Riforme costituzionali /1: Il pluralismo del potere costituente di Luca Licitra e Antonio Sichera


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Il dibattito sulle riforme costituzionali non tarderà a presentarsi sul piano del confronto pubblico. Vale la pena anticiparlo con considerazioni di rilievo, che intrecciano discorsi politici, storici, giuridici e teologici. Iniziamo la riflessione con questo articolo, scritto dagli autori del libro presentato su questo blog alcune settimane fa (che si può leggere qui). La tesi di quel testo ritorna ora in sintesi e provoca un vero confronto sul carattere peculiare del “momento costituente” della Repubblica italiana. Le competenze giuridico-politiche di Licitra e filosofico-teologiche di Sichera si fondono in una sintesi originale, che dà a pensare (a.g.)

Il pluralismo del potere costituente

di Luca Licitra e Antonio Sichera

 

Dopo la caduta del muro di Berlino e dell’impero comunista si è avuta, in Italia, una congerie d’iniziative di riforme istituzionali, alcune partorite altre abortite.

Un dato su tutti: fino al 1989 erano state quattro le leggi di revisione costituzionale, cioè quelle che hanno modificato il testo della Carta fondamentale; dal 1991 a oggi sono state quattordici (senza contare quelle approvate dal Parlamento ma bocciate dagli elettori). Dal 1993 a oggi, poi, sono state ben cinque le leggi elettorali che si sono succedute (considerando quelle approvate dal Parlamento, quella risultante da un intervento della Corte Costituzionale e quella approvata ma mai applicata): certamente non leggi costituzionali, ma di rilievo costituzionale.

Il dato non deve sorprendere. La Carta costituzionale italiana venne approvata ‘all’indomani’ (così il preambolo di quella francese) della sanguinosissima guerra mondiale, in un mondo sconvolto e radicalmente mutato rispetto al precedente. Altrettanto mutato, rispetto al precedente, è il mondo venuto fuori dalla caduta del comunismo: fra l’altro ha continuato a conoscere ulteriori eventi globali traumatici quali il terrorismo, la crisi finanziaria planetaria, la conseguente recessione, la pandemia, la ‘terza guerra mondiale a pezzi’, gli sconvolgimenti climatici.

Secondo una delle possibili definizioni1, l’esercizio del potere costituente è il costituirsi della concreta organizzazione politica sulla base dei rapporti di forza in essa esistenti: è cioè l’espressione più alta della lotta politica e in definitiva coincide da una parte con la ricerca della propria identità da parte delle forze politiche che innervano la società e dall’altra con la ricerca d’un equilibrio tra dette forze e da esse accettato.

Se così è, si comprende che a un mondo nuovo si risponda col tentativo di rinnovare le istituzioni.

Tuttavia, il protrarsi d’una stagione ‘costituente’ e delle convulsioni riformatrici senza che sia dato vedere all’orizzonte un equilibrio complessivamente condiviso, oltre a essere dovuto a identità politiche fluide e non ancora definite, è il sintomo di ben altro.

Probabilmente infatti le forze politiche non si sono conformate allo spirito che deve sottostare all’esercizio autentico del potere costituente. Il carattere ‘permanentemente costituente’ della temperie che attraversiamo ci impone di ricordarne l’‘ontologia’ che forse è andata perduta: il potere costituente è, di sua natura, pluralista2 e sfocia in un “patto tra soggetti potenzialmente antagonisti”3. Non è insomma l’imposizione, a colpi di maggioranza, d’una identità pretesamente condivisa. (Senza dire che lo stesso concetto di ‘identità’ è ambiguo, ben potendo evolversi sia sincronicamente che diacronicamente.) Occorre insomma complessità (‘sinodalità’?) e lungimiranza4 nell’esercizio d’un tale potere. Questa ‘ontologia’ del potere costituente dà pienamente ragione della ‘fenomenologia’ del medesimo potere, per come è stato vissuto dall’Assemblea Costituente italiana: forze politiche diverse ed eterogenee raggiunsero un equilibrio istituzionale, oltre che di diritti e di doveri, che garantisse tutti, nello spirito d’un affidamento reciproco di cui oggi non è dato scorgere traccia.

