Sulla nullità: boicottare il poco o riformare il molto?


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Le parole di papa Francesco, rivolte ai vescovi italiani, sul “boicottaggio” della riforma del processo matrimoniale di dichiarazione della nullità non sorprendono. Sia perché era chiaro, già nell’agosto del 2015, che il mondo dei canonisti non aveva digerito la iniziativa e la velocità della sua realizzazione. Sia perché la logica della “semplificazione” contrasta con un mondo che – anche per le necessarie esigenze di giustizia – produce “complicazioni” in abbondanza.
Insomma, anche nel piccolo orticello del “processo matrimoniale” accade ciò che è accaduto con Evangelii Gaudium dopo il 2013 o con Gaudium et Spes dopo il 1965: da un lato la apertura verso un cambiamento, dall’altro la chiusura e la inerzia del modello precedente.
E’ ovvio che la inerzia, soprattutto nel mondo ecclesiale, ma non solo in esso, è una forza ingentissima. Ma non è solo inerzia. E’ anche omissione, esplicita e diretta. Ho avuto notizia di un caso che può far sorridere, ma che deve anche far pensare. In una diocesi italiana, alla volontà di attivare in “processo breve”, veniva opposta una ragione molto banale, ma insuperabile: non era ancora stato stabilito, dall’organo competente, l’entità della tassa da pagare. “Finché non abbiamo i bollettini per il versamento, la procedura non può iniziare”. Così puoi aspettare anche anni…Nel frattempo prendi la “via lunga”, garantita, piuttosto che aspettare una “via breve” piena di trappole.

Ma questo è solo un piccolo caso marginale. La questione è molto più grande e non riguarda neppure soltanto il “processo breve”. Certo, questa è una novità importante, che dovrebbe essere attuata nel modo più spedito possibile. Ma essa inciderebbe comunque, anche quando fosse perfettamente applicata, su un numero di casi molto limititati, proprio a causa delle condizioni eccezionali di “non conflittualità” e di “evidenza della prova” che richiede. Le condizioni stesse, che danno diritto ad accedere al processo breve, la rendono un fatto eccezionale. Ma è significativo che il boicottaggio investa anche un piano di riforma che altera solo parzialmente il “sistema processuale” in materia matrimoniale.

In realtà, si deve riconoscere che la iniziativa del papa, intevenuta 4 anni fa nella pausa tra Sinodo Straordinario e Sinodo ordinario sulla famiglia, nel 2015, ha aperto un “falla” nel sistema processuale, a cui non si rimedia solo sul piano processuale. Se infatti leggiamo insieme il duplice evento della Riforma del Processo, col Motu Proprio Mitis Iudex, e della Esortazione Apostolica Amoris Laetitia, pubblicata 10 mesi dopo, comprendiamo bene che in gioco non vi sono semplicemente le procedure, ma il diritto sostanziale.

Il cambiamento di mentalità e di prospettiva, che esigono questi due documenti, implica un “processo di recezione” che dovrà passare, inveitabilmente, attraverso un profondo ripensamento del diritto canonico matrimoniale. Nel quale si dovrà far entrare non soltanto la “pattuizione del vincolo”, ma anche la sua “storia”. Infatti ciò che Amoris Letitia ha introdotto, uscendo dal modello ottocentesco di diritto matrimoniale, è l’idea storica ed escatologica di matrimonio. Una Chiesa che cammina verso l’ideale matrimoniale, che non sta all’inizio, ma alla fine, pensa il matrimonio in modo nuovo, più realistico e insieme più esigente. Ne fa una questione di vocazione prima che di legge.

Per questo, un adattamento del diritto sostanziale, cambierà il processo matrimoniale non soltanto perché “possa prevedere un processo breve”, ma perché ridimensionerà l’idea stessa di “processo di dichiarazione di nullità”. Questo punto è decisivo, di fronte al quale non vi è boicottaggio, ma rrimozione. Dopo Amoris Laetitia è l’idea stessa di processo di dichiarazione di nullità a subire una rilettura assai profonda e a mostrare i limiti intrinseci dell’istituto giurico della nullità, se considerata in sé, breve o lunga che sia la procedura per accertarla. Proviamo a dirlo meglio: il processo di nullità, come istituto che rimedia non ad un “vizio del consenso”, ma ad una “crisi” e ad un “fallimento” del matrimonio, non risponde più alle esigenze del popolo di Dio. E’ uno strumento che è stato messo a punto dalla perizia dei giuristi medievali e moderni. Negli ultimi 100 anni questo istituto è stato costretto, giocoforza, a coprire fattispecie sempre più ampie, a costo di forzare in modo sempre più forte le sue categorie di impianto. Oggi siamo giunti, ragionevolmente, al momento in cui occorre predisporre, accanto ad esso, uno strumento diverso, che possa costatare non la nullità originaria, ma il fallimento storico di un vincolo. Senza mettere in questione la indisponibilità del vincolo, ma constatandone, nella realtà, la frangibilità. Il matrimonio indissolubile non è infrangibile. Per questo oggi le cause di nullità, inseguendo una realtà che sfugge alla loro presa, sono sempre più costrette a ricorrere a finzioni. Questa pratica giuridica ha raggiunto ormai limiti di mistificazione non più tollerabili. La riforma è iniziata dalla procedura, ma deve arrivare alla sostanza. Non è sufficiente un processo breve, occorre un processo diverso. Per il quale occorre l’apporto decisivo di canonisti dotati di inquietudine nel rapporto con la realtà, di senso della incompletezza del sistema giuridico e di immaginazione nel configurare soluzioni alternative. Come ha fatto la Chiesa di 100 anni fa, scrivendo il Codice di Diritto Canonico, dobbiamo progettare una soluzione giuridica all’altezza della vita dei battezzati e delle battezzate del nostro tempo. Cercare di far fronte alla realtà con strumenti vecchi è un modo per complicare ulteriormente questioni già di per sé tutt’altro che semplici. Boicottare l’inizio di questa riforma è un segno della distanza che separa buona parte del mondo giuridico cattolico da quella realtà familiare complessa, al cui servizio dovrebbe esercitare il proprio ministero.

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