Novità, limiti e sfide delle “benedizioni pastorali” (di M. Gallo)


Ho chiesto a Marco Gallo, teologo in Italia e in Francia e direttore di Rivista di Pastorale Liturgica, di commentare il testo di FIducia Supplicans, data la sua grande competenza sul tema della “benedizione” di cui ha studiato il fenomeno religioso e teologico come pochi altri. Ne è emerso un post più lungo del solito, ma la cui lettura permette di identificare nuove questioni e nuove possibilità di lettura della Dichiarazione del Dicastero per la dottrina della fede, anche in rapporto al “lavoro sinodale” che nel frattempo deve trovare i suoi temi e le sue forme. Lo ringrazio per la pronta e competente risposta, che aiuta a non polarizzare una recezione che esige lungimiranza e coscienza dei limiti, e che sul piano liturgico non dimentichi di collocarsi nell’orizzonte che Magnum Principium ha riaperto nel 2017 e che, nel caso specifico, sembra dimenticato dalla vocazione universalistica della Dichiarazione, che non tiene conto delle esigenze di inculturazione che il “benedire” chiede quasi come sua logica elementare. (ag) 

 


Benedizioni pastorali” in Fiducia supplicans

Vere novità, limiti significativi e sfide affascinanti

di Marco Gallo

Fiducia supplicans è un evento che irrompe quasi d’improvviso, a metà di un complesso processo sinodale. Il suo contributo teologico ha il valore di una reale innovazione nel magistero della Chiesa – da qui la scelta stilistica della Dichiarazione. La questione è centrale, la soluzione immaginata lascia però molto perplessi. E, a partire dalle repentine levate di scudi, lascia intravvedere una affascinante sfida sulla forma di chiesa cattolica del futuro, insieme unita e realmente inculturata.

Inedito (e forse inatteso): reazioni numerose e immediate di vescovi

Le reazioni alla Dichiarazione Fiducia supplicans costituiscono in meno di un mese un dossier già piuttosto consistente. Non mi risulta che documenti magisteriali anche ben più impegnativi e fondamentali abbiano suscitato nulla di paragonabile (né Evangelii Gaudium, che contiene dinamiche di riforma pastorale assai radicali, né Laudato si’ o Fratelli tutti con la loro impegnata critica al nostro stile di vita, e sorprendentemente nemmeno di Amoris Laetitia, logica dalla quale questa dichiarazione senza dubbio dipende). Dal 18 dicembre abbiamo invece assistito alla repentina presa di posizione di decine di Conferenze episcopali nazionali e regionali. Certo, si può notare che sul numero totale si tratta di una minoranza, e che cominciano ad esserci anche alcune dichiarazioni ufficiali a sostegno, ma il fatto in sé merita di essere visto e interpretato.

È pur sempre vero che quando si prendono decisioni relative alla liturgia (cfr. Traditionis custodes) o ci si esprime sulla tematica dell’affettività, si suscita normalmente una reazione più immediata e non di rado di resistenza. Era dunque prevedibile che questa dichiarazione, che tocca entrambi i nervi sensibili della cattolicità (liturgia e sessualità), avrebbe acceso gli animi.

Tra i vescovi che hanno preso la decisione di esprimere la loro opinione in forma ufficiale, la gran parte si presenta perplessa e diversi sono estremamente critici. Mi risulta che la questione si concentri sull’opportunità delle benedizioni alle coppie omosessuali, e non in particolare per le coppie in nuova unione. Che il numero ed il tono delle reazioni siano significativi è, infine, ben comprensibile dal Comunicato stampa del card. Prefetto Fernandéz e del segretario Matteo del 5 gennaio, che intende aiutare e chiarire la ricezione della Dichiarazione.

Polarizzazione e comunicazione: audio e video più critici, scritti più favorevoli.

