Munera 3/2023 – Andrea Grillo » Sul principio di autorità in teologia e il “dispositivo di blocco” della tradizione

Vorrei riflettere brevemente su un modello di argomentazione che, a partire dagli anni ’70 del secolo scorso, si è diffuso nel discorso teologico del magistero cattolico e ha assicurato progressivamente una vera e propria “paralisi” di quell’orientamento alla riforma e ai processi di aggiornamento provvidenzialmente reintrodotto dal Concilio Vaticano II nella vita della Chiesa. Si tratta di uno stile magisteriale basato su una strategia paradossale: negando la propria autorità, esso conserva tutta la sua autorità.

Non stupisce che, nel dibattito ecclesiale scaturito dalle parole profetiche di papa Francesco sulla “Chiesa in uscita” e sul superamento dell’autoreferenzialità, non si sia ancora chiaramente compreso quanto la priorità, che giustamente il Papa ha enunciato fin dai primi giorni del suo ministero – e che già era chiaramente presente nel suo testo presentato alla Congregazione dei Cardinali in conclave – richieda una profonda revisione dello stile con cui la Chiesa pensa e agisce rispetto al tema del “potere” e dell’“autorità”. Per poter uscire dall’autoreferenzialità e diventare davvero eteroreferenziale – ossia per non mettere al centro sé, ma l’Altro e gli altri – la Chiesa deve anzitutto riconoscere di essere investita di una reale ed efficace autorità. In altri termini, essa deve poter confidare nella possibilità di intervenire autorevolmente sulla propria dottrina e disciplina – su ciò che pensa di sé e su ciò che fa di sé –, senza cedere alla tentazione di impedirsi un ripensamento, magari in nome della fedeltà alla tradizione.

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