Munera 3/2019 – Viola Franchini >> Un (sotto)genere in attesa di giudizio. Due esempi sul cinema carcerario italiano

Nel ripercorrere la storia del cinema italiano, è possibile riscontrare un approccio nei confronti della tematica carceraria evidentemente inibito e circoscritto a casi sporadici. Se si avvia un sintetico confronto con quello che è il termine di paragone di più facile intuizione, ossia il prison movie americano, si può facilmente notare come quest’ultimo assurga a vero e proprio genere cinematografico profondamente radicato nella cultura a stelle e strisce. In Italia, al contrario, i titoli di ambientazione carceraria si possono contare sulle dita di una mano, il che rende assai difficile, se non impossibile, individuare un corpus di opere costituenti un filone uniforme e tipizzato.

Tuttavia, emerge un minimo comune denominatore verso il quale preme porre l’attenzione: nonostante le manifestazioni di interesse nei confronti della materia carceraria siano saltuarie, esse rivelano in maniera assai più incisiva rispetto al modello di riferimento statunitense un legame profondo – quasi simbiotico – con le dinamiche sociali del Paese.

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