Lea, Judith e Urs: dialogus de mulieribus in ecclesia


Lea: che cosa posso pensare, come donna cattolica, degli ultimi decenni di sviluppo della dottrina sulla donna? Che cosa trovo se non finte valorizzazioni e continui blocchi? Perché mai c’è ancora tanta paura?

Judith: credo che la questione di fondo sia una sola: la chiesa cattolica non ha ancora superato l’idea che la rivelazione del Vangelo implichi una dottrina sulla donna, che imporrebbe una sua definizione personale, culturale e sociale, con ruoli, forme, inclusioni ed esclusioni predefinite e immutabili. Qui, secondo me, sta il cuore del problema.

Urs: tu pensi così perché non hai più chiari i principi che guidano la rivelazione. Il disegno di Dio, nella sua ricchezza, non sopporta questo “livellamento” della donna all’uomo e del carisma alla istituzione. La donna è superiore all’uomo, perché genera: non ha bisogno della autorità, perché ne custodisce il senso.

Lea: Vedo subito che non siete d’accordo. Questo mi fa piacere: spesso le donne percepiscono la “dottrina ecclesiale” come un monolite, che le accoglie solo se entrano in uno “stereotipo”. Il fatto che voi siate in disaccordo mi fa pensare che non sia così.

Urs: la dottrina sulla donna è unica, e vale per tutti, per uomini e donne, e per tutti i teologi.

Judith: non c’è alcuna dottrina sulla donna. C’è piuttosto una recezione maschile e femminile dell’unica rivelazione. Questo sì. Ma questo non è qualcosa di statico, ma è dinamico. E prevede, direi istituzionalmente, che la figura del maschile e del femminile sia connotata storicamente da elementi di continuità e da elementi di discontinuità.

Urs: in questo modo si perde la certezza del messaggio evangelico. Tu, Judith, dici una cosa piuttosto grave: sembra che tu neghi che il compito della donna sia diverso da quello dell’uomo. Sembra che tu neghi la differenza tra loro.

Judith: non nego affatto la differenza. Ma penso che la differenza tra uomo e donna non passi necessariamente per una relazione “gerarchica”. Aver concentrato la differenza sulla “differenza di potere” non è una fissazione dei moderni(sti), ma una pecca della tradizione premoderna.

Lea: mi sento meglio. Sembra che annunciare Gesù Cristo, che è tipico di tutti i discepoli, maschi o femmine che siano, possa anche diventare “rappresentanza ecclesiale” non più riservata soltanto ai maschi. Qui però mi sentirei ancora meglio se non si polarizzasse la questione: ossia se non si dicesse che alle donne si può dare il cardinalato, ma non possono diventare diacono. Come è possibile?

Urs: c’è una logica in tutto questo, che è nascosta, ma è veritiera e verace. La donna sta dalla parte del “ricevere”, mentre l’uomo sta dalla parte del “agire”. E’ vero che, rispetto alla grazia di Dio, tanto la donna quanto l’uomo sono anzitutto “recettivi”. Ma la donna è naturalmente recettiva, mentre l’uomo è piuttosto datore, donatore, attore.

Judith: qui io trovo un altro problema grave. Questo immaginario della donna passiva e dell’uomo attivo, che ha portato addirittura a costruire “principi” che reggerebbero tutta la tradizione rivelata – il principio mariano e il principio petrino, ossia il principio del carisma e quello della istituzione – sono una costruzione legittima, anche geniale, ma piena di pregiudizi.

Urs: io avrei dei pregiudizi? Vuoi insinuare questo?

Lea: Io non mi sento affatto rappresentata da questi pregiudizi.

Judith: il primo pregiudizio sta nell’aver trasformato una distinzione “ecclesiale” (tra Pietro e Maria, tra istituzione e carisma) in una distinzione “sessuale” e “di genere”. Qui, a mio avviso, è la “teoria gender” l’unica a poterci salvare.

Urs: addirittura il gender? Che cosa stai dicendo? Vuoi forse provocare?

Lea: la riduzione della donna ad una “essenza”, determinata naturalmente, mi pare davvero un punto decisivo. E’ questo che intendi?

Judith: è precisamente questo. Passare da alcune osservazioni che riguardano Pietro e Maria alla estensione delle prime ai “maschi” e delle seconde alle “femmine” mi pare non tenere in nessun conto che non vi sono caratteristiche naturali così decisive nel plasmare le identità. La cultura interviene sempre profondamente nel dare una “identità di genere”, che non dipende solo dal sessuazione. Nascere di sesso femminile e diventare donne comporta una educazione culturale e storica, che non è sempre uguale.

Urs: così tu neghi il valore simbolico del maschile e del femminile. Che si fonda non solo sulla creazione, ma anche sulla rivelazione. Sulle differenze tra ciò che fa Adamo e ciò che fa Eva, ciò che fa Abramo e ciò che fa Sara, ciò che fa Pietro e ciò che fa Maria.

Lea: così ci sarebbe un progetto di Dio sulla donna, che noi non dovremmo permetterci di alterare. E’ così?

Judith: se si pensa in questo modo, si taglia fuori la libertà con cui gli uomini, maschi e femmine, decidono di sé. L’uomo è stato creato – dice S. Agostino – perché ci fosse e perché fosse lui stesso un inizio. Ciò che la donna fa di sé fa parte della sua essenza. Per questo non può essere predeterminata neppure da Dio, che ha scelto di creare libera la donna, esattamente come l’uomo.

