Il dibattito su Amoris Laetitia: I “DUBIA” DEL DIACONO ALLA RECENSIONE DEL MONACO (di P. Tassinari)


ALCJC

Dopo la pubblicazione della recensione al libro di G. Meiattini su AL da parte di Marco Gallo (qui), e la replica dell’autore (qui), ricevo e pubblico volentieri queste considerazioni da parte di Paolo Tassinari, che è  diacono permanente della Diocesi di Fossano (CN) , coniugato e padre di 3 figli, con Baccalaureato allo Studio Teologico Interdiocesano. Nella sua diocesi coordina dal 2009 il progetto “L’anello perduto” rivolto a persone separate o divorziate sole, e coppie in nuova unione. E’ corresponsabile dell’Uff. Famiglia diocesano e assistente spirituale all’Ospedale di Fossano. Il suo intervento rilegge il dibattito dal punto di vista dei soggetti implicati e delle azioni pastorali da progettare. E’ un utile contributo per un dibattito serio e integrale sul testo della Esortazione Apostolica e sui suoi effetti possibili e necessari.

I “DUBIA” DEL DIACONO ALLA RECENSIONE DEL MONACO

di Paolo Tassinari

La lettura del riscontro offerto dal prof. Giulio Meiattini alla recensione del suo testo “Amoris Laetitia? I sacramenti ridotti a morale” che il prof. Marco Gallo aveva presentato sulle pagine del blog di Andrea Grillo, mi ha lasciato con l’amaro in bocca. Non sono professore e neanche teologo, per cui non ho i titoli e neanche le forze per duellare al pari del monaco e del presbitero su temi che mi accomunano alla loro passione. In quanto diacono, però, vorrei offrire alcune considerazioni a caldo, che spero “servano” la letizia di chi “dopo un precedente matrimonio, irreparabilmente distrutto” (Familiaris Consortio 84) ora vive una nuova unione di coppia, e di chi avrà la bontà di leggere questa mia risonanza che non ha chissà quali pretese. Vorrei soffermarmi su una questione che trovo all’inizio della “recensione della recensione” e su un’altra che trovo nella conclusione, perché entrambe mi sembrano centrare le mie fragili competenze, per poi concludere con una proposta.

Nei difetti di analisi che Meiattini rimprovera a Gallo, ce n’è uno interessante: quello di aver spostato il punto focale della critica del monaco da Amoris Laetitia 303 al decalogo argentino che il Papa ha fatto proprio. Dopo aver riportato al soggetto autentico la questione, Meiattini sostiene che “questo passo, se preso come suona, mina alle fondamenta la morale cristiana. Andrebbe o riscritto o cancellato”. Ma cosa recita questo passo? Dice: “Tendere alla pienezza della vita cristiana non significa fare ciò che astrattamente è più perfetto, ma ciò che concretamente è possibile. Non si tratta di abbassare la montagna, ma di camminare verso la vetta con il proprio passo”.

Il lettore attento obietterà: “E’ falso! Non è questo il testo che Amoris Laetitia 303 propone!” Ho scelto volutamente di trascrivere un passaggio del Catechismo degli Adulti, nel capitolo intitolato Gradualità nella responsabilità personale, nel paragrafo “Norma morale e responsabilità” al numero 919. Cosa c’entra questa citazione? A me pare che Amoris Laetitia 303 riprenda alla lettera e traduca nell’ambito di una nuova unione di coppia ciò che qui è scritto. Dice infatti il Catechismo nei numeri seguenti: “Disordine morale oggettivo e peccato personale non vanno confusi. Lo stesso grave disordine può essere peccato mortale in alcuni, veniale o inesistente in altri, secondo che la loro responsabilità sia piena, parziale o nulla. La Chiesa è maestra e madre: da una parte insegna con fermezza la verità; dall’altra cerca di comprendere la fragilità umana e la difficoltà di certe situazioni. […] La norma morale è uguale per tutti, ma la responsabilità è propria di ciascuno e proporzionata alla concreta capacità di riconoscere e volere il bene”.

Il numero 303 del quale Meiettini auspica una nuova edizione o un depennamento, non è forse la ripresa quasi alla lettera di questi passaggi del Catechismo degli Adulti datati 1995, e una loro possibile traduzione nella storia di una coppia in nuova unione? Se così fosse, perché solo nel 2018 emerge tanto allarme? Se dopo 10 o 20 anni di nuova unione è impensabile o improponibile ripristinare la situazione precedente, come pure interrompere la relazione, o proporre l’astensione dai rapporti coniugali quando è risaputo che sono ben altri i gesti tipici che distinguono un amore da una amicizia, che eventualmente andrebbero sospesi, cosa ci si sarebbe dovuti aspettare dal complesso itinerario sinodale e dal suo frutto? A me sembra che con il numero 303 non siamo davanti “al debole inizio di una valanga o al primo crollo provocato da una bomba teologica che minaccia di squartare l’intero edificio morale” con buona pace di J. Seifert, ma all’appello ad un agire morale storico-concreto da tradurre in forme da riconoscere e accompagnare, e non più in formule a memoria da applicare, e non è cosa da poco.

Se questo è vero, continuare a sostenere la “contraddizione simbolica” della nuova unione, ripetendo Familiaris Consortio 84 come Meiettini propone poco dopo citando una sua intervista, tradisce quello che a mio modesto avviso è il progetto di fondo: deve essere il 1981 a determinare, correggere e orientare il 2016 e non viceversa. Pur non avendo autorità per poterlo fare, e senza chiedere ai diretti interessati se vogliono saperlo, vorrei però rassicurare coloro che “non si trovano certo in una situazione rassicurante” come sentenzia il monaco: parole come “contraddizione, contraddicono e contraddice” sono semplicemente assenti in Amoris Laetitia, e ostinarsi a rimetterle in campo credo sia indice di una mancata digestione teologica di un vocabolario che avrebbe già dovuto prodursi nei tempi e nei luoghi appropriati.

