Un prete garbato, colto, sereno, figlio del Concilio. Piccolo ritratto di P. Carmelo Lorefice, in memoriam


 

 

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Il telefono squillò, quel pomeriggio, e una vocina esile, pacata ed elegante dopo qualche istante di silenzio parlò: “Sono Padre Lorefice, professore, la chiamo da Modica, dal profondo Sud”. Un poco per il timbro leggero, un poco per l’accento siciliano, all’inizio feci fatica a seguire tutte le parole. Che però subito presero una loro musica, un loro ritmo, e una loro forza incisiva. Così per la prima volta mi sono imbattuto in questo uomo di fede, presbitero, parroco e uomo di cultura di Modica: P. Carmelo Lorefice. Da allora, credo fosse l’anno 2000, gli incontri a Modica con lui e con i suoi molti e vivaci collaboratori, sono diventati una consuetudine siciliana bella e toccante. Il primo viaggio fu a Noto, dove P. Carmelo fece gli onori di casa con grande finezza. Le lezioni erano alle 18.30, ma P. Carmelo arrivava un’oretta prima, mi portava a prendere una cassatina, un caffè e poi, alla fine, si arrivava alla sala della conferenza. Le parole, i gesti, le forme erano, allo stesso tempo, solenni e sciolte, garbate e scherzose. Intorno a questo uomo, a questo prete, si era creata, da molti decenni, una tradizione di studio, di approfondimento ecclesiale, di vivacità e di carità. Sempre, in occasione delle altre occasioni in cui scesi a Modica, anche con i miei figli, per altre “tre giorni” o per singole conferenze, il contatto con P. Carmelo rivelava particolari significativi della esperienza ecclesiale della diocesi. Della pronta recezione del Concilio Vaticano II, che era diventata principio di formazione e di azione, coinvolgendo tutti i battezzati. Con una grande valorizzazioni di uomini e donne di fede, nel campo della teologia, della azione politica, della organizzazione della assistenza e della attenzione ai giovani e ai deboli. Grazie a lui ho conosciuto una Chiesa viva, che con discrezione e con energia P. Carmelo aveva contribuito a costruire in tanti anni di ministero, facendo spazio e dando credito. Qualche anno fa, nella Chiesa di s. Pietro, con il suo indimenticabile colore azzurro, in una domenica di Quaresima, ascoltai una omelia sul “cieco nato” di grandissima forza, con una struttura letteraria, un gusto per la parola e una forza di testimonianza davvero rara. Nei suoi occhi azzurri si rifletteva l’azzurro della sua Chiesa. Modica saluta oggi e domani uno dei suoi pastori più rispettati e più efficaci. Don Carmelo sapeva, e ha insegnato, che il cristianesimo e il cattolicesimo possono fiorire solo se diventano capaci di “fare cultura”: cultura della città, cultura della relazione, cultura dell’impegno, cultura del dialogo, cultura del rispetto. E così anche noi lo salutiamo, riconoscendo nelle nostre comuni passioni, ecclesiali e civili, il tocco gentile e garbato del suo magistero di prete appassionato e di persona fine. E per questo gli rendiamo grazie e teniamo viva la sua memoria, certi della sua preghiera e del suo sguardo vivace e sorridente, che continua a lanciare, con gioiosa partecipazione, sugli uomini e sulle donne della comunità per cui ha vissuto.

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