Urs: qui si vede bene che per questa strada tu arrivi al relativismo. Se invece proviamo a rispettare la tradizione, piuttosto che negarla, restiamo fedeli a due principi diverse: gli uomini si occupano delle istituzioni, le donne dell’amore.

Lea: perché mai occuparsi dell’amore implicherebbe essere escluse dalla responsabilità istituzionale? Questo proprio non lo capisco.

Urs: è il disegno di Dio, che lo ha mostrato nella storia della salvezza. La donna non ha bisogno di entrare nel ruolo istituzionale per amare. Ne ha bisogno, invece, l’uomo. Per questo la donna è superiore all’uomo, Maria è superiore a Pietro, anche se agli uomini moderni questa sembra una discriminazione…

Lea: di fronte a questa superiorità emarginata, a questo primato che resta sullo sfondo, io provo, allo stesso tempo, sofferenza e insofferenza. Non sopporto più questa mistificazione.

Judith: dici bene, Lea. Questa è una mistificazione. D’altra parte tu, che ora la hai formulata, con la tua lettura geniale, sai bene di non aver pensato all’inizio questo “sistema di principi” riferendoti agli uomini e alle donne, ma per parlare dei cattolici e delle altre confessioni. Non è così?

Urs: è vero. I due “principi” (quello petrino e quello mariano) sono usciti dalla discussione sul “complesso antiromano”. Sono stati pensati, all’inizio, come una sorta di “radiografia” del cattolicesimo, per non ridurlo al principio petrino (al primato del papa), ma per trovare anche in esso, nel profondo, il principio mariano (una vita dello Spirito), ad animarlo e caratterizzarlo. E’ vero, è così.

Judith: ma allora vedi che questa idea, nelle tue stesse mani, nel tuo stesso cuore, è nata per unire e ora tu stesso, e non pochi con te, la usate per dividere, per opporre e per escludere. E’ nata per ridimensionare il papa, ma poi i papi l’hanno usata per sovradimensionarsi! Un po’ come il concetto di “natura”, che è nato per unire e oggi lo usiamo spesso per dividere…

Urs: io direi meglio, è nato per “salvare la tradizione”. La mia intenzione è stata di salvare il buon diritto di una prassi secolare, che attribuisce agli uomini una funzione, e alle donne un’altra. Qui c’è una sapienza più profonda dei diritti della donna…

Lea: ma perché questa tradizione, certamente antica, prevedeva che le caserme dei carabinieri, i cori in chiesa, le orchestre sinfoniche, i collegi dei tribunali, il suffragio politico godessero tutti della “riserva maschile” e oggi non è più così? Forse la chiesa contesta tutto questo? E perché mai all’interno della chiesa questo ragionevole superamento della riserva maschile dovrebbe essere contraddetto? Forse che Dio è rispettato solo se le donne sono escluse dal rappresentarlo?

Judith: proprio qui, cara Lea, troviamo una delle maggiori difficoltà. Molti, compreso Urs, mi sembra che abbiano legato il vangelo alla “società dell’onore”, che pensa le donne come “prive di autorità pubblica”. Così “per il loro bene” le esclude. Il superamento di questo pregiudizio non mette in crisi la fede, ma la rilancia.

Urs: ma neppure il papa può cambiare questo dato della tradizione, perché la Chiesa non può modificare la sua “costituzione originaria”.

Judith: non vorrai dirmi, ora, che la riserva maschile appartiene al “depositum fidei”? Negli ultimi 50 anni abbiamo irrigidito la posizione, fino quasi a farla diventare un “dogma”, ma senza mai farlo davvero, se Dio vuole. La riserva maschile non ha nulla di assoluto. Ha certo una grande autorevolezza per via della storia. Ma anche la teoria geocentrica aveva grande autorevolezza storica e di esperienza, ma poco fondamento in re. E la abbiamo superata, non senza far soffrire, e molto i primi che l’hanno contestata con argomenti.

Lea: sarebbe come dire, mutatis mutandis, che le donne non sono i satelliti degli uomini?

Urs: su questo hai ragione. Ma questo non incide per nulla sulla fede. L’antropologia voluta da Cristo non soffre modificazioni nella storia.

Judith: e invece sì. Perché uomo e donna sono esseri storici, creati liberi da Dio e per questo affidati alle loro mani e alla loro parola. Corrispondere a Dio, con le mani e con le parole, non è eseguire un disegno già pronto, ma contribuire a crearlo, secolo dopo secolo, in un dialogo stretto col creatore e redentore, che ci parla da dentro e da fuori della Chiesa.

Urs: questo resta un dramma. Per questo occorre vigilare ed essere prudenti.

Judith: vigilare è attendere il Signore che arriva come un ladro. Significa aspettare il meglio dal futuro. Prudenza non è solo star fermi, ma muoversi anche con passo spedito. Come quando devi prendere l’ultimo treno o devi scappare dal temporale. Prudenza è spesso movimento.

Lea: le donne possono dire qualcosa su questo modo di aspettare lo Sposo, con olio per le lampade, pronto e sempre rinnovato.

Urs: le donne possono anche addormentarsi nei loro sogni di grandezza…

Judith: Le donne possono vegliare o dormire, come gli uomini. Ma la loro esperienza autorevole può essere una ricchezza preziosa per la Chiesa di domani. Non anzitutto il loro diritto, ma il diritto della chiesa ad avvalersi della loro autorità non può essere più negato. Sarebbe una ostinazione nella cecità e nella imprudenza.

Lea: avervi ascoltato mi ha fatto bene. Vi ringrazio.

Judith: un dialogo sincero rinfranca l’anima.

Urs: forse colloqui come questo sono un balsamo per tutti.

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