Un’ “Amoris Laetitia” irriconoscibile. La infelice difesa del “responsum” sull’Osservatore Romano


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Siamo da circa un mese nell’anno dedicato ad “Amoris Laetitia”,  a 5 anni dalla sua pubblicazione. Per questo è tanto più sorprendente che il riferimento a questa importante Esortazione Apostolica del 2016 possa essere utilizzato a difesa del testo del “responsum” del 15 marzo 2021. In tal modo, con un effetto un po’ paradossale, un grande testo, che inaugura un nuovo paradigma di magistero familiare, viene ridotto ai minimi termini, e sfigurato, per difendere un piccolo testo, che condanna la benedizione delle coppie omosessuali. Poiché la cosa è particolarmente grave e mette in gioco non solo chi ha scritto il testo, ma anche l’autorevole giornale che lo ha pubblicato, vorrei esaminare dapprima il testo con le sue argomentazioni, per poi illustrarne i gravi limiti, restituendo ad Amoris Laetitia il suo vero valore.

a) L’articolo di Mauro Cozzoli

L’articolo ripete, in modo molto classico, due argomenti che appartengono alla tradizione cattolica dell’ultimo secolo e che sono stati usati per tutte le situazione più o meno “devianti”. Va detto, però, che Cozzoli imposta il discorso come se le critiche al “responsum” si siano manifestate come “in contrasto con Amoris Laetitia”. In realtà non mi pare che sia così. Che io sappia, molte critiche al responsum sono nate su tutt’altra base e senza riferimento diretto ad AL. Quindi la impostazione del discorso è già piuttosto unilaterale, perché mira a dimostrare che gli argomenti fondamentali che ispirano il responsum si trovano, tali e quali, in AL. In particolare i due “argomenti” sarebbero il concetto di “amore” e il concetto di “misericordia”. Per Cozzoli una definizione di amore “secondo il disegno di Dio” è incompatibile non con la amicizia omosessuale, ma con la sessualità omosessuale, mentre la misericordia non avrebbe senso senza la verità, e la verità sulla relazione omosessuale sarebbe, appunto, quella del peccato. Con una serie di “ritagli” da AL, molti dei quali del tutto fuori contesto, Cozzoli fa in modo che AL ripeta, pari pari, il più classico dei catechismi. Di fatto non si esce da una sovrapposizione tra coppia omosessuale e matrimonio che impedisce ogni forma di apprezzamento del “bene possibile” e quindi anche di ogni benedizione. Proprio il concetto-chiave con cui AL esce dall’angolo, in cui Cozzoli sembra trovarsi così bene, non viene mai citato dall’autore.

b) I punti deboli del testo

Alcuni luoghi comuni della tradizione morale sulla sessualità, sul matrimonio e sulla omosessualità vengono ripetuti come se si fossero imparati da AL. In realtà sono il frutto di una comprensione che risulta, già da alcuni decenni, inadeguata a dar conto della realtà sessuale, matrimoniale ed omosessuale, così come esiste “in re”. Una teologia morale che usa il concetto di amore, di natura, di misericordia in modo tanto astratto, con una teologia da scrivania e non di strada, inevitabilmente finisce con il fraintendere gravemente il più grande tentativo di rilettura che la Chiesa abbia conosciuto negli ultimi decenni. Si deve aggiungere, inoltre, che AL non è soltanto il frutto del magistero di Francesco, ma il punto di arrivo di un complesso cammino sinodale, nel quale si sono faticosamente elaborate “mediazioni preziose”, che nell’articolo di Cozzoli vengono o disattese, o addirittura capovolte. In modo del tutto sorprendente, tanto più perché viene da un moralista, suona la citazione di AL 300, che è testo che garantisce la apertura al “bene possibile” e Cozzoli utilizza invece per escludere ogni altro bene se non quello massimo. Perché questo resta il punto-chiave del dibattito intorno al “responsum”. La benedizione di coppie omosessuali non è la equiparazione tra etero e omosessualità, ma la possibilità che la Chiesa possa riconoscere un “bene possibile” anche in forme stabili di relazione omosessuale. Questo nell’orizzonte di Cozzoli entra solo come “relazione amicale”. Qui vi è nello stesso tempo un difetto di realtà e un difetto di teologia. E l’esito è che, di fronte al card. Schoenborn che, sulla scia di AL, ricordava che la Chiesa oltre che “magistra” è sempre anche “mater”, Cozzoli rivendica, non so con quale relazione con AL, che la Chiesa oltre che madre resta sempre anzitutto maestra.

c) Il rispetto per Amoris Laetitia

Tuttavia, anche al di là della questione specifica, nella quale di fatto Cozzoli neppure entra, mi pare davvero sorprendente per un teologo moralista – e a dire il vero anche per l’Osservatore Romano – che si possa parlare di Amoris Laetitia dimenticando che, tra le altre cose, questo documento dà inizio a due grandi fattori di novità nel magistero familiare, matrimoniale e affettivo del cattolicesimo e lo fa con il coraggio non solo di papa Francesco, ma di due assemblee sinodali:

a) esprime una importante autocritica di uno stile del magistero matrimoniale che nell’ultimo secolo è mezzo ha monopolizzato inopportunamente il discorso cattolico e si è illuso di dedurre, o dalla natura o dalla legge, un “ordine immutabile” sul piano personale e sociale;

b) sviluppa con grande coerenza una lettura “processuale” dell’amore e delle forme di vita familare, uscendo da ogni immediatezza naturale o istituzionale. L’idea che ogni coppia “cammini verso l’ideale” che non ha “dietro di sé”, ma “davanti a sé”, permette un grande rilettura dei suoi “beni”.

In tutto ciò vi è coraggio: coraggio di fare i conti con la realtà e coraggio nel tradurre la tradizione. Credo che se non si ha il coraggio di entrare in queste due prospettive di profondo rinnovamento pastorale ed ecclesiale, sarebbe meglio evitare di riferirsi ad Amoris Laetitia. Quello che il prof. Cozzoli ha scritto, poteva essere argomentato citando semplicemente il Catechismo della Chiesa Cattolica. Ridurre AL ad una versione catechistica fa torto al testo che in questo anno dovremmo celebrare. Viceversa, se si legge in modo completo AL, ci si rende conto che alcune delle proposizioni del CCC – come già è accaduto su pena di morte, guerra, e ora anche su omosessualità e su sessualità – meritano una adeguata correzione. Non si sfigura un grande documento per difendere un piccolo responsum. Non è bello per chi lo fa, né per chi lo pubblica.

Così, per restituire il tono del grande testo, di cui l’articolo di Cozzoli propone un collage purtroppo senza stile e con poca fedeltà, è sufficiente citare una delle ultime righe indimenticabili:

Come abbiamo ricordato più volte (…), nessuna famiglia è una realtà perfetta e confezionata una volta per sempre, ma richiede un graduale sviluppo della propria capacità di amare.(…) E tuttavia, contemplare la pienezza che non abbiamo ancora raggiunto ci permette anche di relativizzare il cammino storico che stiamo facendo come famiglie, per smettere di pretendere dalle relazioni interpersonali una perfezione, una purezza di intenzioni e una coerenza che potremo trovare solo nel Regno definitivo. Inoltre ci impedisce di giudicare con durezza coloro che vivono in condizioni di grande fragilità” (AL 325)

Come ha fatto il prof. Cozzoli ad essersi completamente dimenticato di questa prospettiva, così qualificante per AL, e che potrebbe suggerire risposte molto più ricche e promettenti non solo ai teologi o ai giornalisti, ma anche ai pastori e agli ufficiali di curia?

 

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