Libertà fraintesa e malintesa autorità: in dialogo con P. De Marco


Pietro-De-Marco

Qualche volta siamo capaci di uscire dai modelli che pregiudicano i nostri giudizi sulle cose e sulle persone. Leggendo oggi quanto scrive quell’uomo intelligente che è Pietro de Marco, con il quale abbiamo scritto libri e fatto sonore litigate anche in rete,  mi trovo in larga parte d’accordo con lui, sia pure con alcuni necessari distinguo. Non sono sorpreso dal suo approccio: il suo testo, apparso sul Blog di S. Magister con il titolo “Apocalittici e libertari: il ribellismo suicida  dei cattolici no-vax” tocca un punto delicato e sensibile del dibattito attuale, che attraversa, di taglio, l’intero ambito culturale. Contemporaneamente, tanto sul fronte “di sinistra”, quanto sul fronte “di destra”, appaiono reazioni singolarmente dure e pesanti nei confronti delle “politiche sanitarie”. Dicono cose molto simili Giorgio Agamben, Massimo Cacciari e ambienti della tradizionalismo cattolico americano e italiano. E tutto è subordinato ad una “rilettura” del reale che rischia di non considerarlo nella sua serietà. Tutto è ridotto a pretesto, e resta solo una ferma protesta. Che cosa accade? L’analisi di De Marco mette il dito su una piaga: la questione dei vaccini tocca la concezione della libertà, della autorità e della sovranità. E la reazione di alcune élites – a destra come a sinistra – alle normative antipandemia mette in luce la incapacità di una vera comprensione della relazione tra libertà e autorità. La assolutizzazione della libertà rende di fatto impossibile una vera lotta alla pandemia, perché non riesce ad uscire dalla evidenza invadente del “proprio particulare”. In questa analisi P. De Marco rilegge con potenza lo sviluppo del pensiero politico moderno, di cui assume la deriva “libertaria” quasi come intrinseca al liberalismo. A ciò oppone con forza un “pensiero cristiano”, che sarebbe l’unico in grado di porre freno a questa “dissoluzione libertaria” di ogni autorità.

In trasparenza è evidente come il testo di De Marco abbia come suo interlocutore almeno un duplice fronte: da un lato il tradizionalismo cattolico, che sarebbe vittima di un “errore di discernimento” assai grave. Dall’altro il pensiero libertario vero e proprio, che alimentarebbe questo “sfinimento dell’umano” nella rincorsa a sempre nuovi diritti. I tradizionalisti avrebbero così assunto, indirettamente nelle loro parole, il linguaggio dell’Anticristo!

Al di là dei toni ultimativi, e di questa lettura apocalittica dello sviluppo tardo-moderno, il testo di De Marco mi sembra molto utile per mettere a fuoco un duplice processo, nel quale si intrecciano due storie diverse, che la pandemia ha avuto la forza di unificare e quasi di confondere. Provo a indicarle qui.

a) Il tradizionalismo come “anarchia postmoderna”

Da un lato dobbiamo riconoscere che la riduzione della tradizione a tradizionalismo è un fenomeno della tarda modernità. Non stupisce che non solo per contestare la necessità del vaccino, ma per ostacolare l’uso del nuovo rito della messa, i tradizionalisti usino “argomenti anarchici”: come non notare che al cuore di SP, il documento del 2007 con cui Benedetto XVI apriva alla possibilità di un “uso straordinario” del rito romano, c’era una assolutizzazione del “diritto soggettivo del prete”? Una curiosa commistione di tradizionalismo e postmodernismo, entrambi sfrenati. Un sano esercizio di un “limite” è ben presente in “Traditionis Custodes”, ma è assente in “Summorum Pontificum”!

b) I limite di una lettura “biopolitica” della tradizione.

D’altro canto la incapacità di comprendere le “logiche comunitarie” (del distanziamento, della camapagna vaccinale o del green pass) e la loro riduzione teorica ad “atti arbitrari di dispotismo” mette in luce la fragilità della nozione di libertà nelle democrazie contemporanee.  Il discernimento tra diritti giustificati e diritti non giustificati è il vero punto della questione, su cui le categorie adeguate non sono sovrabbondanti. La possibilità di una “decisione politica” sta appunto in questo discernimento, in cui persone, lobbies e gruppi di potere spesso di sovrappongono fino ad identificarsi.

Contrariamente a Pietro De Marco io non sono affatto convinto che la svolta liberale sia una “catastrofe”. E’ anche una provvidenza della quale dobbiamo ringraziare, come del Concilio Vaticano II e della Riforma Liturgica. Ma è certo che la questione culturale che oggi affrontiamo in questi “rigurgiti antiautoritari senza despota” si manifesta come una sfida radicale ad un ripensamento deciso di tre nozioni decisive del nostro mondo: libertà, autorità e sovranità meritano i nostri sforzi migliori. Anche il cattolicesimo, che non ha la bacchetta magica per risolvere questa “epoca di cambiamenti”, è messo in gioco dalle nuove sfide. Senza avere soluzioni immediate a portata di mano, sa però riconoscere, con buon fiuto, le risposte sbagliate. In questo, a  me pare, P. De Marco ha indicato con saggezza il vicolo cieco di una pretesa tradizionalista, che mostra di aver perso ogni senso della tradizione. Se paragoni al nazismo o ai soviet le politiche sul green pass hai perso il senso della misura e della realtà, a destra come a sinistra. Con Pietro sulle risposte restiamo certo a grande distanza. Ma l’analisi delle dinamiche in gioco nelle polemiche attuali mi pare condotta con mano sicura e con piglio autorevole. Di questo lo ringrazio e mi rallegro per la sua fortezza: cantare fuori dal coro non è mai facile.

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