Sul Nuovo Messale: impressioni a caldo (di Massimo Naro)


NMR2020

Ho ricevuto da Massimo Naro, teologo e amico, queste “impressioni a caldo” sulla nuova traduzione del Messale Romano, ormai in distribuzione. Mi sembra che la sua analisi, per quanto “a caldo”, porti alla luce, oltre ai meriti della nuova edizione, anche alcuni limiti, che devono essere considerati e discussi con attenzione e rispetto. Ci sono buone ragioni per identificare, nella nuova edizione, alcune tracce di quel “movimento letteralista” (ed estetizzante) che dal 2000 al 2018 ha imperversato sui progetti e sulle versioni liturgiche di tutta la Chiesa cattolica. Rilevarne la presenza è un atto di onestà del tutto necessario. Per questo pubblico le sue “brevi note”, di cui lo ringrazio, con la speranza che possano alimentare un dibattito serio e sereno sulla “piena riapertura” della Chiesa, dopo che la delicata fase del “distanziamento” avrà trovato la sua conclusione. Sarebbe paradossale che per “aprirci” ci chiudessimo in linguaggi parzialmente inadeguati. (ag)

Impressioni a caldo e conseguenti riflessioni

sulla nuova versione italiana del Messale

di Massimo Naro

 Da qualche giorno è in circolazione il pdf della traduzione italiana della terza edizione tipica del Messale Romano, che – stampato in volume cartaceo – verrà usato nella celebrazione della messa in tutte le diocesi italiane presumibilmente a cominciare dal prossimo tempo liturgico di Pasqua.

Sui cambiamenti inseriti in parti della messa che i fedeli pregano tutti insieme a viva voce (per esempio il Pater noster, o il Gloria), già nei mesi scorsi anticipati su diversi media, inevitabilmente tanti commentatori si stanno già concentrando, discutendo sul loro autentico significato, sulla effettiva loro opportunità, sull’efficacia o meno del criterio di “letteralità” in virtù del quale sono stati inseriti traducendo dall’originale latino del Messale e talvolta dal greco o dall’ebraico della Bibbia, sul perché tale criterio sia stato fatto valere per alcune espressioni invece che per altre, sul motivo per cui sia stato applicato in un senso piuttosto che in un altro.

Di primo acchito, comunque, tali cambiamenti suonano bene. Per quanto mi riguarda, è forse utile segnalare alcune altre variazioni, disseminate in alcune parti delle preghiere eucaristiche affidate alla sola voce viva del ministro che presiede l’eucaristia, giacché danno invece l’impressione di “dissonare” dal punto di vista teologico ed ecclesiologico in particolare.

Per esempio, nella seconda preghiera eucaristica, a un certo punto si arriva a dire «in unione con il nostro papa, il nostro vescovo, i presbiteri e i diaconi», quest’ultima espressione – che evidenzio qui col corsivo – posta in sostituzione della precedente «e tutto l’ordine sacerdotale». Confesso che avevo sperato molto che fosse piuttosto precisata chiamando in causa l’intero popolo ecclesiale che – in forza del battesimo – si configura tutto quanto come un «popolo di sacerdoti», costituito da membri che sono tutti parimenti «re, sacerdoti e profeti». Così, infatti, dice l’annuncio cristiano espresso nella prima lettera di Pietro (2,9-10): «Voi siete la stirpe eletta, il sacerdozio regale, la nazione santa, il popolo che Dio si è acquistato affinché proclami le opere meravigliose di lui che vi ha chiamato dalle tenebre alla sua ammirabile luce; voi, che un tempo eravate non-popolo, ora invece siete il popolo di Dio; voi, un tempo esclusi dalla misericordia, ora invece avete ottenuto misericordia», brano neotestamentario – questo – che riecheggia quello antico testamentario di Esodo 19,6. Insomma, in questo caso, la nuova versione italiana del Messale a me pare enfatizzi il senso chiericale ed ecclesiastico dell’espressione «ordine sacerdotale», che pur mi sembra – implicitamente almeno – includere un orizzonte ecclesiale ben più vasto e composito del solo segmento ecclesiastico-gerarchico. A mio modesto parere, sarebbe stato più coerente alla valenza comunitaria dell’azione eucaristica che il testo della seconda preghiera eucaristica fosse stato in questo passaggio limato con l’espressione «e tutto il popolo sacerdotale».

Oppure, per fare un altro esempio, nella terza preghiera eucaristica, si legge questa nuova versione: «Ti preghiamo, o Padre: questo sacrificio della nostra riconciliazione doni pace e salvezza al mondo intero. Conferma nella fede e nell’amore la tua Chiesa pellegrina sulla terra: il tuo servo e nostro papa, il nostro vescovo, l’ordine episcopale, i presbiteri, i diaconi e il popolo che tu hai redento». Anche qui: cambiare la precedente espressione («collegio episcopale») con l’espressione «ordine episcopale», peraltro distinto marcatamente dai presbiteri e dai diaconi, che sembrano esserne lasciati al di fuori (quasi che il sacramento del ministero ordinato dei vescovi fosse diverso da quello dei presbiteri e diaconi, o quasi che presbiteri e diaconi non fossero coinvolti nel sacramento del ministero ordinato), mi sembra un intervento che va persino in direzione di una sempre più enfatizzata “gerarchizzazione” della concezione della Chiesa e del sacramento dell’ordine.

Ho l’impressione che chi ha curato la nuova edizione italiana del Messale abbia ceduto alla sirena estetizzante che già aveva frastornato i curatori dei nuovi lezionari pubblicati qualche anno fa. Qui la situazione, sotto questo riguardo, appare peggiorata, perché la tendenza estetizzante, che del resto si sposa bene con la tendenza letteralistica (ne è esempio emblematico quella «rugiada dello Spirito Santo» che nella seconda preghiera eucaristica sostituirà la precedente «effusione dello Spirito Santo»), abbia distratto i curatori proprio da quei passaggi importanti in cui la comunitaria (vogliamo dire “agapica”?) soggettualità ecclesiale finisce per pagare un dazio pesante a certe tendenze chiericalizzanti e gerarchizzanti.

Massimo Naro

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