Women empowerment, financial inclusion and sustainable development: public choices and private responsibilities. Aspen Institute Italia – Roma 3 ottobre 2019


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C’è ancora bisogno di discutere di come supportare, sostenere, riconoscere il ruolo delle donne! È questo in estrema sintesi il messaggio finale emerso alla conferenza internazionale tenuta dall’Aspen Institute di Roma, a cui ho partecipato la scorsa settimana. Sono ancora necessarie – a livello internazionale ma anche nel nostro paese – politiche ed azioni, a partire dai banchi di scuola, che considerino le donne soggetti essenziali della crescita economica.

Le disuguaglianze di genere rimangono elevate, ma è forse nella dimensione salariale che esse emergono con maggiore chiarezza. Le donne ricevono mediamente retribuzioni più basse degli uomini, sono più esposte alle crisi economiche e svolgono in maggioranza mansioni ritenute “low profile”. Negli ultimi anni in Italia si sono persi 1,8 miliardi di ore lavorative per lo più nel comparto femminile, spingendo spesso le donne verso un part time involontario (6 lavoratrici part time su 10, infatti, dichiarano di essere obbligate a sceglierlo). Inoltre, complessivamente, il 35% delle donne impiegate guadagna meno di 780 euro al mese, con ricadute molto penalizzanti anche sul fronte pensionistico a causa sia dei bassi stipendi sia della frammentazione dei percorsi lavorativi.

L’esperienza di altri paesi avanzati dimostra che la maternità non è un limite, tutt’altro. È interessante notare che i paesi che hanno i più alti tassi di fertilità sono quelli dove più alta è l’occupazione femminile, smentendo quindi  la convinzione che le donne siano meno presenti sul mercato del lavoro perché madri. Inoltre la donna torna a lavorare dopo la maternità con una maggiore capacità intuitiva, sensibilità ed una visione globale che prima non aveva, apportando “creatività nella concretezza”. Fondamentale è poi il ruolo nella cura della famiglia (figli, genitori anziani, malati, disabili) che le donne svolgono.

Allo stesso modo, la presenza di una quota maggiore di donne nei board delle società si è dimostrata molto positiva poiché ha stimolato, tra l’altro, un approccio aziendale più attento ai temi della sostenibilità e della responsabilità sociale di impresa. Vari studi hanno dimostrato che i rischi assunti dalle istituzioni finanziarie sarebbero minori se gestiti da donne, poiché più elevata è la loro prudenza e avversione al rischio. Di fronte al preoccupante calo della natalità inoltre, una migliore divisione dei compiti famigliari potrebbe contribuire a migliorare la fertilità nel nostro paese che si colloca nelle ultime posizioni OCSE nel ranking del tasso di fertilità.

Occorre iniziare a scuola. L’istruzione, soprattutto nelle materie cosiddette STEM (dall’inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics, per indicare le discipline scientifico-tecnologiche), è una delle chiavi per una maggiore inclusione economica, finanziaria ed occupazionale delle donne che potrebbero apportare al mondo della scienza una maggiore creatività, flessibilità, capacità di lavoro di squadra. Ciò vale particolarmente per un paese come l’Italia, per il quale è stato coniato l’acronimo STEAM, aggiungendo la A di Arts che caratterizza senza dubbio una delle eccellenze italiane. La presenza delle ragazze nei percorsi educativi e poi nei settori di impiego delle cosiddette discipline tecnologiche e digitali rimane modesta proprio là dove, si stima, in futuro ci saranno maggiori possibilità di impiego.

Come abbiamo riportato in passato in vari interventi sul sito di Munera, un ruolo particolare ha inoltre l’inclusione finanziaria femminile, che contribuisce a sostenere una “finanza sostenibile” produttrice, a sua volta, di investimenti “sostenibili”.

Allargando il nostro sguardo al resto del mondo, vediamo che sono ancora molte le discriminazioni di gender che trovano persino nel sistema legislativo la loro giustificazione: dal diritto alla proprietà (poiché le donne non possono essere proprietarie) a quello della piena titolarità di diritti finanziari (come l’accesso al credito, per il quale spesso è necessaria la proprietà di beni da dare in garanzia, o a un conto bancario) e prima ancora alla disponibilità di documenti di identità.

Anche nel nostro paese e nei paesi ad economia matura, il tema dell’inclusione finanziaria rimane essenziale per le donne immigrate. Da uno studio del CeSpi sull’inclusione finanziaria delle donne immigrate in Italia appartenenti a quattro comunità – filippina, ucraina, marocchina, senegalese – si coglie che, pur guadagnando mediamente il 24% meno dei maschi immigrati, le donne inviano al paese di origine rimesse per importi superiori e con una frequenza maggiore. Tuttavia – con molte differenze tra le diverse comunità di appartenenza –  le immigrate devono ricorrere, forzatamente e più spesso, a sistemi informali di invio del denaro. Emerge pertanto anche per loro la necessità di disporre di strumenti di “alfabetizzazione finanziaria” e misure ad hoc per favorirne l’inclusione. Esse costituiscono un volano importante dell’economia non solo del paese dove emigrano, ma anche del paese di origine favorendone, indirettamente, la stabilità economica e sociale. Guidare quindi le donne nell’utilizzo degli strumenti finanziari può aiutare a sostenere anche un maggior equilibrio economico e sociale nel loro paese, evitare violenza e tensioni, favorendo la sicurezza e la pace.

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