Munera 2/2020 – Fabio Macioce >> Democrazia e diritti nel dopo virus

L’esperienza che gran parte del pianeta sta vivendo in questi giorni, pur con diversi gradi di intensità, è stata descritta in modo efficace – e certo ragionevole – come eccezionale, incredibile, impensabile, nuova, e così via, con un moltiplicarsi di aggettivi che certamente rendono bene l’idea di quanto le nostre vite siano state travolte dalla pandemia e dalla quarantena sanitaria.

Se proviamo a ragionare dal punto di vista del diritto – dei nostri diritti – e del nostro modo di concepire la democrazia, l’esperienza non è meno traumatica. La vita in quarantena non è solo faticosa o angosciante o noiosa; per moltissimi di noi è una inedita situazione di compressione dei nostri diritti, di quegli spazi di libertà che abbiamo sempre considerato scontati e garantiti, almeno in questa parte di mondo. Le libertà di movimento, di riunione, di culto, il diritto all’istruzione e al lavoro, la libertà di iniziativa economica, pur con differenti gradi e modalità, sono stati compressi e limitati in nome della tutela del diritto alla salute: del diritto alla salute individuale, certo, ma anche e soprattutto del diritto sociale alla salute, ovvero alla presenza di un sistema sanitario accessibile, efficiente, egualitario.

Di principio, è una possibilità che ogni teorico delle istituzioni conosce bene. Lo diceva già Cicerone (salus rei publicae suprema lex… dove “salus” è salvezza ma anche salute, benessere), ma si può citare, in modo ancor più appropriato, Machiavelli: quando è in gioco la salvezza dello Stato – oggi possiamo dire: di una sua struttura fondamentale, come il sistema sanitario – “non vi debba cadere alcuna considerazione né di giusto né di ingiusto, né di pietoso né di crudele, né di laudabile né di ignominioso”. Tutto è permesso, insomma, se la posta in gioco è così alta.

Che così debba o possa essere, infatti, lo avevano immaginato anche i nostri costituenti, come quelli delle altre democrazie occidentali; nelle Costituzioni sono infatti spesso previste clausole di eccezione (la previsione di uno ‘stato di emergenza’) o meccanismi che consentono un sovvertimento del normale funzionamento democratico. Così è nella nostra Costituzione, con lo strumento della decretazione d’urgenza: l’art.77 della Costituzione consente infatti al Governo, in casi straordinari di necessità ed urgenza e per il tempo limitato di 60 giorni, di appropriarsi del potere legislativo altrimenti riservato al Parlamento. È uno strumento di cui da una trentina di anni i governi hanno ampiamente abusato e che ora, invece, viene usato nel più appropriato dei modi.

Del resto, in tutti i paesi in cui le restrizioni alle libertà fondamentali sono state approvate, i cittadini hanno compreso e accettato l’eccezionalità del momento e le proteste, se ci sono state, sono state irrilevanti. Segno che le scelte sono state fondamentalmente condivise e percepite come giustificate.

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