Francesco e la donna diacono: frammenti di una ricerca del 2224


Ci sarà una volta un bravo studente brasiliano, Gabriel Rogerio Sousa, che avrà studiato a fondo, in una prestigiosa università romana, nell’anno del Signore 2224, la storia del primo secolo del nuovo millennio, 2000-2100, sul tema del “cambio di paradigma” nel modo di considerare le donne nella Chiesa. La sua ricerca sarà rimasta incompiuta, ma ne avremo ritrovato un frammento prezioso, su cui ora mi accingo a riferire.

Senza alcun dubbio, sostiene Rogerio, l’apparire di Francesco come papa ha cambiato molte cose nel linguaggio della Chiesa cattolica. Fin dalle prime parole, del 13 marzo 2013, era chiaro che il baricentro del discorso del magistero avrebbe subito una grande svolta e che da quel momento, sostiene Rogerio, parole come “periferia”, “superamento del clericalismo”, “chiesa in uscita”, “chiesa ospedale da campo”, “primato della misericordia”, “fraternità universale”, lotta alla “mondanità spirituale” e alla “autoreferenzialità” sarebbero diventate centrali. Le due figure decisive di questo “cambio di paradigma”, sostiene Rogerio, sono state il “poliedro” e la “piramide rovesciata”. Tuttavia, accanto a questo grande movimento di rinnovamento, proprio sul piano di una comprensione del femminile rispetto al maschile, restava, nel linguaggio di Francesco, un elemento di “monolite non poliedrico” e di “piramide non rovesciata”, sostiene Rogerio. I diversi registri con cui Francesco aveva parlato della donna, le barzellette sulle suocere o sulle zitelle, le esaltazioni delle madri e delle sorelle, le ricostruzioni sommarie della storia e le riprese dei principi ontologici attestavano, sostiene Rogerio, un modo di comprendere la donna profondamente tradizionale e non immune da pregiudizi. Una indagine sulle “fonti” di alcune espressioni permette di rilevare. sostiene Rogerio, che una analoga lettura “classica” si trova, nello stesso papa, in alcune ricostruzioni del “ministero ordinato”, ad es., sostiene Rogerio, nella parte finale di Querida Amazonia.  Allora non è difficile notare che, nella grande discontinuità di parole, di atteggiamenti e di provvedimenti, che emerge da numerosi atti di Francesco papa, su due temi in modo particolare, ossia sulla comprensione della donna e sulla comprensione del ministero, Rogerio sostiene il manifestarsi di un debito fortissimo verso un immaginario premoderno. In modo esemplare una intervista del maggio 2024 contiene una affermazione che può essere letta, sostiene Rogerio, come una sintesi di questi due punti del suo magistero. Alla domanda sulla possibilità di far accedere le donne al diaconato, egli afferma infatti: “Se sono diaconesse con gli Ordini sacri, no” e aggiunge: “le donne hanno sempre avuto la funzione di diaconesse senza essere ordinate”. Queste due frasi, sostiene Rogerio, possono essere comprese soltanto se collocate in una lunga storia, sia della visione della donna, sia della visione dell’ordine. Da un lato vediamo con chiarezza che la donna è ancora vista, sostiene Rogerio, come “priva di profilo pubblico”: rispetto alle parole di Giovanni XXIII sul “segno dei tempi della donna nello spazio pubblico”, Francesco rimane, sostiene Rogerio, al di qua. Sta ancora in un mondo e in un immaginario in cui le donne “servono in privato”, non in pubblico. Vi è poi un secondo aspetto di rilievo, ossia il fatto di chiamare “ordine sacro” il ministero ordinato: ciò costituisce, sostiene Rogerio, un indizio significativo di una comprensione “sacra” anche della “riserva maschile”. La separatezza dell’ordine sarebbe garantita, in modo non secondario, dalla sua “riserva maschile”: qui non sarebbe azzardato pensare, sostiene Rogerio, che la “piramide” non si possa affatto rovesciare. Che cioè la “gerarchia dei