La cancellazione del debito nel Giubileo: un istituto ancora attuale?


imagesOFAOB6OUSecondo le disposizioni contenute nel capitolo 25 del Levitico, nell’anno del Giubileo, si realizzava un evento del tutto particolare dal punto di vista economico e finanziario: la cancellazione dei debiti. Ma cosa significava esattamente? Quali erano gli obiettivi che con tale strumento si volevano perseguire? Può essere uno strumento utilizzabile anche ai nostri giorni?

Un interessante approfondimento di Michele Grillo (“Giubileo e remissione del debito: antiche istituzioni sociali e finanza moderna”, Associazione per lo Sviluppo degli Studi di Banca e Borsa, Quaderno 57, 2016) ci può aiutare a fare chiarezza.  L’autore esamina l’istituto della remissione del debito, e concentrandosi sui profili economici, mette in evidenza alcuni aspetti di grande interesse.

Innanzitutto, sorprende il fatto che non è certo che tale istituto sia mai stato attuato. Non vi è riscontro cioè che i debiti siano mai stati annullati in attuazione delle disposizioni bibliche. Tuttavia, lo strumento merita di essere analizzato, poiché va interpretato non come “un intervento di remissione avulso da i criteri che regolavano la vita economica e sociale di Israele, bensì  come un meccanismo che intendeva governare l’intera organizzazione delle relazioni economiche, perché si proponeva come finalità essenziale quella di disciplinare ex-ante i comportamenti dei creditori. Ciò emerge evidente quando si analizzano le prescrizioni che, durante tutto il periodo intercorrente tra una data giubilare e la successiva, garantivano che le terre date in garanzia dei debiti, così come le persone che erano state date, o si erano date, in schiavitù per far fronte a un debito, potevano essere sempre riscattate a un prezzo che il testo del Levitico fissava esplicitamente tanto più elevato quanto più lontana era la data del successivo Giubileo”. La norma appare quindi un sorprendente testo di analisi finanziaria scritto più di 2500 anni fa.

Si tratta di uno strumento che offre utili insegnamenti con riferimento al dibattito attuale sui criteri di regolazione del mercato dei debiti sovrani e personali.

In cosa consiste? Il Levitico – il terzo libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana – prevedeva che ognuno degli Israeliti potesse tornare nella sua proprietà e nella sua famiglia, in una sorta di espiazione cioè di riconduzione ad unità del popolo di Israele attraverso la ricostituzione della distribuzione originaria della terra assegnata all’inizio (cioè all’ingresso in Canaan). Pertanto, espiazione è la riconduzione a una condizione sostanziale di indipendenza e di uguaglianza economica e sociale garantita a tutti gli appartenenti al popolo di Israele attraverso la regolazione del rapporto tra le persone e la terra.

Quale obiettivo perseguiva? Il fine ultimo era rappresentato dalla cancellazione degli effetti (spesso drammatici) di un eccessivo indebitamento o della schiavitù. In effetti, il debitore poteva (come può tuttora) incorrere in alcune avversità che non gli consentono di mantenere l’impegno preso, cioè di restituire la somma ricevuta e gli interessi maturati. Escludendo l’ipotesi della malafede, il mancato rimborso potrebbe essere dovuto ad avversità personali ma anche sociali o di sistema (si pensi alla recente crisi economica), non previste e talvolta non prevedibili. Il Levitico voleva evitare cioè, fra l’altro, l’eccessivo indebitamento, affinché non ci fossero il troppo ricco o il troppo povero. Il creditore non poteva concedere una somma eccessiva, con la possibilità che la controparte poi non potesse rimborsare la somma ricevuta, divenendo di fatto suo “schiavo”.

In alcuni paesi dell’Europa dell’Est, che hanno dovuto fare i conti con un eccessivo indebitamento delle famiglie aggravatosi dal deprezzamento del cambio, sono in vigore norme che prevedono la determinazione di un tetto massimo del credito concedibile a imprese e famiglie, legato ai risultati o al reddito percepito. A noi sembra però che si tratti innanzitutto di una regola di “buona finanza”, da rispettare senza il bisogno di una norma ad hoc, da aggiungere alle tante altre già in vigore. La banca (e in generale il creditore) non deve concedere credito in misura sproporzionata alla capacità di rimborso del soggetto finanziato. Purtroppo, sebbene sia fondamentale nella valutazione del merito di credito, nelle fasi di forte crescita economica  quando l’euforia si diffonde rapidamente fra gli operatori economici e le famiglie, tale regola prudenziale non viene osservata. Accade così che il credito aumenta a tassi ben superiori all’economia reale, come è successo in Italia nei primi anni 2000 quando gli impieghi bancari crescevano oltre il 10%, mentre l’economia procedeva molto più lentamente, a tassi inferiori all’1%. Analogamente, nell’Europa dell’Est, il credito cresceva a tassi di variazione che sono giunti oltre il +50% annuale negli anni precedenti il 2008 (ad esempio in Albania, Romania e Ucraina), divenuti poi rapidamente negativi negli anni successivi.

L’eccessivo indebitamento è ora fonte di preoccupazione in molti paesi del mondo, fra cui l’Italia dove il tristemente noto rapporto “debito/PIL” rimane al 130%. Drammatico è stato il “pasticcio” del debito greco, che vedeva la contrapposizione fra coloro che pensavano che condonare il debito creasse le premesse per la diffusione di atteggiamenti di azzardo morale da parte di altri debitori e coloro che ritenevano invece che il paese non sarebbe riuscito altrimenti ad uscire da una situazione di stallo. La questione, come noto, è ancora in discussione ed i colloqui sull’alleggerimento del debito e la valutazione delle riforme riprenderanno in aprile.

In altri paesi, ad esempio la Slovenia o alcuni paesi africani la cui economia è cresciuta notevolmente nell’ultimo decennio, l’elevato indebitamento riguarda i privati, le imprese e le famiglie.

Quello che ci preme evidenziare ora è il concetto base del Levitico secondo cui la cancellazione non avveniva di punto in bianco, all’improvviso; cosa che avrebbe creato probabilmente ulteriori divisioni sociali. Ricorrendo nell’anno del Giubileo, infatti, la cadenza era nota ex ante. Ciò è essenziale per capire che il provvedimento comportava l’allineamento del credito al tempo mancante alla scadenza. Pertanto, il creditore sapendo che dopo x anni, avrebbe perso l’eventuale credito ancora in essere alla scadenza, poteva fissare l’ammontare in misura adeguata al tempo mancante. L’importo del debito era massimo subito dopo il Giubileo, alla ripartenza del calcolo degli anni (25/30 o 50 anni) e andava via via diminuendo all’avvicinarsi della scadenza secondo una chiara regola finanziaria. All’approssimarsi della scadenza i crediti risultavano minimi. In questo modo si eliminavano gli eccessi, a beneficio di tutta la collettività.

Sebbene la concreta realizzazione risulti alquanto difficile, il contenuto di equità della norma biblica non può che essere apprezzato. Evitare l’eccessivo indebitamento porta ad un più diffuso equilibrio finanziario, personale e collettivo.

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