1865 – Pio IX e Newman


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 Se, per assurdo, uno studente di teologia mi domandasse di suggerirgli un soggetto di tesi, non esiterei a proporgli il parallelo indicato dal titolo di questo blog. Nel 1864, Pio IX rendeva pubblici l’enciclica Quanta cura e il Sillabo con le 80 proposizioni condannate. Lo stesso anno, Newman pubblicava l’Apologia pro vita sua; l’anno seguente, 1865, compariva la seconda edizione, liberata dai due capitoli polemici iniziali, ma completata da importanti note aggiuntive. La prima di queste [nota A], era dedicata al liberalismo e comportava 18 tesi anti-liberali. Non sarebbe interessante confrontare queste tesi con gli articoli del Sillabo che affrontano lo stesso argomento? Forse del resto questo è già stato fatto? Il beato papa e il santo dottore si ritrovavano in un medesimo rifiuto? Il risultato di un tale confronto potrebbe avere qualche pertinenza per l’oggi?

La questione si pone a maggior ragione per il fatto che, all’inizio di questa stessa nota A, Newman allude ai «cattolici liberali» francesi, suoi contemporanei; menziona esplicitamente Lacordaire e Montalembert e si dichiara in pieno accordo con essi: «Non credo che mi sia possibile divergere in alcunché di importante con questi due uomini [Lacordaire e Montalembert] per i quali ho una considerazione elevatissima. Condivido con entusiasmo la loro linea generale di pensiero e d’azione e ritengo che essi siano in anticipo sul loro tempo». La parola «liberale», precisa Newman, non ha dunque il medesimo significato in questi due universi di pensiero. Potremmo dire: c’è un liberalismo che Dio non vuole, quello che distrugge la possibilità stessa della fede, e un liberalismo che Dio approva, quello che fa degli uomini liberi davanti a Dio e a loro stessi. Bisogna combattere il primo e professare il secondo. Newman, Lacordaire e Montalembert erano liberali in quest’ultimo senso, ed erano tutti e tre in anticipo sul loro tempo.

Newman, anglicano, aveva cercato una via media tra il cattolicesimo e il protestantesimo (quali erano nella sua epoca). Il primo era gravato, ai suoi occhi, dalle aggiunte apposte alla tradizione fondatrice dei Padri della Chiesa, e dalle devozioni intemperanti della pietà verso la Vergine e i santi. Il secondo minava, attraverso il suo razionalismo, la possibilità stessa di una Rivelazione. Ora, lo sviluppo della riflessione di Newman l’ha gradualmente condotto a riconoscere alla Chiesa cattolica una fedeltà integrale alla sua originaria vocazione. Ed è allora, una volta diventato cattolico, che ha inventato una via media: tra un cattolicesimo devoto senza coerenza teologica forte, da un lato, e un’apertura non controllata ai progressi della scienza, della vita sociale e politica, delle filosofie, dall’altro. Ha voluto, nella Chiesa alla quale aveva aderito, prendere le distanze dagli eccessi di una pietà mal istruita, e di un immobilismo intellettuale: introdurre nella Chiesa l’umanesimo dell’Università (L’idea di Università), mantenere la misura nell’apprezzamento del papato (Lettera al duca di Norfolk), riconoscere la maturità di ogni cristiano nell’interpretazione della fede (il famoso articolo sul «Rambler»), analizzare con precisione la natura dell’adesione intelligente (Grammatica dell’assenso)…

Oggi, dove sarebbe la via media? Per la prima volta da molti secoli, essa viene da Roma! O più esattamente dal vescovo di Roma. Sarebbe dunque sufficiente seguirlo, accompagnarlo e, se non precederlo, almeno non rallentarlo!

 (traduzione di Emanuele Bordello)

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