Munera 2/2018 – Jole Orsenigo >> Elogio della differenza. Per una pedagogia della famiglia

Il testo Gender Trouble. Feminism and the Subversion of Identity (1999) di Judith Butler è interessante e in parte condivisibile; da pedagogista infatti non posso che accogliere con entusiasmo il fatto (tutto culturale) “che si scelga di diventare chi si è”. Come studiosa infatti sono convinta che la mia storia di formazione non mi determini come fosse un destino applicativo, esecutivo, da cui non posso sfuggire, ma che sia “mia” in quanto “liberamente” costruita a partire dal futuro, cioè grazie alle opere che compirò. Non siamo noi a essere liberi di agire come vogliamo e indipendentemente da come faremo, ma diventiamo liberi operando con lo stile che scopriremo appartenerci. Si tratta di assumere un passo da gambero, cioè una logica da futuro anteriore.

A leggere d’un fiato il libro, resta una domanda: fino a che punto questa prospettiva si coniuga con il rifiuto di quella che Butler chiama «l’eterosessualità obbligatoria»? In superficie è evidente la strategia discorsiva. Si tratta di schierarsi contro ogni forma di oppressione e di “potere”, ma – guardando agli effetti di quel testo – le famiglie, per esempio, che oggi affermano di essersi liberate dal giogo dell’autorità patriarcale, di essere libere di costituirsi a partire dai propri desideri, non ripropongono forse la stessa monotonia che intendevano superare?

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