Munera 1/2021 – Laura Cavalli, Giulia Lizzi >> Lo sviluppo sostenibile e l’Agenda 2030

I problemi che hanno caratterizzato la società degli ultimi trent’anni, e che continuano a definire il mondo odierno in maniera sempre più irreversibile, hanno portato i singoli paesi, guidati e orientati in primis dalla comunità internazionale, ma indotti anche e soprattutto dalle spinte delle proprie genti, a ricercare un nuovo, più sostenibile, paradigma di sviluppo. Inquinamento, sovrappopolazione, sofferenza economica e perdita della biodiversità a livello macro, così come l’accumulo di rifiuti, la povertà energetica e l’impoverimento delle materie prime a livello micro, hanno portato il nostro pianeta, la nostra “casa comune” a uno stato di degrado e malattia, lontano da quel livello primitivo di salute ormai impossibile da riproporre e rivivere.

La protezione dell’ambiente, intesa non come esigenza prioritaria “a prescindere” o ex ante nelle scelte politiche e nelle decisioni di business, ma piuttosto come soluzione ex post visti i sempre più frequenti disastri ecologici, ha portato la comunità internazionale a riconoscere progressivamente il valore dell’ecosistema naturale, nel tentativo di garantire la sua salvaguardia e arginare il suo deterioramento. La sfera ambientale, però, e le problematiche ad essa collegate, sono state oggetto di studio già a partire dagli anni ’60 con la pubblicazione di Silent Spring da parte della biologa e zoologa statunitense Rachel Carson. Considerato il manifesto del movimento ambientalista contemporaneo, la sua Primavera silenziosa è stata dedicata ad Albert Schweitzer, medico, filantropo, teologo, premio Nobel per la Pace, autore del pensiero «l’uomo ha perduto la capacità di prevenire e prevedere. Andrà a finire che distruggerà la Terra».

Nonostante la Carson sia stata prevedibilmente etichettata come “catastrofista” dall’allora lobby dell’industria chimica, il timore che alcune scelte economiche e di consumo potessero recare grave danno all’ambiente circostante si è negli anni accresciuto. Malgrado alcuni particolari accorgimenti adottati individualmente e bilateralmente dai vari paesi, soprattutto in seguito ai danni causati dall’inquinamento, l’attenzione riconosciuta all’ambiente a livello costituzionale non si è dimostrata sufficiente a risolvere una questione oramai indifferibile e oggetto di preoccupazione generale: il disequilibrio dell’ecosistema. Ci si è, così, gradualmente avvicinati a una visione di soluzione a monte, ammettendo l’insufficienza di misure a posteriori (di fine ciclo o end-of-pipe) e ricercando, invece, un cambiamento profondo e radicale del sistema attraverso una trasformazione perentoria del paradigma vigente, business-as-usual, privato quanto pubblico, collettivo quanto individuale.

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