Il corpo e la politica: un saggio attualissimo su paura e affidamento


Appena pubblicato da Mimesis (Milano), il saggio di Luca Licitra e Antonio Sichera Ritornare ai corpi. La politica tra paura e affidamento affronta una questione decisiva per il nostro tempo. Per questo merita una recensione accurata. E’ evidente come il volume, che ha un respiro storico profondo, si alimenti tuttavia di due questioni fondamentali della attualità: la politica dei corpi durante la pandemia e di fronte alla guerra. Queste due novità, che hanno sconvolto la vita europea e mondiale negli ultimi due anni, chiedono una risposta che attinga ad una coscienza millenaria, che è il caso di ricostruire sinteticamente, come fa il volume nel suo impianto fondamentale. La cultura greca non ha una cultura “organica” del corpo: esso appare in due contesti diversi e tra loro in tensione. Da un lato il corpo è il soggetto della guerra, nella quale trionfa o perisce. D’altra parte il corpo è disturbo di una politica che pensa la “polis” in relazione all’anima, non al corpo. Se il “soma” greco deve essere dominato da anima e intelletto, nel mondo latino, e poi in quella cristiano, è il “corpus” la immagine più alta della comunità politica e della comunità ecclesiale. Essere e fare “corpo” diventa l’immaginario per eccellenza della comunità politica bene organizzata. L’apologo di Menenio Agrippa e il cap. 12 della Prima lettera ai Corinzi saranno i testi matrice di una lunghissima stagione, per la quale il “con-essere” è originario e il conflitto non appartiene al fondamento, bensì alla crisi della umanità. Il mondo moderno si apre con la diversa lettura che Th. Hobbes propone del corpo.  Anticipato dalla Magna Charta Libertatum (1215), in cui per la prima volta la inviolabilità del corpo del singolo assumeva un valore centrale, 400 anni dopo, con Hobbes il corpo diventa centrale per una visione politica nuova, che astrae dalla carne e dai sentimenti, dalle relazioni e dai legami, e pone il conflitto tra i corpi come orizzonte di un nuovo organicismo, basato sul “corpo fittizio” del Leviatano. Senza dimenticare che il testo nasce nel contesto di una guerra civile in cui il re viene decapitato (1649), esso per la prima volta pensa allo Stato come “corpo fittizio”, come “dio mortale”, al quale per paura i singoli affidano la loro libertà. La radice di questa concezione è quindi la paura di un soggetto privo di concretezza, ridotto ad alcune marche distintivee astratte (vita, proprietà, libertà) e privo di reciprocità. Questa sarà la via principe della concezione del corpo nel tempo moderno: lo Stato non solo è un corpo, ma è una macchina, è “come un orologio”. Questa lettura non fonda soltato l’assolutismo monarchico, ma anche l’assolutismo rivoluzionario e il liberalismo successivo. Il corpo del sovrano si trasforma nel corpo del popolo, ma il procedimento di astrazione resta il medesimo. La sovranità e il “corpo sociale” sono sempre “assolute” e questo diventa il tema anche del tempo successivo, quando l’ordinamento giuridico diventa il cuore di questo modo di pensare il corpo. La domanda sul soggetto della sovranità riceve così una nuova risposta: non è più né il re, né il popolo, ma è lo Stato in centro del potere. E’ una persona giuridica, non una persona fisica, che ha il monopolio della forza. Questa impostazione astratta e di “tecnica sociale” trova nel pensiero di H. Kelsen il suo modello più alto. Il corpo è considerato solo formalmente, depurato di ogni “carne”. Questo modello “puro” corrisponde ad un rigoroso controllo disciplinare proprio degli aspetti non astratti del corpo (in primis della sua dimensione igienici). Agli antipodi del pensiero di Kelsen sta il pensiero di C. Schmitt, che rifiuta l’approccio “puro” e fonda il politico sulla contrapposizione tra “amico” e “nemico”. La posizione del 1932, pericolosamente prossima al regime nazista, subirà nel 1963 una profonda revisione, uscendo dalla rischiosa assolutizzazione disumana del nemico. La astrazione moderna, comunque, inaugurata da Hobbes e dalle rivoluzioni, perfezionata dal pensiero puro di Kelsen trova il suo compimento nella “globalizzazione”, come massimo della riduzione del corpo, in un sistema di dispositivi di immagini e di istituzioni sempre più astratte. La reazione alla astrazione, tuttavia, non può consistere in un “tribalizzazione” della politica, con il rifiuto della globalizzazione mediante forme regressive di restaurazione della comunità, della autorità e della paura. La paura della perdita della identià e del benessere può indurre alla demonizzazione di soggetti marginali (ad es. i migranti) come capri espiatori di una questione ben più ampia. La guerra di tutti contro tutti aveva generato, a metà 600, il pensiero hobbesiano. Oggi ci troviamo in una situazione simile, che non ha esiti scontati. Possiamo però guardare al precedente più prossimo e più autorevole nella storia italiana: ossia alla condizione di spaesamento successiva alla II guerra mondiale, che generò la Costituzione repubblicana. Da essa possiamo trovare nuove vie di uscita alla nostra attuale condizione. La Costituzione della Repubblica italiana è frutto di un affidamento reciproco dei padri costituenti, impegnati a dare risposta seria e fondata alla paura post-bellica. Non procede per astrazioni, ma si fonda su una antropologia che assume come orizzonte la concretezza del soggetto “lavoratore”. La sovranità scaturisce dal popolo, pensato come insieme di corpi personali, qualificati da relazioni di lavoro, familiari e sociali. La Costituzione è stata una esperienza di “reciproco affidamento”, in cui le reciproche paure di superano in una “mediazione di incontro”, che genera novità. E’ la convivenza di corpi intermedi il segreto della Costituzione italiana, che è fondazione e limite di sovranità. La soluzione non è quella di un affidamento della massa al capo o della società alla tecnica razionale, ma quella di un affidamento alla relazione reale tra gli uomini. Questa vicenda di quasi 80 anni fa, ha ancora da insegnarci molto oggi.

Le pagine del volumetto si chiudono con una originale esegesi del testo biblico di Paolo, 2Cor 1,11, che usa il termine “persone” come “soggetti di cooperazione”, e che trovano nel “pregare” la loro pienezza. Da questo testo si diparte una lunga e ricca conclusione in cui a testi letterari e filosofici si intrecciano testi sacri e testimonianza toccanti. Il corpo dell’altro non è mai riducibile al “nemico”. In questo oggi la consapevolezza è acuita dalle forti esperienze della pandemia (con i suoi corpi sottratti e controllati) e della guerra (così prossima e così lacerante nel generale la indifferenza del corpo nemico): recuperare un pensiero che sappia attribuire ai corpi una dignità insuperabile e inaggirabile è il compito. Essere “chiamati a rispondere” del corpo altrui: in questa intuizione finale della Casa in collina di C. Pavese si manifesta, in fondo, il punto geometrale di quel rapporto col corpo, che Rilke ha definito “corpo primogenito” e che san Francesco ha chiamato “fratello corpo”. Questo ritorno profetico al corpo responsabile e ad una nozione non astratta di persona trova nella Costituzione e nella profezia i suoi fondamenti. Nel dibattito che provedibilmente occuperà i prossimi mesi intorno alla Costituzione Italiana, questa lettura appare singolarmente pertinente e capace di sollecitare una riflessione di particolare valore.

Share