Munera 3/2023 – Francesca Rigotti » Crisi dell’autorità

«L’autorità è scomparsa dal mondo moderno. Un concetto fondamentale per la teoria e la filosofia politica è soggetto a una crisi, apparentemente dall’inizio del secolo. La sua scomparsa è stata una delle caratteristiche più spettacolari del mondo moderno».

Sono parole di Hannah Arendt, e il secolo al quale si riferisce è il Novecento. Lo scrive in una raccolta di saggi del 1961, Between Past and Future, in particolare nel saggio What is Authority ivi contenuto, qui brevemente riassunto. Il concetto di autorità ha un’origine e uno sviluppo romani, non greci. Il latino auctoritas, per il quale la lingua greca non ha un vocabolo corrispondente preciso, deriva da augere, aumentare, da cui anche auctor e augustus. Chi o che cosa aumenta? Quello che il Senato, cioè il consiglio degli anziani (senes), aggiunge alle decisioni della potestas del popolo romano: esperienza, prestigio, gravità. L’autorità nel mondo romano antico viene dal passato, a sua volta santificato dalla tradizione. Ad autorità e tradizione Arendt aggiunge, come terzo elemento della triade, la religione, nel senso originario del termine: re-ligare, legare a qualcosa. A che cosa? Al suolo fondatore, alla fondazione di Roma, che è ciò che stava a cuore alla Repubblica romana. I Romani non inviavano i loro cittadini a creare colonie all’esterno dei loro territori, come fecero i greci con la Magna Grecia e l’Asia minore. I Romani conquistavano i territori con le armi e li riportavano simbolicamente a Roma. Il cuore della politica romana era Roma, il suolo di Roma, la terra di Roma, la cui fondazione aveva richiesto immensa fatica e grandi sacrifici: tanta molis erat, romana condere gentem. Secondo Hannah Arendt, la fondazione costituiva la fonte legittima della triade religione, tradizione, autorità.

Questa eredità spirituale fu raccolta dalla Chiesa, che costruì il proprio mito fondatore sulla morte e resurrezione di Cristo e che tentò, senza successo duraturo, di assumere il dominio anche della politica. Dovette invece accettare la distinzione tra l’auctoritas della Chiesa e la potestas, che restava nelle mani degli imperatori, sostenendo il tutto con la paura dell’inferno, uno strumento importantissimo di controllo morale e politico dei fedeli e dei sudditi.

Arrivando a tempi un poco più recenti, alla prima modernità, a Machiavelli e a Robespierre, Arendt attribuisce loro il tentativo di reintrodurre l’esperienza della fondazione su una nuova base e una nuova formula: la rivoluzione, che richiede l’uso della violenza, necessaria per fare l’Italia, secondo Machiavelli, o la Repubblica francese, come pensava Robespierre. E non è un caso che entrambi si rifacessero al modello e anche alla moda romana. Sia Machiavelli sia Robespierre cercarono di instaurare una nuova fondazione tramite la violenza rivoluzionaria.

Arendt assolve dalla violenza gli Stati Uniti – la nuova patria repubblicana, di cui era divenuta cittadina nel 1951, dopo essere stata dieci anni apolide – che a suo avviso avevano creato un corpo politico completamente nuovo senza far uso della violenza, ma condanna senza appello tutte le rivoluzioni: sia la Rivoluzione Francese sia le varie rivoluzioni del secolo XX, che tutte sono finite male, nella restaurazione o nella tirannia.  La grande esperienza dell’autorità romana, che implicava un’obbedienza nella quale le persone conservavano la propria libertà e che non richiedeva l’uso della violenza, perché era riconosciuta e rispettata, non è stata mai più ristabilita, in alcun luogo.

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