Sul Nuovo Messale: impressioni a caldo (di Massimo Naro)
Ho ricevuto da Massimo Naro, teologo e amico, queste “impressioni a caldo” sulla nuova traduzione del Messale Romano, ormai in distribuzione. Mi sembra che la sua analisi, per quanto “a caldo”, porti alla luce, oltre ai meriti della nuova edizione, anche alcuni limiti, che devono essere considerati e discussi con attenzione e rispetto. Ci sono buone ragioni per identificare, nella nuova edizione, alcune tracce di quel “movimento letteralista” (ed estetizzante) che dal 2000 al 2018 ha imperversato sui progetti e sulle versioni liturgiche di tutta la Chiesa cattolica. Rilevarne la presenza è un atto di onestà del tutto necessario. Per questo pubblico le sue “brevi note”, di cui lo ringrazio, con la speranza che possano alimentare un dibattito serio e sereno sulla “piena riapertura” della Chiesa, dopo che la delicata fase del “distanziamento” avrà trovato la sua conclusione. Sarebbe paradossale che per “aprirci” ci chiudessimo in linguaggi parzialmente inadeguati. (ag)
Impressioni a caldo e conseguenti riflessioni
sulla nuova versione italiana del Messale
di Massimo Naro
Da qualche giorno è in circolazione il pdf della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano, che – stampato in volume cartaceo – verrà usato nella celebrazione della messa in tutte le diocesi italiane presumibilmente a cominciare dal prossimo tempo liturgico di Pasqua.
Sui cambiamenti inseriti in parti della messa che i fedeli pregano tutti insieme a viva voce (per esempio il Pater noster, o il Gloria), già nei mesi scorsi anticipati su diversi media, inevitabilmente tanti commentatori si stanno già concentrando, discutendo sul loro autentico significato, sulla effettiva loro opportunità, sull’efficacia o meno del criterio di “letteralità” in virtù del quale sono stati inseriti traducendo dall’originale latino del Messale e talvolta dal greco o dall’ebraico della Bibbia, sul perché tale criterio sia stato fatto valere per alcune espressioni invece che per altre, sul motivo per cui sia stato applicato in un senso piuttosto che in un altro.
Di primo acchito, comunque, tali cambiamenti suonano bene. Per quanto mi riguarda, è forse utile segnalare alcune altre variazioni, disseminate in alcune parti delle preghiere eucaristiche affidate alla sola voce viva del ministro che presiede l’eucaristia, giacché danno invece l’impressione di “dissonare” dal punto di vista teologico ed ecclesiologico in particolare.
Per esempio, nella seconda preghiera eucaristica, a un certo punto si arriva a dire «in unione con il nostro papa, il nostro vescovo, i presbiteri e i diaconi», quest’ultima espressione – che evidenzio qui col corsivo – posta in sostituzione della precedente «e tutto l’ordine sacerdotale». Confesso che avevo sperato molto che fosse piuttosto precisata chiamando in causa l’intero popolo ecclesiale che – in forza del battesimo – si configura tutto quanto come un «popolo di sacerdoti», costituito da membri che sono tutti parimenti «re, sacerdoti e profeti». Così, infatti, dice l’annuncio cristiano espresso nella prima lettera di Pietro (2,9-10): «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato affinché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia», brano neotestamentario – questo – che riecheggia quello antico testamentario di Esodo 19,6. Insomma, in questo caso, la nuova versione italiana del Messale a me pare enfatizzi il senso chiericale ed ecclesiastico dell’espressione «ordine sacerdotale», che pur mi sembra – implicitamente almeno – includere un orizzonte ecclesiale ben più vasto e composito del solo segmento ecclesiastico-gerarchico. A mio modesto parere, sarebbe stato più coerente alla valenza comunitaria dell’azione eucaristica che il testo della seconda preghiera eucaristica fosse stato in questo passaggio limato con l’espressione «e tutto il popolo sacerdotale».