Non solo comunicati ufficiali fanno parte del dossier su Fiducia supplicans, chiaramente. Tra le numerose voci dei commentatori che si impegnano più diffusamente a ricostruire il contesto della dichiarazione del Dicastero e ne analizzano le dimensioni teologiche o pastorali colpisce una certa e significativa modalità comunicativa. Le voci più esplicitamente critiche sul testo sono più facilmente reperibili nel formato video o podcast. Riviste o giornali, blog o i profili che ospitano testi scritti presentano invece un approccio più favorevole. Senza immaginare chissà quale strategia, mi sembra tuttavia di cogliere una certa dinamica polarizzante: il linguaggio ed i simboli di appartenenza si divaricano tra chi si impegna nella produzione di materiale più rapidamente divulgativo-polemico e la più riflessione teologica per iscritto.

Che cosa resta da dire?

Sono convinto che continuare a moltiplicare le prese di parola rischia di accentuare la china polarizzante. Perché il dialogo invece sia possibile, ritengo utile che si continui a lavorare sul chiarimento degli elementi di fondo, perché l’ascolto reciproco sia più produttivo.

Senza ricostruire lo status del dibattito, mi sembra che alcune questioni si debbano ancora far presenti alla riflessione e non siano state debitamente raccolte. Penso in particolare all’uso della categoria di benedizione che viene fatto e al complesso rapporto con il processo sinodale. La mia ipotesi è che, piuttosto che davanti al rischio di uno scisma, abbiamo l’occasione (certo non priva di rischi ma anche di opportunità) di una forma di unità cattolica diversa, che la teologia ha il dovere di irrobustire.

C’è del nuovo

Dal Reponsum del 22 febbraio 2021 a Fiducia supplicans del 18 dicembre 2023, il tentativo di cucire in una certa continuità il discorso è visibile, ma ancora più evidente è la consapevolezza di intervenire con uno sviluppo reale, non ripetitivo:

Tale riflessione teologica, basata sulla visione pastorale di Papa Francesco, implica un vero sviluppo rispetto a quanto è stato detto sulle benedizioni nel Magistero e nei testi ufficiali della Chiesa. Questo rende ragione del fatto che il testo abbia assunto la tipologia di “Dichiarazione”.

Pur esprimendo in tutta chiarezza che “resta ferma la dottrina tradizionale circa il matrimonio” e “non ammettendo nessun tipo di rito liturgico o benedizioni simili a un rito liturgico che possano creare confusione” (FS), c’è la volontà di offrire un novum. Questa discontinuità si realizza in un’autorizzazione della pratica pastorale di “benedire le coppie in situazioni irregolari e le coppie dello stesso sesso, senza convalidare ufficialmente il loro status o modificare in alcun modo l’insegnamento perenne della Chiesa sul matrimonio”. Ma la più macroscopica delle differenze è senza dubbio la questione teologica e sacramentale del grado di analogia e differenza tra sacramenti e sacramentali, tra matrimonio e benedizioni, nello specifico.

Nel Responsum, si dichiaravano illecite le benedizioni di unioni omossessuali proprio sulla base di un rapporto di coerenza tra i sacramentali e i sacramenti. Il testo di appoggio citato era il n. 10 dei praenotanda del De Beneditionibus, in cui si dice delle benedizioni che sono «istituite in certo qual modo a imitazione dei sacramenti». Così si concludeva:

Di conseguenza, per essere coerenti con la natura dei sacramentali, quando si invoca una benedizione su alcune relazioni umane occorre – oltre alla retta intenzione di coloro che ne partecipano – che ciò che viene benedetto sia oggettivamente e positivamente ordinato a ricevere e ad esprimere la grazia, in funzione dei disegni di Dio iscritti nella Creazione e pienamente rivelati da Cristo Signore. Sono quindi compatibili con l’essenza della benedizione impartita dalla Chiesa solo quelle realtà che sono di per sé ordinate a servire quei disegni. Per tale motivo, non è lecito impartire una benedizione a relazioni, o a partenariati anche stabili, che implicano una prassi sessuale fuori dal matrimonio (vale a dire, fuori dell’unione indissolubile di un uomo e una donna aperta di per sé alla trasmissione della vita), come è il caso delle unioni fra persone dello stesso sesso (Responsum).

Lecita, dunque, resta la benedizione individuale, ma non la benedizione di una relazione non ordinata rispetto alla forma del sacramento.