Nella parte conclusiva del contributo di Meiettini, precisamente al punto d), l’autore riconduce la possibile piena partecipazione alla Celebrazione Eucaristica di una coppia in nuova unione ad un fatto meramente psicologico o sociologico, e afferma: “Se siamo d’accordo che queste coppie non sono escluse dal mistero della Chiesa, perché si continua a dire che se non fanno la comunione non sono integrate? […] Perché tutta questa preoccupazione di “eucaristizzare”, dopo che per decenni si è parlato e scritto sulle molteplici modalità della presenza del Cristo nella liturgia e fuori della liturgia preoccupandosi di ridurre la superconcentrazione eucaristica degli ultimi secoli?”.

Effettivamente al sottoscritto e al monaco potrebbe venire a mancare il Pane Eucaristico se questo fosse condiviso oltremisura; ad entrambi inoltre potrebbero essere giunte voci di coppie in nuova unione che abbiano maturato una convinzione: “In questi anni, Papi e Vescovi ci hanno detto che partecipando a tutto nella vita della Chiesa eccetto la Comunione, non ci sarebbe mancato nulla della vita cristiana; quindi anche a due anni da Amoris Laetitia, valutare nel discernimento la possibilità della Comunione non ci interessa più”.

Questa genuina considerazione che la pratica di Familiaris Consortio aveva ingenerato nelle nostre comunità, viene da chiedersi se appartenga o meno alla Tradizione cristiana cattolica. Cosa che, tradotta, vuol dire: davvero può darsi comunione ecclesiale senza comunione eucaristica? A me sembra che l’effetto collaterale di aver ridotto l’ubbidienza al comando di Gesù “prendete e mangiatene tutti” ad una sorta di dettaglio della vita in Cristo, sia stata una pericolosa deriva che oggi Amoris Laetitia consente di evitare.

Rovesciando la conclusione del Meiattini proposta al punto d), se l’indice della buona generatività della Chiesa fosse dato dal diniego posto ad alcuni all’accesso alla mensa del Signore, perfino in tema di iniziazione cristiana (quasi a dire: “per molti, ma non per tutti”), temo che il corpo del Crocifisso se potesse ritornare un momento nel luogo della sua deposizione, si rivolterebbe nella tomba!

Per concludere questi pensieri fragili e disconnessi, mi fa sorridere l’attestazione del monaco quando dice che “Amoris Laetitia forse non ha intercettato il sentire profondo dell’episcopato, stante l’attuale situazione di disorientamento”.

Se a tema sono matrimonio e famiglia con tutte le loro complessità, mi piace ricordare come il Sinodo composto da celibi chiamati a discutere di sposi, abbia mosso i suoi passi da un questionario diffuso capillarmente in ogni diocesi, e pertanto abbia intercettato eccome i soggetti che dovevano essere coinvolti, con le loro attese e speranze, gioie e dolori. Mi piace ricordare che ogni credente, monaco o Vescovo che sia, non è esonerato dalla fatica di misurarsi con ciò che un Romano Pontefice – e non un diacono permanente o una perpetua – dice e scrive in una Esortazione Apostolica, in questo caso di pari autorevolezza della precedente, la quale già nel 1981 non si era limitata semplicemente a ripetere ciò che aveva di anteriore.

Stante infatti il Codice che dichiarava scomunicata o interdetta la coppia in nuova unione che rifiutava di interrompere la relazione, i Vescovi e Giovanni Paolo II non ebbero esitazione nell’aprire un varco fino ad allora inesistente: pentimento per aver violato il segno dell’Alleanza e fedeltà a Cristo, serietà dei motivi che impediscono di interrompere la nuova unione, e disponibilità a vivere in continenza, introdussero la deroga all’obbligo di separazione dalla nuova unione, e addirittura resero possibile la ricezione dei Sacramenti. E non fu la fine né della cristianità e neanche del matrimonio, se dopo 35 anni siamo ancora qui a viverne e a parlarne.

Al “disorientamento” che Meiattini rileva, fanno da contraltare gli orientamenti di Conferenze Episcopali e di Vescovi che riconoscono in Amoris Laetitia una forma inedita di magistero, davanti alla quale un ministro ordinato non può sottrarsi: un magistero ispirante che non dice già cosa fare, ma chiede una sua possibile traduzione in ogni Chiesa locale, al pari di ogni altro servizio diocesano. Certo, se in una Diocesi è assente la Caritas o l’Ufficio Catechistico, qualche domanda una persona credente dovrebbe porsela; dopo Amoris Laetitia, se ogni Diocesi non rendesse possibili itinerari di accoglienza, discernimento e integrazione di coppie in nuova unione, la stessa domanda con il passare del tempo spero sia l’intera comunità cristiana a porla al proprio Vescovo, chiedendogli ragioni.

Proprio per orientare il disorientamento possibile, i Vescovi di Piemonte e Valle d’Aosta in un passaggio della Nota Pastorale del gennaio scorso, invitano a spostare l’accento dalla domanda “che cosa hai fatto?” a “dove sei diretto?”, da porre ad ogni storia di amore, offrendo così una suggestione utile alla scrittura di un nuovo libro, con un titolo simile a quello oggetto di recensione del presbitero, al quale il monaco nel blog non ha risparmiato colpi: “Amoris Laetitia: i sacramenti compagni della morale”.

Paolo Tassinari

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