Oppure, per fare un altro esempio, nella terza preghiera eucaristica, si legge questa nuova versione: «Ti preghiamo, o Padre: questo sacrificio della nostra riconciliazione doni pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro papa, il nostro vescovo, l’ordine episcopale, i presbiteri, i diaconi e il popolo che tu hai redento». Anche qui: cambiare la precedente espressione («collegio episcopale») con l’espressione «ordine episcopale», peraltro distinto marcatamente dai presbiteri e dai diaconi, che sembrano esserne lasciati al di fuori (quasi che il sacramento del ministero ordinato dei vescovi fosse diverso da quello dei presbiteri e diaconi, o quasi che presbiteri e diaconi non fossero coinvolti nel sacramento del ministero ordinato), mi sembra un intervento che va persino in direzione di una sempre più enfatizzata “gerarchizzazione” della concezione della Chiesa e del sacramento dell’ordine.
Ho l’impressione che chi ha curato la nuova edizione italiana del Messale abbia ceduto alla sirena estetizzante che già aveva frastornato i curatori dei nuovi lezionari pubblicati qualche anno fa. Qui la situazione, sotto questo riguardo, appare peggiorata, perché la tendenza estetizzante, che del resto si sposa bene con la tendenza letteralistica (ne è esempio emblematico quella «rugiada dello Spirito Santo» che nella seconda preghiera eucaristica sostituirà la precedente «effusione dello Spirito Santo»), abbia distratto i curatori proprio da quei passaggi importanti in cui la comunitaria (vogliamo dire “agapica”?) soggettualità ecclesiale finisce per pagare un dazio pesante a certe tendenze chiericalizzanti e gerarchizzanti.
Massimo Naro
Per quanto riguarda la “rugiada dello Spirito”, si ricupera una immagine biblica di grande spessore.
Mi pare che nella Chiesa si possano riconoscere tre riduttive tendenze, spesso figlie della prima di esse: razionalismo, spiritualismo, pragmatismo. Forse nel tempo potrà scaturirne un traboccamento verso una spiritualità (dallo spiritualismo) in geaduale, pieno di buonsenso nella fede, personalissimo cammino (dal pragmatismo) verso e grazie ai riferimenti essenziali della fede (dal razionalismo). Dunque non mi iscrivo in nessuna corrente e vedo il buono di ciascuna e l’oltre possibile. Specie dalla gente, che cerca con semplicità vita autentica perché è meno strutturata.
Le citate vivisezioni dunque talora orientano ad una certa praticoneria. Forse è il caso, domando con amore e rispetto, del non ci indurre in tentazione. Il razionalismo può tendere a frammentare, a non vedere vissutamente l’insieme, a leggere anche il vangelo a pericopi e frasi separate tra loro. È più difficile così cogliere il senso di tante cose. Ratzinger ha osservato che quando non si comprende un brano delle scritture, una parola, non bisogna cambiarla ma attendere di ricevere il dono della sua interpretazione. https://gpcentofanti.altervista.org/la-professione-di-fede-di-gesu-il-padre-nostro/
Salve professore, nel leggere la riflessione del prof. Naro sulla nuova traduzione del Messale Romano ho avuto l’impressione che essa non colga propriamente nel segno. Mi spiego. Nella seconda Preghiera eucaristica la frase “in unione con il nostro papa, il nostro vescovo, i presbiteri e i diaconi” traduce l’espressione latina “una cum Papa nostro N. et Epíscopo nostro N. et univérso clero”. Con l’espressione “ordine sacerdotale” la traduzione corrente rendeva l’espressione “universo clero” che la nuova traduzione ha scelto di sciogliere traducendo “i presbiteri e i diaconi”. In nessun modo si può desumere dal testo tipico alcun riferimento al popolo sacerdotale, questo può essere un limite, ma non è un limite della traduzione ma della fonte che richiede ben altri interventi. Nella terza preghiera eucaristica l’espressione “l’ordine episcopale, i presbiteri, i diaconi e il popolo che tu hai redento” rende il testo latino “cum episcopáli órdine et univérso clero et omni pópulo acquisitiónis tuæ”. Anche qui si è scelto di rendere l’espressione “universo clero” con ” i presbiteri e i diaconi”.
