Su Agamben e la pandemia. Dialogo con Pietro Piro


Piro

Avevo letto alcune cose di Pietro e così l’ho chiamato: “che ne dici se dialoghiamo tra noi su e con Agamben?” I suoi interessi, di studio e di lavoro, insistono esattamente sullo stesso punto delicato sollevato da Agamben: la disumanizzazione radicale del mondo e delle relazioni. Ne è venuto fuori questo dialogo, costruito rigorosamente “a distanza”, ma fresco e vivo. Lo proponiamo, insieme, come un contributo alla discussione sulla “res” della controversia, cioè sul nostro destino personale e comunitario, segnato da questo evento non prevedibile e che ci chiede di ricorrere al meglio di ciò che possiamo essere, per noi stessi e per tutti gli altri.

 

A: Caro Pietro, anche i filosofi, come è giusto, prendono la parola sulla crisi che stiamo vivendo. Tra questi Giorgio Agamben ha assunto una posizione singolarmente dura, forte, recisa. Come pensi sia giusto reagire alle sue parole?

P: Agamben è un filosofo autorevole e la sua posizione deve essere accolta con il massimo rispetto. Occorre provare a ragionare con Agamben, non contro di lui. Per capire se da questo ragionare si può giungere a un nuovo assetto generativo. A nuove “aperture di senso”.

A: Quindi non contro, ma oltre. Se capisco bene, tu assumi anzitutto un atteggiamento di ascolto, e ti lasci provocare dalle sue parole, anche quando sembrano eccessive o ingiuste. E’ così?

P: Questo è possibile se accettiamo parte delle preoccupazioni di Agamben come legittime. Noi ragioniamo “in aggiunta” e non per sottrarre terreno ad Agamben. È una questione di metodo. La verità è dialogica e in movimento e non possiamo mai dire: ecco è tutto. Agamben ha torto. Noi abbiamo ragione. Occorre superare questo atteggiamento di chiusura. Ora proviamo ad analizzare punto per punto il pensiero di Agamben.

A: Mi sembra un metodo molto saggio per procedere. Occorre esaminare ogni singola affermazione e valutarne precisamente la portata. Allora cominciamo dalla prima affermazione: 1) Il Paese è crollato di fronte alla malattia?

P: Assolutamente no. Il Paese resiste, è quasi immobile come nella preghiera dei monaci contemplativi. A volte, occorre quasi restare immobili per poter resistere alle correnti.
In questa semi immobilità si sono attivate potenze spirituali inaudite. Veri “poteri”. Il potere di cura, quello di solidarietà e quello di responsabilità. Sono tre giganti.

A: Ma è giusto chiedersi, a contrario: il Paese poteva crollare?

P: Sì. A causa di scelte scellerate e di tagli alla spesa della sanità pubblica. E allora come fa a resistere? Dove nascono queste energie per “resistere alla resa”? Resiste perché la pandemia dimostra che esistono, aldilà delle ideologie, delle appartenenze ai partiti, delle logiche di potere, uomini e donne di buona volontà che sono capaci di mettere il bene degli altri anche davanti al proprio. Non è forse questo un segno di inaudita Speranza? Non è forse questa ennesima prova di bene speso e donato il segno tanto atteso? Non è la “resistenza al male” una categoria fondamentale della teologia?

A: Certo. Fare fronte al male nel modo più partecipato è, propriamente, una forma decisiva di “comunione”. Ma qui veniamo alla seconda obiezione di Agamben: 2) Il rischio era davvero “imprecisato”?

P: Assolutamente no. Il rischio era preciso, calcolato e calcolabile. Fondato su esperienze pregresse (Grazie alla Cina). Vietare movimento, assembramenti, funerali è dunque un vero e proprio gesto di pietas. Una forma di cura e responsabilità – diciamo anche di  rispetto e amore per il prossimo – assolutamente necessaria. Altrimenti sarebbe stata una forma diabolica di rischio sulla vita degli altri. Sarebbe stato terribile sapere che, pur coscienti del grave rischio, nessuno ci avrebbe tutelato.

A: Veniamo così alla terza affermazione: 3) I nostri rapporti di amicizia e amore si sono interrotti? Abbiamo permesso, in altri termini, di essere violati nelle nostre più intime relazioni?

P: No. Sono entrati nella dimensione  del desiderio, della mancanza e della nostalgia. Sentimenti fondamentali per dare peso e sostanza alle relazioni.

