Il dibattito sulle dimissioni di Benedetto XVI


Nel dibattito sulle dimissioni del papa Benedetto XVI,  Pietro De Marco ha espresso una posizione interessante, alla quale ho fatto qualche breve osservazione, che si trova alla fine del suo articolo.

Pietro De Marco

Le dimissioni di Benedetto XVI

Nella complexio oppositorum cattolica, ovvero nella coerente articolazione di opposti che caratterizza la Chiesa nella sua esistenza piena (umana e divina, individuale e so-ciale, istituzionale e carismatica, in terra e già in cielo), è contenuta anche la potestà del Vescovo di Roma, figura rappresentativa del mistero della chiesa Corpo di Cristo e persona fisica, titolare di un ministero di governo universale. Ministero ‘razionale’, perché ordinato come ogni autentico esercizio potestativo a degli effetti, valutabili nell’ordine dei fini di quel Corpo. Certamente, il ‘bene della Chiesa’ non è agevole da definire; è necessario capire cosa divengano istituzione e governo quando operano, sul crinale del naturale e del sovrannaturale, per i fini ultimi, la salvezza delle anime, come ricorda ancora, nella sua capacità di dire l’essenziale, il diritto canonico.
Ora la impressionante decisione di Benedetto XVI va intesa, a mio avviso, su questo crinale. Da un lato la memoria recente di un corpo carismatico, quello di Karol Wo-jtyla, portatore fino all’ultimo attimo (e oltre, fino alle esequie), di una autorità e di una grazia che sovrastano in guadagno soprannaturale ogni criterio di efficienza di governo. Dall’altro la previsione razionale -come intimamente razionale è la chiesa cattolica- di dissesti nel governo centrale, in nome e in vece del Papa malato. Wojtyla optò, in coerenza con la sua geniale azione pubblica, per la forza evangelizzante del ‘corpo del Papa’. Ratzinger opta, in coerenza col suo affidamento all’agire discreto e riflesso, al pensare che vogliono un’integrità ‘naturale’, per l’integrità del papa, dun-que per un successore. Il rischio di far mancare alla Chiesa i doni di grazia di un go-verno condotto sotto il segno della estinzione di “vigore sia del corpo sia dell’animo”, non gli appare superiore a quello, razionalmente probabile, di mettere a repentaglio la barca di Pietro. Così, rispetto a Wojtyla, adotta un altro percorso nella complexio cattolica, un ‘opposto’ giudizio su ciò che il momento mondiale ed eccle-siale richiede.
L’interpretazione ‘moderna’ di questo atto, di certo meditato e preparato (in molte decisioni, teologiche e disciplinari e ‘politiche’, relative a contenuti, istituzioni e uo-mini), è legittima, ma non considera da quanti secoli il diritto della chiesa abbia riflet-tuto sulla figura del Pontefice. Qui appare quanto la modernità occidentale debba alla Chiesa cattolica, non viceversa. Ma l’interpretazione ‘moderna’ contiene anche un pericolo, più interno alla Chiesa che esterno: concepire d’ora in poi la rinuncia all’ufficio come una nuova prassi che imponga di fatto le dimissioni al pontefice ma-lato (infirmitas) o di provecta aetas, di età troppo avanzata. Alla libera decisione, la
sola validante l’atto e che esclude pentimento, una prassi del genere sostituirebbe un vincolo, spezzando la verità cattolica del duplice opposto percorso, il carismatico e il ‘razionale’, e privilegiando una concezione del Pontefice davvero moderna, in senso deteriore, perché subalterna ad un canone di semplice efficienza amministrativa. Questo, si badi, è fatto per piacere a chi desidera, entro e fuori la Chiesa, declassare il primato carismatico del Vescovo di Roma a circoscritta funzione, e porlo sotto il giu-dizio di terzi (dai medici ai curiali ai vescovi). In sé, invece, cioè nei termini obbli-ganti del diritto divino, il giudizio di idoneità del suo vicario è solo di Cristo.
Benedetto XVI ha voluto provvedere all’effettività del pieno esercizio del Primato, non ad un suo indebolimento. Ed anche lui ha affidato ad una superiore protezione il bene della Chiesa, con un rischio simmetrico a quello che Wojtyla volle correre. Do-po l’annuncio delle ‘dimissioni’ ho ricevuto telefonate disorientate, direi angosciate; il Papa ci lascia, in una situazione del mondo e della Chiesa drammatiche, situazione in cui egli era, nella peculiarità di Joseph Ratzinger, il punto di resistenza, insostitui-bile. L’azione potentemente correttiva, medicinale, di mezzo secolo di erramenti, era affidata alle decisioni del Papa; ora passa nelle imponderabili mani del prossimo con-clave e del futuro pontefice! La posta in gioco, per quanto attiene al giudizio umano, è enorme. Penso questo: come il sovrano rischio di Giovanni Paolo II di governare la chiesa col suo essere sofferente ha ottenuto il miracolo di Papa Benedetto, così quel-lo, altrettanto radicale, di Benedetto di riconsegnare la Chiesa e la propria missione a Cristo perché ne dia il peso ad un vicario integro, otterrà un altro pontefice alla misu-ra della storia.

Caro Pietro,

grazie per il tuo articolo. Vi è, al suo interno, più di una valutazione sulla quale mi sento di essere pienamente d’accordo con te. Non vorrei, però, che per rispondere a letture troppo semplicistiche e che appiattiscono il ministero petrino a mera funzione, equiparabile a una Presidenza della Repubblica, non si arrivasse a “neutralizzare”, semplicemente, la novità di questo gesto, che comunque rappresenta, nella Chiesa degli ultimi secoli, una novità del tutto significativa. Di qui le esitazioni e gli sconcerti. Ed è vero che questa scelta è davvero molto diversa da quella di Giovanni Paolo II, ma del tutto legittima. Direi, allora, che la “possibilità” della scelta delle dimissioni, nel momento in cui diventa realtà, pone la Chiesa di fronte a uno sviluppo già previsto, ma ancora non sperimentato. E la costringe a pensare al proprio avvenire secondo un “principio di realtà” che spesso, negli ultimi decenni, non è stato il livello più frequentato per vivere quella “complexio oppositorum” che tu giustamente hai citato all’inizio del tuo articolo. Un papa che si dimette, comunque, pone un modello “autoritativo” e “tardo moderno” di concezione del papato nella necessità di un profondo ripensamento. Proprio per preservarne la qualità non semplicemente funzionale e immanente. 
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