sessi” sia un elemento pensato da Francesco come costitutivo della tradizione cattolica e che perciò egli parli del rapporto tra donna e ministero secondo una visione nella quale, sostiene Rogerio, la donna non possa entrare nella dimensione del “servizio di autorità”. Ma qui altre due caratteristiche, tra loro in grande tensione, entrano nel giudizio su Francesco, sostiene Rogerio. Da un lato, la ricerca di un “servizio delle donne”, necessario alla Chiesa come “piramide rovesciata”, ma che non intacchi la “piramide non rovesciabile” della riserva maschile all’ordine sacro. Su questo piano, sostiene Rogerio, un’altra “reliquia” del passato può tornare molto utile: la possibilità di attribuire alle donne una “potestas iurisdictionis”, anche la più alta, purché non sia messa in dubbio la esclusione dall’ordine. Per far questo, sostiene Rogerio, si può tornare a quella “divisione del potere” che ha segnato la storia medievale e moderna e che il Concilio Vaticano II sembrava avere valorosamente superato. Attribuire alle donne molte qualità che la tradizione attribuiva ai vescovi, pur di non far entrare le donne dentro il “cerchio magico” del sacro ordine (al quale allora non apparteneva neppure il vescovo): questo, sostiene Rogerio, sarebbe stata una delle intenzioni non nascoste di Francesco. Ma un secondo punto è decisivo nella dichiarazione riportata in quella intervista: che alcune donne siano chiamate diacone, sostiene Rogerio, nessuno può negarlo. Ma considerare quelle “diacone” come “diacone non ordinate”, nonostante ci siano nella storia “riti di ordinazione” riferiti alle donne, che quindi sono state a tutti gli effetti ordinate, manifesta, sostiene Rogerio, una diversa possibilità. Ossia quella di configurare un “diaconato femminile”, diverso da quello “riservato ai maschi”, che non farebbe parte del “sacro ordine”. Sarebbe un modo di “ordinare senza ordinare”, sostiene Rogerio. Su ispirazione di ricerche storiche piuttosto pregiudicate e di proposte teologiche piuttosto rabberciate, Francesco, sostiene Rogerio, avrebbe pensato di riconoscere alle donne un “diaconato”, ma solo tra virgolette, un diaconato senza autorità ecclesiale, un diaconato “ad honorem”, una specie di “diaconato honoris causa”, una “medaglia di cioccolato”. Questo modo di concepire l’ordine sacro, e non il ministero ordinato, e di pensare la donna esclusa dalla sfera pubblica simbolica, ma integrata solo nella forma pubblica più giuridica del potere amministrativo, sostiene Rogerio, aveva caratterizzato Francesco fino al manifestarsi di due fatti nuovi. Da un lato una serie di incontri, voluti dallo stesso papa, incontri proprio con donne, e con donne “teologhe” e con donne “ordinate” di altre tradizioni cristiane, che avrebbero iniziato a mutare, sostiene Rogerio, sia la sua visione del “sacro ordine”, sia la sua visione simbolica della “donna”; dall’altro il Sinodo dei Vescovi, che proprio nella sua Seconda assemblea, dell’ottobre del 2024, avrebbe introdotto, sostiene Rogerio, una lettura diversa della questione e aperto nuove interpretazioni non solo del “sacro ordine” ma della posizione della donna rispetto ad esso. Infatti, proprio alla conclusione di quella Assemblea, papa Francesco, prendendo la parola, aveva iniziato, sostiene Rogerio, con queste parole toccanti: “Cari fratelli, tutto considerato, avendo chiesto molte preghiere per me e avendo pregato molto su questo, con molti biglietti infilati sotto la statuetta di Giuseppe sognatore, mi sono reso conto che Dio non fa preferenza tra i sessi…”

Ma qui il manoscritto si interrompe. Dal futuro abbiamo solo questa ricostruzione parziale, frammentaria e incompiuta: piccola traccia di speranza, quasi “spes contra spem”, sostiene Rogerio.

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