Qui inizia l’integrazione magisteriale nuova. Fiducia supplicans intende accogliere l’invito di Francesco “a fare lo sforzo di ampliare ed arricchire il senso delle benedizioni” (7). Così al n. 12, si va esplicitamente oltre questa coincidenza della richiesta delle condizioni morali che si chiedono per i sacramenti e quelle necessarie per le benedizioni, perché questa posizione forza la benedizione in un controllo ecclesiale che non le è connaturale, che costituirebbe un “grave impoverimento”, che è quello del controllo eccessivo, ed alla paralisi nell’accompagnamento pastorale spontaneo e libero (36):

Infatti, vi è il pericolo che un gesto pastorale, così amato e diffuso, sia sottoposto a troppi prerequisiti di carattere morale, i quali, con la pretesa di un controllo, potrebbero porre in ombra la forza incondizionata dell’amore di Dio su cui si fonda il gesto della benedizione (12).

Per questo si offre una comprensione più ampia della benedizione, che fa riferimento alla ricchissima fenomenologia biblica, alla ricerca di un “approccio maggiormente pastorale alle benedizioni” (21). Il maggior spazio di differenza rispetto ai sacramenti è individuato nel carattere di invocazione di aiuto che chi richiede una benedizione rivolge a Dio, per vivere meglio, con la fiducia di non confidare solo nelle proprie forze, per uscire dagli spazi angusti di un mondo senza grazia. Nella libertà semplice della pietà popolare, le benedizioni sono considerate “espressioni di fede”, che quando sono richieste “al di fuori di un quadro liturgico” si esprimono “con maggiore spontaneità e libertà”. Considerate così, le benedizioni cessano di essere un rischio o un problema e diventano una risorsa pastorale da valorizzare (23), per la quale non è necessario chiedere alle persone una previa perfezione morale (25), “senza chiedere nulla” (27). “È un seme dello Spirito Santo che va curato, non ostacolato” (33).

L’umanità supplica, ed è Dio che benedice per primo senza smettere mai, qualsiasi sia la condizione della persona. E il ministro ordinato – fatte salve tutte le condizioni di prudenza ed evitato ogni scandalo – è incoraggiato a mettersi accanto e unirsi alla preghiera di chi, in qualsiasi condizione, si affida al Signore, invoca il suo aiuto, vuole procedere nel suo disegno di amore e verità. Si fa riferimento a benedizioni “che non si trovano nel Benedizionale” (35), “non ritualizzate” e che non diventano “un atto liturgico o semi-liturgico simile a un sacramento” (36), per le quali non è necessario che ci sia sempre una norma o una procedura, un rito (37).

È ben evidente che il pronunciamento rovescia il precedente a partire da una teologia sacramentaria che sa leggere l’analogia sacramenti / sacramentali facendo della loro dissomiglianza non una contraddizione, ma uno spazio. Si esce dal modello binario del Responsum (dentro-fuori, ordinato-non ordinato, lecito-non lecito), per entrare in un sistema più complesso, per il quale è certamente richiesto l’esercizio della prudenza e del discernimento – diffusamente argomentato in Amoris Laetitia e fondato sulla rilettura missionaria di ogni atto ecclesiale di Evangelii Gaudium. Se c’era una dialettica di incoerenza era quella tra il Responsum e le due citate esortazioni apostoliche di Francesco. Fiducia supplicans esplicita senza ambiguità ciò che queste dinamiche avevano già fondato.

Le benedizioni pastorali: ragioni per una definizione per spogliazione

Per tenere insieme i suoi due poli teorici (i medesimi delle Respuestas del Papa ai Dubia dei cardinali), e cioè l’invariata teologia del matrimonio e la carità pastorale verso chi non vi rientra, lo strumento individuato è dunque quello delle cosiddette “benedizioni pastorali” non liturgiche (o non ritualizzate, o senza forma liturgica).

Su questa differenza tra benedizioni liturgiche (e quindi parte di azioni sacramentali o tratte da libri rituali come il Benedizionale, celebrate in un contesto rituale) e forme più libere si fonderebbe secondo Fiducia supplicans la possibilità di evitare ogni confusione con ciò che sarebbe inteso come analogo al contenuto di un matrimonio.

