Munera 3/2016 – Andrea Michieli >> La «controriforma». La revisione costituzionale alla prova del referendum

L’8 aprile 2014 il Governo, presieduto da due mesi dal premier Matteo Renzi, presentò al Senato il disegno di legge recante Disposizioni per il superamento del bicameralismo paritario, la riduzione del numero dei parlamentari, il contenimento dei costi di funzionamento delle istituzioni, la soppressione del CNEL e la revisione del Titolo V della parte II della Costituzione (AS 1429). Fin dal titolo della proposta del Governo si coglie la pluralità e l’eterogeneità dell’intervento riformatore: in esso infatti si accostano obiettivi, richiami all’oggetto e indicazioni di contenuto.

La riforma, il cui esame si è concluso in Parlamento lo scorso 12 aprile, intende modificare 47 articoli e si pone due obiettivi principali sui quali ci si soffermerà: il superamento dell’attuale bicameralismo paritario (o “perfetto”) e la modifica della ripartizione delle competenze legislative tra Stato e Regioni (contenute nel Titolo V della Parte II della Costituzione italiana, come modificato della legge costituzionale 3/2001). Oltre a questi due obiettivi di fondo, la riforma propone altre modifiche significative: l’abolizione delle Province, l’introduzione dell’iniziativa legislativa popolare e la modifica dei quorum per i referendum, la previsione di uno Statuto delle opposizioni e dell’obbligo di frequenza parlamentare alla Camera, l’innalzamento dei quorum per l’elezione del Presidente della Repubblica, la modifica dell’elezione dei giudici della Corte e, infine, l’abolizione del Consiglio Nazionale di Economia e Lavoro (CNEL).  Dopo l’iter parlamentare che ha visto sei deliberazioni di Camera e Senato, maggioranza e minoranza hanno richiesto, secondo la previsione dell’art. 138, il referendum popolare per approvare/bocciare la riforma.

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