Il rito della messa e il rito del matrimonio: sbandamenti e ricentrature


Nozze in Campagna

Uno dei fenomeni più interessanti, avvenuti dopo il Concilio Vaticano II, è la riforma del rito della messa. Restaurare la tradizione in una forma più ricca e più complessa era il compito, al quale si è dedicata la Chiesa in anni di duro lavoro. Ma anche il rito del matrimonio ha subìto molte preziose variazioni, in vista di una maggiore fedeltà. In questa riflessione, tuttavia, non vorrei soffermarmi sulla grande novità, per cui si è superata la collocazione del “rito del matrimonio” prima del “rito della messa”. La collocazione del rito del matrimonio all’interno della messa pone una questione più radicale e più interessante, che si traduce in una domanda secca: Quale è il “rito della messa” e quale il “rito del matrimonio”? La domanda sembra inutile e quasi oziosa: in apparenza, il rito di ogni sacramento è contenuto nell’ Ordo ad esso dedicato. C’è l’Ordo Missae, che regola il rito della messa e l’Ordo celebrandi matrimonium che regola il rito del matrimonio.

Qui però mi interessa concentrare lo sguardo sul fenomeno storico per cui ci siamo abituati a guardare il rito non in tutta la sua ampiezza, ma fissando gli occhi solo su quelle parti che “per tradizione” consideriamo centrali. La prassi e la teologia, ognuna a suo modo, ci hanno convinto di questo. Ma qui, a ben vedere, troviamo le sorprese più grandi. Se ci chiediamo: “ma il rito del matrimonio dove ha il suo centro?” tendiamo a rispondere: “Nel consenso”. Ma quello non è un rito, bensì un atto giuridico. Maggior peso rituale ha lo “scambio degli anelli”, che appare una sorta di traduzione simbolica dello scambio del consenso. E tuttavia questa somiglianza è il frutto di una storia molte recente. Perché per molti secoli lo scambio del consenso non corrispondeva affatto ad uno scambio degli anelli. Giuridicamente funzionava la logica dello scambio, ma liturgicamente l’unico a “mettere l’anello al dito dell’altro” era il marito alla moglie. La moglie non metteva alcun anello al marito. Il gesto rituale parlava di una cosa diversa dal consenso. Infine, dal punto di vista strettamente liturgico, lo sviluppo storico ha progressivamente emarginato l’elemento rituale che fino al 1563 risultava del tutto centrale: ossia la preghiera di benedizione. Così oggi tendiamo a vedere come rito del matrimonio quello che è il patto giuridico, mentre non vediamo come elemento rituale il suo centro ecclesiale di benedizione. La ragione dello “sposarsi in Cristo” è espressa in modo pieno solo dalla benedizione, meno dall’anello e ben poco dallo scambio del consenso (che solo di recente si è dato la espressione “con la grazia di Cristo”).

Questa stessa dinamica – e questo fenomeno appare forse ben più sorprendente – riguarda anche la messa. In una storia molto più lunga, che inizia ad essere modificata profondamente non nel XVI secolo, ma nel IX, la percezione della messa come rito inizia a cambiare e alcune parti della celebrazione cominciano ad essere lette e vissute in modo diverso. Un fenomeno del tutto decisivo è la singolare evoluzione del rapporto tra liturgia della parola, preghiera eucaristica e rito di comunione. Nella Messa, considerata di per sé, il rito per eccellenza è  il “rito di comunione”. Nella storia, tuttavia, ha acquisito una evidenza formale più forte quell’elemento che sicuramente non è un rito, ma un racconto all’interno di una preghiera. Così oggi è facile che consideriamo “rito” soprattutto ciò che accade tra i due campanelli (la consacrazione), mentre possiamo vivere con un animo solo devoto la preghiera eucaristica o il momento della comunione. Nel matrimonio consideriamo rito centrale quello che è un patto esistenziale; nella messa consideriamo rito centrale quello che è narrazione solenne di un evento che la preghiera eucaristica e la comunione ri-presentano in pienezza. Un profondo recupero delle priorità dimenticate e una adeguata ricollocazione delle priorità ereditate è diventata, per la Chiesa e per i cristiani, un compito e un dono. Davvero la riforma liturgica è stata più una restaurazione della pienezza che un cambiamento (o una fuga) verso la facilità.

Molte vicende simili hanno subìto tutti i riti sacramentali cristiani, dalla penitenza alla cresima, dalla ordinazione al battesimo, fino alla unzione dei malati.  Ciò che il Concilio Vaticano II ha compiuto è stato il disegno sapiente di riconciliare le diverse anime della tradizione cattolica, rimettendo in correlazione ciò che si era separato, autonomizzato, isolato, così precludendo una esperienza piena, ampia e toccante del mistero di Dio rivelato in Cristo. Per essere fedeli al mistero abbiamo messo mano ai riti, perché potessero “più chiaramente significare la grazia del sacramento”. Questo cammino di riforma e di fedeltà è tutt’altro che compiuto.

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