo,
e di tutti i defunti,
dei quali tu solo hai conosciuto la fede

Mentre nel canone romano si dice:

Ricordati, o Signore, dei tuoi fedeli,

che ci hanno preceduto con il segno della fede
e dormono il sonno della pace.
Dona loro, o Signore,
e a tutti quelli che riposano in Cristo,
la beatitudine, la luce e la pace.

Si tratta di linguaggi elementari, del tutto privi di riferimento ad “elaborazioni articolate di forme penitenziali”. Questo è confermato anche dai prefazi propri della “messe per i defunti”. Di qui la domanda: da dove scaturisce tutto il “sapere indulgenziale”, che assume proprio nella giornata del 2 novembre una sua maestosa presenza, creando un controcanto tanto forte rispetto al tono dei testi eucaristici?

Le questioni aperte sulla lettura penitenziale della morte

Questo primo esame sommario, se messo a paragone con il “linguaggio recentissimo della Penitenzieria Apostolica” (cfr. qui per i testo e qui per un primo commento) permette di elaborare una serie di questioni, che dovremo affrontare ordinatamente in una serie di tre articoli/post nei prossimi giorni. Le presento qui in modo sintetico:

a) La dottrina del Purgatorio, nel suo sviluppo storico e nella sua grande fortuna cultuale, riposa su una evidenza che abbiamo smarrito, ma della quale non abbiamo viva coscienza. Il Purgatorio nasce prima come “nome delle pene temporali dei vivi” per poi essere applicato ai defunti. Questo spostamento del significato del termine, e della evidenza dottrinale ad esso legata, pone una prima questione urgente: in che modo è possibile parlare di “penitenza post mortem” se non abbiamo più un concetto evidente ed efficace di “penitenza ante mortem”? I due livelli sono così strettamente correlati che il primo senza il secondo appare uno costruzione ecclesiale priva di alcun senso. A ciò va unita la lunga tradizione delle “messe di suffragio”, che ha segnato tanto profondamente il rapporto quotidiano con l’eucaristia.

b) Il rilievo secondario del “fare penitenza” nella vita dei battezzati, non solo implica una difficoltà a spostare con disilvoltura il tema sui defunti, ma crea anche un problema ulteriore quando della “pena temporale”, che si fa fatica a configurare storicamente, si pretende di porre e proporre un “superamento” mediante la pratica delle “Indulgenze”, applicate però solo a chi si è addormentato. Se non è evidente la esperienza della pena temporale, come potrebbe esserlo quella di un intervento eccezionale con cui la Chiesa “rimuove” ciò di cui si fatica a percepire la realtà? Come può essere “rimesso” un debito a chi né sa né fa esperienza di averlo e di patirlo?

c) Infine, ma forse come questione decisiva: dove sta scritto che il rapporto con i defunti debba essere “orientato” dalla questione della “loro penitenza”? Come è possibile che di questa “priorità” i testi della eucaristia non dicano proprio nulla? E che la articolazione penitenziale del suffragio diventi non la occasione di una misteriosa comunione tra vivi e defunti nel cammino ecclesiale, ma una arte di “procurare indulgenze” per una “penitenza dei defunti” che i vivi non riescono a pensare come loro esperienza? Come può una Chiesa concepire una pena temporale riservata soltanto a chi non ha più alcuna esperienza temporale?

Sono convinto che il tentativo di rispondere a queste domande possa aiutare tutti non solo a vivere in pienezza la “comunione dei santi”, ma ad illuminare i “passi sulla via della pace” che i vivi possono fare custodendo la loro preziosa comunione con i fedeli defunti.

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