Le caratteristiche di questi atti sono delineate con una certa ampiezza di particolari: saranno brevi (28) tanto da durare pochi secondi, non possono avvenire nel contesto dei riti civili (39), non prevedono abiti liturgici, né gesti o parole tipiche del rito delle nozze cristiane, non in un luogo importante dell’edificio sacro, soprattutto non all’altare, avvengono in altri contesti (40), magari durante un pellegrinaggio, senza rituale o schema pubblicato. Non c’è concorso della comunità, né ministerialità di altri: si tratta della risposta di un ministro ad una specifica domanda (improvvisata?) di alcuni credenti. Il gesto stesso nella sua essenzialità è un annuncio del kerygma e un invito ad avvicinarsi all’amore di Cristo (44). Il comunicato stampa del 4 gennaio 2024 va oltre, precisando che non è opportuno che i vescovi offrano altri orientamenti pastorali, perché questo concorrerebbe a fare di questi gesti semplici qualcosa di tendenzialmente ambiguo.

L’intento è quello di spogliare di ogni carattere rituale di atto liturgico queste benedizioni, per escluderne ogni valore giuridico e ogni riconoscimento ecclesiale, per le coppie in nuova unione e omosessuali. L’intento è non variare la dottrina sul matrimonio: la teologia del sacramento nuziale mostra, infatti, che tipico della benedizione di una coppia è il passaggio puntuale tra un prima e un dopo. Essa si dà nella forma rituale di una consacrazione, condivisa con altri sacramentali come le istituzioni di ministri e le professioni monastiche e religiose. In questo senso, le benedizioni maggiori devono prevedere un rituale riconosciuto dall’autorità competente e hanno degli effetti riconosciuti dal diritto canonico.

Ora, rispetto a queste, le “benedizioni pastorali” di FS emergono quasi solo in negativo (non liturgiche, non rituali, non scritte, non all’altare …), con una lunga serie di negazioni, per differenza e sottrazione. Certo, in positivo si afferma che sono un’espressione di fede, una manifestazione del kerygma di salvezza, parte della pietà popolare. Le perplessità rispetto a questi gesti minimali sono due: tale “spogliazione” è l’unico modo di garantire la differenza? E soprattutto, è ecclesialmente sostenibile?

Costruire la differenza dentro il rito, non senza

Proprio il De Benedictionibus citato costituisce invece un quadro in cui si sarebbe potuto lavorare a una forma differente di benedizioni, senza per questo negare ogni differenza. Il rituale riformato, infatti, contiene solo benedizioni non istitutive, senza conseguenze giuridiche. Eppure, per i numerosissimi casi previsti, dai più ordinari (benedizione di alimenti, animali, automobili) a più raffinati (fidanzamento, figli, anniversari di nozze, malati), si costruisce un quadro rituale elastico (forma lunga, forma breve), con una dinamica fondamentale (radunarsi, ascolto della Parola, intercessioni, benedizione) che difende la dignità semplice del rito. Il Benedizionale non prescrive, ma invita a prendersi il tempo, a visitare ambienti esterni o invitare nell’aula liturgica, a cedere la parola, a dialogare. In una parola, vi troviamo delle vere liturgie costruite sulla loro identità, non per sottrazione di ciò che è altro.

Si può agire verso le relazioni di legami non sacramentali, con la stessa logica con la quale si benedicono neonati, campi e negozi, strade, ponti e fonti d’acqua senza credere che ciò che è benedetto diventi sacro, e nemmeno senza fermarsi all’accusa qualcuno li può leggere come gesti ambigui, superstiziosi e magici. È conveniente sfidare la confusione perché crediamo che la verità renda liberi e possa venire alla luce: non basta benedire le persone, perché l’essere umano non esiste senza il mondo delle cose, degli ambienti e soprattutto senza relazioni. Negare la benedizione agli animali domestici o in occasione dell’apertura di una attività in cui ci si gioca tutto il futuro corrisponde al non benedire la persona stessa che vi è implicata con la sua storia per come sta realizzando. Ed è proprio il rito ad abitare questa dinamica, perché accoglie la Parola e se ne appropria per rileggere la realtà secondo il linguaggio della Rivelazione. Le benedizioni del De Benedictionibus non sono assoluzioni, istituzioni, consacrazioni. La Parola proclamata non di rado richiama severamente alla responsabilità, ai poveri, alla conversione.

