Aumenta la concentrazione del reddito e cala la mobilità sociale


Distribuzione del reddito/ricchezza e mobilità sociale sono due concetti strettamente connessi, oggetto di crescente interesse a livello internazionale in seguito al netto peggioramento che essi stanno mostrando in molti paesi del mondo, sviluppati ed emergenti.

Tanto maggiore è la concentrazione del reddito e tanto minore è la mobilità sociale, ossia la possibilità di migliorare le condizioni economiche e sociali di provenienza, tanto più intenso è il peggioramento delle condizioni di vita di un paese. Si tratta pertanto di variabili che vanno monitorate con attenzione nel tempo.

Le fonti a cui attingere per leggere i dati che quantificano i due fenomeni – sebbene spesso non di facile elaborazione ed interpretazione – sono numerose, come raramente accade quando si studiano fenomeni economici, e per di più sono tutte concordi. Gli studi e gli incontri sul tema si susseguono numerosi. Al Festival dell’Economia di Trento di inizio giugno, Joseph Stiglitz (”La grande frattura: nuove prospettive sulla disuguaglianza e su come ridurla”), riprendendo i contenuti del rapporto Rewriting the rules of the American economy, a cura dello stesso autore e disponibile in rete, ha richiamato l’attenzione sulla gravità del problema.

Il sogno americano è ormai un mito. Gli Stati Uniti sono diventati uno dei paesi più disuguali del mondo, in termini di distribuzione del reddito e della ricchezza. Contrariamente a quanto si crede, anche l’uguaglianza delle opportunità è oggi più lontana negli Stati Uniti che in altri paesi avanzati. Le forze del mercato (tecnologia e globalizzazione) hanno giocato un ruolo importante nell’intensificare la dinamica. Ma la politica non ha fatto nulla – sempre secondo Stiglitz – per impedire l’esplosione delle disuguaglianze. Il paese delle opportunità – dove chiunque può migliorare il proprio status con il duro lavoro e la determinazione – è divenuto ormai solo un mito.

Il tema della disuguaglianza è stato trattato da Thomas Piketty in un testo ormai famoso, Capital in the Twenty-First Century, richiamato dallo stesso Stiglitz ed oggetto di ampia discussione a livello internazionale. Secondo l’autore, negli Stati Uniti il reddito disponibile dell’1% più ricco della popolazione è stato stimato, nel 2010, pari a ben il 20% del totale (dati pubblicati dal Congressional Budget Office), essendo cresciuto tra il 2009 e il 2010 ad una velocità ben superiore a quella degli altri gruppi. Nel contempo, al progressivo arricchimento dell’ultimo percentile, si è aggiunto il ridotto peso della classe media (quella che corrisponde al secondo, terzo e quarto quintile, complessivamente pari al 60% dei percettori) che ha ottenuto nel 2012 una quota pari al solo 45.7%. L’evoluzione registrata in Italia è del tutto analoga.

Il prezzo della disuguaglianza è la minore crescita economica. Per decenni gli economisti hanno sostenuto che la promozione di una crescente uguaglianza avrebbe sacrificato la crescita economica. Gli eventi hanno dimostrato per contro che una crescente disuguaglianza nei redditi e nella ricchezza genera un circolo vizioso con la crescita economica, in primo luogo attraverso il canale dell’istruzione. L’accesso ai gradi più alti dell’istruzione infatti diventa più difficile per le classi meno abbienti e per la stessa classe media determinando un impoverimento della popolazione tutta. Piketty dimostra come per circa trent’anni, fino agli anni Settanta, il rapido processo di industrializzazione e politiche fiscali e di spesa pubblica espansive, hanno favorito il rafforzamento della classe media, il consolidamento della democrazia e una crescita economica elevata. Tale processo si è però invertito alla fine del secolo scorso e l’aumento della disuguaglianza si è accompagnato ad un forte rallentamento della crescita o persino alla recessione in molti paesi.

L’economia è guidata dalla politica. Crescenti disuguaglianze rappresentano non solo una grave forma di ingiustizia, ma anche una potenziale causa di tensioni sociali. Le disuguaglianze esistono e a causa della crisi si sono accentuate, ma – come è stato da più parti sostenuto a Trento – non c’è niente di inevitabile e devono essere individuati dei correttivi per migliorare la situazione, intervenendo sugli strumenti di redistribuzione della ricchezza, quali fisco, retribuzioni e  welfare. Fondamentale per garantire la mobilità sociale è il sistema educativo, la garanzia di accesso ad adeguati livelli di istruzione. Ma quanta parte ha l’economia nella generazione di tali squilibri? Gli squilibri economici – conclude Stiglitz – derivano da errate scelte politiche – e prima ancora da inadeguati principi/valori, aggiungiamo noi – non da un mal funzionamento del sistema capitalistico di per sé. Stiglitz non manca di riportare una serie di proposte per incentivare gli investimenti a lungo termine, per aumentare la concorrenza, per rafforzare il sistema bancario (maggiore trasparenza, minori commissioni…), per riequilibrare il sistema fiscale (aumentando le tasse sui redditi elevati e sui guadagni da transazioni finanziarie…), per favorire la piena occupazione, per rafforzare i diritti dei lavoratori, per rafforzare la mobilità sociale (modificando le tasse scolastiche…). Molte di tali proposte sono adatte anche per il nostro Paese. Tuttavia a ben vedere si tratta di aggiustamenti, condivisibili e assolutamente necessari nel breve periodo, ma insufficienti a fronteggiare quegli squilibri così profondi e le contraddizioni che la crisi economica e finanziaria ha portato alla luce (il crescente numero di esclusi, la devastazione dell’ambiente, il degrado della vita pubblica, il consumismo e la qualità dei prodotti, l’abbandono delle attività artigianali…).

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