La metafora d’un ‘corpo’ elettorale che esercita il potere costituente ci è di sicuro aiuto. Il corpo è bensì un unicum unitario, ma è tutt’altro che monolitico, essendo composto di parti differenti. Basta rileggere il Paolo di 1Cor 12, 12-30 per rendersene conto.

È mancata una tale visione di fondo. La sonora bocciatura, in alcuni referendum confermativi, delle riforme approvate in Parlamento sono la riprova dell’incapacità della politica di ‘dare corpo’ alle idee, alle pulsioni, alle aspirazioni del ‘corpo elettorale’ visto nella sua complessità.

E tale mancanza si conferma ancor più nella proposta di riforma della Costituzione in senso presidenzialista presentata nella scorsa legislatura dall’On. Meloni (prima firmataria) e altri. Il presidenzialismo è presentato come «via di uscita ai tristi balletti parlamentari nella formazione dei Governi, ai quotidiani riti trasformistici delle maggioranze parlamentari ondivaghe e alla strutturale debolezza di una democrazia lenta e avvitata su se stessa». E ciò per la necessità di passare da una «democrazia interloquente» a una «democrazia decidente».

La riforma auspicata diventerebbe la metafora d’un corpo dimezzato, con la scelta d’una facile scorciatoia (sostituire la “decisione” all’“interlocuzione”): come non ricordare fra l’altro che più di un elettore su tre non è andato a votare il 25 settembre? Il che vuol dire che, mantenendosi tale soglia d’astensionismo, il Presidente potrebbe essere l’espressione di circa il 33% del corpo elettorale, con esclusione del rimanente 66%.

Sarebbe invece un populismo ontologicamente compiuto, se è vero che «il populismo […] è […] un processo di costruzione della rappresentanza del ‘vero’ popolo attraverso l’esclusione e la discriminazione che un leader incarna»5.

In sintesi, il processo costituente è, nella nostra tradizione, un dinamismo di riconoscimento e di interlocuzione dialogica tra diversi, teso a garantire alle forze in gioco una rappresentanza e uno spazio politico indipendenti dall’esito elettorale futuro e dagli equilibri conseguenti. Si tratta di un modello di convivenza democratica e di costruzione di valori condivisi che genera un testo portatore di una forma di riconoscimento collettivo. Ciò che conta non è la formula istituzionale, la ‘tecnica’, bensì la sostanza dinamica del processo. Una riforma costituente che salti questo background fondativo per diventare l’imposizione di una modalità di gestione del potere politico in virtù del ‘peso’ momentaneo di una forza rispetto a un’altra, e soprattutto che non tuteli lo spirito di questo processo, perde di vista l’asse centrale simbolico del nostro assetto costituzionale.

Luca Licitra

Antonio Sichera

1M. Dogliani, Costituente (potere), in Digesto delle discipline pubblicistiche, vol. IV, Torino, UTET, 1989, pp. 281-287.

2P. Häberle parla di “pluralismo «dei» costituenti” (Potere costituente (teoria generale), in Enciclopedia giuridica, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2000, c. 4.

3L. Ferrajoli, Principia iuris. Teoria del diritto e della democrazia. 2. Teoria della democrazia, Roma-Bari, Laterza, 2009, p. 50.

4 Ci pare pure che il rawlsiano ‘velo d’ignoranza’ debba coprire non solo i membri della generazione che stipula il patto politico, ma pure quelli delle generazioni future: lungimiranza vuol dire assumere decisioni ponendosi nella condizione (ideale) di chi non solo sconosce la propria posizione all’interno della società attuale ma anche quella all’interno della catena delle generazioni.

5 Così N. Urbinati, Populismo, in Enciclopedia italiana, X appendice, L-Z, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, 2020, p. 354.

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