L’espressione “ordine episcopale” che traduce l’espressione latina “episcopáli órdine” è distinto dai presbiteri e dai diaconi perché qui è sinonimo di “collegio episcopale” e non ha a che fare con la comune appartenenza al sacramento dell’ordine. In ultimo, forse perché non ho la finezza del teologo, mi lascia con un punto interrogativo l’affermazione “cambiare la precedente espressione («collegio episcopale») con l’espressione «ordine episcopale», peraltro distinto marcatamente dai presbiteri e dai diaconi, che sembrano esserne lasciati al di fuori (quasi che il sacramento del ministero ordinato dei vescovi fosse diverso da quello dei presbiteri e diaconi, o quasi che presbiteri e diaconi non fossero coinvolti nel sacramento del ministero ordinato), mi sembra un intervento che va persino in direzione di una sempre più enfatizzata “gerarchizzazione” della concezione della Chiesa e del sacramento dell’ordine” in quanto, salva la comune appartenenza al ministero ordinato, se l’ordine è distinto in tre gradi una differenza tra un grado e l’altro ci deve pur essere.
Caro Sergio Meligrana,
le chiarificazioni sul piano testuale sono sempre importanti, anche quando non risolvono tutti i problemi. La ringrazio per il suo intervento.
Carissimo don Massimo, da tanto non avevo tue notizie e quest’ultima mi fa piacere perché ti sento vivo e vivace. Come sai non sono né liturgia né liturgista quindi aci capisco poco e non sono in grado di giudicare. Vedo che il tuo articolo ha suscitato dialogo… sempre ottima cosa!
Auguri per il tuo lavoro Sun saluto caro.
Caro don Massimo, lo so di dirlo da incompetente, che fra l’altro non ha sottomano la nuova traduzione cui ti riferisci (ma la cerco!), ma mi pare che le tue osservazioni siano pertinenti. Sono ambrosiana quindi questo è il rito che mi “appartiene” e so quasi niente del romano, però mi pare che tu abbia ragione. Quelli riferiti mi paiono “bizantinismi” che non tengono conto del sentire popolare che non va tanto per il sottile, forse, ma che cerca di fare propria la preghiera, nella comunità non singolarmente, e anche di lasciarsi coinvolgere nel rito… che non gli sembri estraneo… Noi laici non capiamo magari troppo di liturgia, ma ne sentiamo il soffio beatificante sulla nostra pelle…
Grazie molte a tutti per le osservazioni. Le mie riflessioni a caldo sulla nuova edizione italiana del messale sono semplici inviti a pensare sugli aspetti importanti della preghiera comunitaria per eccellenza, che è di fatto a messa. Non si tratta per me di precisare la traduzione dal latino (il testo latino quello che è, effettivamente è), ma di pensare che la Chiesa del terzo millennio, se vuole essere coerente – uso qui un’espressione un po’ paradossale – alla propria “identità in metamorfosi”, deve riformulare anche la sua preghiera, e di converso per rinnovarsi veramente deve prendere sul serio la sua stessa preghiera.
Un cordiale saluto, don M.
Nella mia parrocchia, da almeno 15 anni abbiamo introdotto sia la nuova versione del Padre Nostro “e non abbandonarci alla tentazione”, sia nel Gloria “agli uomini che egli ama” (nuova versione: “amati dal Signore”.