A: E allora veniamo al quarto punto critico: 4) La medicina ha causato una scissione? Qui, di sicuro, siamo al confine tra una “misura sociale” e il rischio di una caduta nella “irrilevanza del singolo”: è una dimensione estremamente delicata, che investe la condizione di solitudine che minaccia, soprattutto in regime di isolamento, il malato, il morente e il defunto. D’altra parte la esclusione del lebbroso dalla comunità sociale non è una invenzione della medicina moderna…

P: La medicina sta dimostrando che per dare ossigeno allo spirito è necessario curare il malato e riportarlo a una condizione di equilibrio che gli permetta di “vivere  degnamente”. Potrebbe essere entrata in una nuova epoca più spirituale e politica -forse anche inconsciamente: non dobbiamo scindere la dimensione corporea dalla cura dell’anima altrimenti facciamo lo stesso errore che cerchiamo di denunciare.

A: C’è poi il quinto punto, ossia 5) Il distanziamemento sociale e il suo impatto complessivo sulla nostra forma di vita.

P: Passato il dolore iniziale, impareremo che le distanze dei corpi possono essere colmate da una maggiore intensità di sentimento. Prima ci lamentavano tutti della freddezza dei rapporti. Delle passioni tristi. Eppure, potevamo toccarci senza nessuna remora. Credo che le culture dove le distanze sociali sono marcate non hanno certamente prodotto minore capacità di compassione e amore. È una partita aperta…

A: Si presenta poi, delicatissimo, il punto 6) la Chiesa, che Agamben accusa di aver perso la fede perché avrebbe tradito il prossimo. Papa Francesco avrebbe contraddetto san Francesco…

P: La tanto criticata Chiesa non ha dimostrato una volta per tutte di tenere di più all’uomo in carne ed ossa che al suo apparato liturgico  e devozionale? Non ha dimostrato di sapere soffrire “alla pari” privandosi di ogni forma di superiorità? Questa è una grande opportunità per la teologia, per spogliarsi dei suoi orpelli più astrusi ed elaborare forme nuove di presenza nel mondo di oggi…

A: Infine, 7) Il ruolo dei giuristi: hanno davvero ceduto a logiche incontrollate, che hanno imposto lo stato di eccezione come arbitrio e sopruso dei diritti della persona?
P: Compito di chi fa le “leggi” è di creare le basi per l’emergere di una cultura della responsabilità collettiva. Mi pare che il Paese abbia dato prova di “legge morale interiore” di grande livello…

A: Alla fine, caro Pietro, esaminando ogni singolo punto del ragionamento di Agamben, mi pare che tu abbia raccolto le sue provocazioni negative in modo molto positivo, quasi cambiandole sistematicamente di segno. Mi pare che tu colga l’occasione delle critiche di Agamben per scoprire che quanto lui ha segnalato, quasi con scandalo, può scandalizzare in senso contrario: non come una occasione di male, ma come apertura inattesa al bene.

P: Agamben ci aiuta a ragionare su alcuni pericoli a cui andiamo incontro. Però dobbiamo evitare letture troppo in negativo. Altrimenti non diamo giustizia allo sforzo di chi sta dando tutto per il bene. Dobbiamo sforzarci di trovare un punto di convergenza equilibrato per dare avvio all’antropologia dell’ homo dignus (Rodotà). Questo punto di convergenza è dentro e fuori la teologia, ma non può mai essere fuori della ecologia profonda, che riguarda radicalmente tutti.

 

E’ stato un bel dialogo, dal quale emerge una domanda di senso e una sete di riconoscimento: la provocazione di Agamben, con la sua paradossalità, ci ha permesso di rileggere la realtà umana e sociale, relazionale e personale di questi giorni, scoprendo che, nonostante i toni apocalittici, per il momento la reazione è stata improntata ad una “pietas” che ha preso anzitutto la forma del “distanziamento”. Ciò che questa misura generale non riesce a gestire e le dinamiche che sfuggono a questa logica di politica sanitaria apre uno spazio di riflessione ulteriore e non ancora risolto. Per questo la capacità di vigilanza impone di tenere aperto il dialogo con tutti coloro che hanno a cuore il destino di ogni singolo, insieme alla qualità comunitaria e sociale della esperienza degli uomini e delle donne.

 

 

Pietro Piro è studioso attento alle dinamiche di disumanizzazione radicale del nostro tempo. Ha pubblicato di recente L’uomo nell’ingranaggio. Occasioni di critica, Palermo, Edizioni La Zisa, 2019.

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