Munera 1/2024 – Editoriale

Abbiamo bisogno della poesia? Abbiamo ancora bisogno della poesia? L’interrogativo rischia di suonare puramente retorico: quando mai si ha avuto bisogno della poesia? Tanti di noi sembrano vivere molto bene senza poesia, tanti altri fanno di essa un’occasione puramente salottiera, utile a trascorrere qualche momento piacevole o, più banalmente, a darsi un’apparenza impegnata e colta.

E tuttavia, è davvero questo tutto ciò che possiamo dire della poesia? Non è forse la poesia la realtà stessa che viene a parola, la realtà che – grazie alla mediazione del poeta – ci parla con parole umane? Non è forse il poeta colui che dà voce alla realtà, alla quale egli presta le sue stesse parole?

Le cose stanno proprio così: nella poesia è la realtà stessa a parlare, al di là delle gabbie concettuali e degli schemi mentali nei quali abbiamo sempre la tentazione di circoscriverla e con i quali le imponiamo di tacere. Per questo la poesia è, essenzialmente, ribellione: ribellione della realtà ai limiti che noi le imponiamo.

La realtà si ribella a ogni nostro tentativo di ridurla a mero dato positivo, a mero fatto bruto. Non ci sta. Il gioco poetico è lo strumento che essa si riserva per manifestare, alla nostra esperienza, la sua ribellione, il suo essere attraversata da un oltre che non può non stupirci e non provocarci. Il poeta interpreta la dimensione poetica che attraversa la realtà in ogni suo benché minimo aspetto, permettendoci di farne esperienza.

Chiedersi se abbiamo ancora bisogno della poesia significa dunque domandarsi se abbiamo ancora bisogno di ribellarci a ogni semplificazione e a ogni riduzione. A questa domanda ciascuno di noi può, e forse deve, cercare risposta. La speranza è che questo numero di Munera possa aiutarlo a trovarla.

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