Nell’anafora II, all’affermazione «e tutto l’ordine sacerdotale» si aggiunge: “che è il popolo dei battezzati”, così pure quando si fa riferimento ai “santi”, specifichiamo “ai santi e alle sante del cielo e della terra”. Oltre a questo segnalo che il vero problema è il lezionario, dove il liturgo sceglie le pericopi senza conoscere né esegesi né, mi viene da dire la Bibbia: tagli fatti casaccio, a chili e non seguendo il senso del teso, anche letterario, perché un taglio di testo fatto male, può anche cambiare il senso proprio del testo stesso. Vorrei che il liturgo fosse accompagnato, nella scelta dei brani, da un esegeta esperto, altrimenti la liturgia resta chiusa e fossilizzata nel recinto moralistico e non sulla profezia della Parola che è criterio di lettura e di giudizio sull’oggi credente. Un caro saluto ad Andrea per il suo provvidenziale servizio e a tutti e tutte con amicizia e condivisione. Paolo Farinella, prete – Genova
Ho trovato nel dizionario che “ordine” sta anche ad indicare una “successione”, in questo caso la successione apostolica. Un’altra accezione è quella di “associazione”. Probabilmente nella nuova versione si è voluto mettere l’accento sul primo significato mentre, nell’attuale (collegio), cadeva sull’associazione. Devo dire che preferisco l’attuale.
Nel proemio del messale al n. 95 viene precisato che “I fedeli nella celebrazione della Messa formano la gente santa, il popolo che Dio si è acquistato e il sacerdozio regale, per rendere grazie a Dio, per offrire la vittima immacolata non soltanto per le mani del sacerdote ma anche insieme con lui, e per imparare a offrire se stessi. Procurino quindi di manifestare tutto ciò con un profondo senso religioso e con la carità verso i fratelli che partecipano alla stessa celebrazione.
Evitino perciò ogni forma di individualismo e di divisione, tenendo presente che hanno un unico Padre nei cieli, e perciò tutti sono tra loro fratelli”.
Questo comunque non mi toglie i dubbi che fosse meno ambigua la versione attuale mentre la nuova mi pare vada a toccare uno spazio irrisolto dal Concilio (il rapporto tra sacerdozio universale e ordine sacro) sul quale la riflessione è sempre stata bloccata e, alla base di questo, a mio avviso sta il deleterio clericalismo che fa ancora oggi affermare che l’Ordine Sacro si colloca a mediazione tra Dio e i credenti in Lui e che è per questo che, a coloro ai quali è stato conferito, si devono chiamare“sacerdoti” (in un mio dibattito di circa due settimane fa con un prete che sta iniziando il dottorato di Diritto Canonico a Venezia: sic!)
A mio modesto parere, si dovrebbe prendere in considerazione il fatto che l’editio typica del messale romano con cui celebriamo in questo nostro post-concilio è in alcuni luoghi rimasta molto debitrice alle formulazioni latine del messale romano tridentino., le quali – a loro volta – esprimevano una ben precisa sensibilità ecclesiologica che teologi contemporanei come Congar hanno non a torto definita “gerarcologica”. Mi pare il caso del passaggio della seconda preghiera eucaristica su cui mi sono permesso di attirare la vostra attenzione.
Con ciò non voglio dire che la seconda preghiera eucaristica sia ripresa dal messale tridentino. Voglio dire che il latino usato per formularla mi pare – ma posso forse sbagliarmi – un latino che riecheggia in taluni passaggi un “sentire” ecclesiologico tridentino, ben espresso -direi: giustamente, o naturalmente- nel rito “di san Pio V”.
Tale “sentire ecclesiologico”, infuso e tradotto in quel rito liturgico della messa, non riconosceva al “popolo” altro ruolo che quello della presenza fisica (nel migliore dei casi), non propriamente della partecipazione… La messa finiva per essere una preghiera e un’azione liturgica del clero (dei chierici: vescovi e presbiteri). Quel passaggio della seconda preghiera eucaristica del messale romano edito da Paolo VI, su cui qui stiamo ragionando in particolare (quel “pro universo clero”), mi pare riproponga – pur nel dopo-Vaticano – quella concezione ecclesiologica… Ecco perché pregare in quel passaggio della seconda preghiera eucaristica “per tutto l’ordine sacerdotale”, oppure “per il collegio episcopale, per i presbiteri e per i diaconi”, è equivalente: non cambia nulla rispetto alla convinzione ecclesiologica post-tridentina e si continua a non includere nella preghiera tutto quanto il popolo ecclesiale (quindi anche i battezzati laici)… Ma il popolo ecclesiale non è forse tutto quanto sacerdotale (nei termini spiegati nel Proemio del messale)?