Come potranno invece creare una vera conversazione ecclesiale queste spoglie benedizioni pastorali per le quali i ministri non potranno avere libri approvati? Fiducia supplicans non produce paradossalmente un effetto censurante rispetto ai lenti processi in cui Conferenze episcopali e diocesi stavano camminando nel comporre riti di benedizione per coppie in nuova unione?

Conclusione: disarticolazione del Sinodo e forma di cattolicità

Che tipo di esercizio di magistero corrisponde a Fiducia supplicans? Chi ha composto il testo, ha raccolto la sfida di Praedicate evangelium in cui si immagina il funzionamento di ogni atto di curia come risultato di un processo di ascolto reciproco tra popolo, collegio episcopale, vescovo di Roma. Nel testo della Dichiarazione dove trova risonanza l’esercizio sinodale di ascolto delle coppie credenti in nuova unione o omosessuali. Chi sono gli interlocutori del testo, i soli pastori? Sarebbe interessante ascoltare le domande e le osservazioni da parte di coloro che richiedono queste benedizioni pastorali. Si riconoscono in questa figura di credente che chiede e riceve, e non offre nulla?

La pubblicazione della Dichiarazione sembra perciò giungere come sviluppo di dinamiche interne al magistero episcopale, senza alcuna articolazione chiara con il processo sinodale in atto. In numerosi contesti culturali, i lavori preparatori – anche in Italia, e non solo nel più discusso Synodaler Weg tedesco – hanno fatto emergere la domanda sul posto ecclesiale per le coppie credenti in unione omosessuale: la tematica ha faticato a trovare una trattazione diffusa durante i lavori del Sinodo sulla sinodalità dell’ottobre 2023. Fiducia supplicans irrompe improvvisamente sulla scena, sparigliando le carte, con una modalità che impone di portare in aula sinodale non (sol)tanto la questione della morale sessuale nel cattolicesimo contemporaneo, ma finalmente il suo legame con le differenti culture e antropologie nel mondo. Davvero, è possibile che il magistero universale si espliciti una sola antropologia cristiana estendibile in ogni latitudine? È fortemente istruttivo analizzare la forma delle risonanze critiche alla Dichiarazione, perché queste fanno emergere una dissonanza che riverbera nel modo di lavorare in esegesi sulla Scrittura, nello statuto teologico della coscienza a cui si offre la verità, e quindi nella forma di comunione ecclesiale. Il principio con il quale si apre Amoris laetitia ci sembra la vera sfida:

Ricordando che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte le discussioni dottrinali, morali o pastorali devono essere risolte con interventi del magistero. Naturalmente, nella Chiesa è necessaria una unità di dottrina e di prassi, ma ciò non impedisce che esistano diversi modi di interpretare alcuni aspetti della dottrina o alcune conseguenze che da essa derivano. Questo succederà fino a quando lo Spirito ci farà giungere alla verità completa (cfr Gv 16,13), cioè quando ci introdurrà perfettamente nel mistero di Cristo e potremo vedere tutto con il suo sguardo. Inoltre, in ogni paese o regione si possono cercare soluzioni più inculturate, attente alle tradizioni e alle sfide locali. Infatti, «le culture sono molto diverse tra loro e ogni principio generale […] ha bisogno di essere inculturato, se vuole essere osservato e applicato» (AL 3).

Se per la liturgia, si è dato inizio con Magnum principium a un processo che dà fiducia ai contesti culturali e linguistici di generare forme plurali dello stesso rito cattolico romano, la stessa direzione va ora percorsa non in tono minore per le altre pratiche in cui i credenti cattolici cercano di vivere il Vangelo.

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