Ordine e disordine d’amore: una sfida contemporanea


La categoria di “ordine” costituisce un punto di riferimento sicuro per comprendere la tradizione cristiana. Un mondo “creato” e “redento” è un mondo ordinato al bene. Il cui ordine viene dalla natura e da Dio e che agli uomini spetta scoprire e mettere in chiaro, con l’ordine del pensiero. Ordo è poi anche la struttura gerarchica del mondo, cui la Chiesa è chiamata a conformarsi con fede e con ingegno. Ordo è così anche sia il nome di un sacramento, sia la logica profetica del sacramento del matrimonio.

Per questo “disordinato” è ciò che non corrisponde all’ordine e quindi che non conduce al bene. Può così accadere che “ordo” si possa confondere sia con “ordine mentale” sia con “ordine pubblico”. E che venga percepito come “disordinato” ciò che altera o il modo di pensare o il modo di vivere.

Da questa antica forma di ordinamento del pensiero e delle cose deriva quello che, ancor oggi, possiamo considerare uno degli argomenti che si utilizzano per “comprendere” e per “gestire” l’amore. Ordinato è l’amore “pubblicamente attestato”, ossia formalizzato in matrimonio. Così, da Paolo in poi, è iniziata la fortuna cristiana del matrimonio. L’esercizio concreto della sessualità è lecito ed è un bene nella misura in cui è formalizzato da un atto sociale. La Chiesa può benedire ciò che la società sancisce. Senza escludere che possa esservi tra approvazione sociale ed esigenza ecclesiale una discrepanza (“all’inizio non fu così”) è certo che questa sovrapposizione tra consenso sociale e benedizione ecclesiale è stata molto forte nella dinamica matrimoniale.

Questo “ordine” sovrappone società e chiesa, sul piano matrimoniale, in modo molto forte, ma garantisce anche una differenza tra “luogo sociale del consenso” e “luogo ecclesiale della benedizione”. Questo rimane un punto di evidenza fino al Concilio di Trento, quando il cattolicesimo, provocato dalla negazione luterana del matrimonio come sacramento, ha reagito con una svolta teologica ed ecclesiale totalizzante. Per la prima volta nella storia, a partire dal 1563, il cattolicesimo, non senza interne resistenze, ha assunto il controllo non solo della benedizione, ma anche del consenso. L’intero processo matrimoniale, sociale ed ecclesiale, cadeva ora sotto il controllo del Vescovo e del parroco. L’ordine sociale era garantito dall’ordine ecclesiale. Teologicamente la argomentazione, messa a punto da Bellarmino, conferma la competenza ministeriale in capo agli sposi, ma sottopone la validità del loro consenso alla forma canonica di recezione da parte del ministro ordinato. Questo sviluppo inaugura una forma moderna di comprensione del matrimonio che non ha precedenti nella storia e costituisce una vera e proprio discontinuità. L’ordine matrimoniale diventa un ordo integralmente ecclesiale, contro le teorizzazioni che per secoli avevano distinto livello naturale, livello civile e livello ecclesiale della sua realtà. Questa tendenza si è di molto accentuata, a partire dal XIX secolo, arrivando a costruire con i codici del 1917 e del 1983, un “ordinamento parallelo”: l’ordine diventava, così, un altro ordine, un ordine altro.

La definizione di “disordinato” con cui tutti i “vizi della castità” vengono elencati da parte della dottrina ecclesiale degli ultimi secoli risente indirettamente di questo sviluppo. La pretesa che vi sia un unico “ordine”, che si identifica con quello ecclesiale, che stabilisce il criterio di giudizio di ogni “disordine”, escludendo che in esso possa trovarsi una esperienza di bene, impedendo così, in una dottrina ritenuta definitiva e immodificabile, di poter riconoscere quelle dinamiche che cambiano le relazioni sia sul piano naturale, sia sul piano civile. Essendo nell’uomo e nella donna la “natura” una dimensione non statica, ma dinamica, un concetto rigido di “ordine” rende ciechi di fronte al cambiamento e fa della Chiesa il luogo di resistenza non della tradizione, ma del passato.

Un effetto paradossale, di questo sviluppo ostacolato, è la riduzione del “disordine” alla modifica dell’”ordine pubblico”. Il che accade, molto facilmente, nella società dell’onore. In quella società, che è fortissima nel passato, ma ancora oggi presenta esempi molto evidenti, la “alterazione dell’ordine sociale” diventa disonorevole. Avere un figlio disabile, essere separati, corrispondere ad un orientamento omoaffettivo è disonorevole, non solo per chi lo vive, ma per tutti coloro che sono ad esso legati. Il disordine è disonore, che va nascosto. La società della dignità ha introdotto un criterio diverso: la persona merita un rispetto più radicale, al di qua e al di là della sua posizone sociale. Per questo, in una società della dignità, la Chiesa dovrebbe guardarsi dall’appoggiare le proteste di proprietari di immobili che temono l’abbassamento del prezzo delle loro case per la presenza di coppie irregolari nell’edificio (cosa che si è fatta ancora negli anni 90 del secolo scorso). Difendere i pregiudizi della società dell’onore non è mai difendere il Vangelo. Questa differenza tra due funzioni dell’”ordine” – difesa dell’ordine pubblico e difesa della persona – spiega forse la grande cautela con cui, anche nelle più recenti aperture, la Chiesa cattolica deve rassicurare il più possibile sul fatto che “la dottrina non viene toccata”. Più giusto sarebbe dire: per dire la profezia dell’amore coniugale, a cui non si può mai rinunciare, non si può più percorrere la via tridentina della totalizzazione delle competenze in capo alla Chiesa. La dottrina cattolica può e deve tornare al più saggio e mite consiglio della distinzione, nella comunione di vita e di amore, tra logiche naturali, logiche civili e logiche ecclesiali. Ci sono tre ordini che non si identificano e che la Chiesa deve considerare nella loro diversità. Senza più illudersi che “ordine” possa essere la parola magica, e univoca, con cui confondere una riserva di competenze ecclesiali con la salvezza di uomini e donne. L’ordinamento, che Dio regge e governa, non si identifica con nessun ordine storico. Ognuna di queste soluzioni ordinate esige correzioni e modifiche, per non diventare un idolo al quale sacrificare le vite piene di amore. Perchè l’amore naturale è sempre senza errore, mentre l’amore d’animo può sempre errare “o per malo obietto, o per troppo o per poco di vigore” (Dante) e da questo disordine d’amore vengono agli uomini e alle donne tutte le gioie e tutti i dolori.

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