Munera 1/2023 – Luigino Bruni >> Fiducia e vulnerabilità nelle organizzazioni

Anche se può sembrare strano e forse ad alcuni un po’ bizzarro, la vulnerabilità è anche una parola buona della vita. La vulnerabilità (parola che deriva dal latino vulnus = ferita), come molte altre parole vere e buone dell’umano, è ambivalente, perché la buona vulnerabilità convive accanto alla vulnerabilità cattiva, e spesso le due sono intrecciate tra di loro. La vulnerabilità buona è quella inscritta in tutte le relazioni umane generative, dove, se non metto l’altro nella possibilità di “ferirmi”, la relazione non raggiunge la profondità per essere feconda. Se mi ritraggo dalla vulnerabilità nei confronti di figlie e figli, mogli e mariti, amiche e amici, la vita semplicemente non funziona, perché questa vulnerabilità relazionale è parte essenziale dentro i rapporti più importanti e decisivi. La buona vulnerabilità è poi anche l’antidoto per proteggersi dalla cattiva vulnerabilità, perché un mondo che aspira all’ideale della vulnerabilità zero è un mondo altamente vulnerabile, come accade, analogamente, nel rapporto tra vaccino e malattie. Essendo la fiducia nella sua essenza un “bene relazionale”, la fiducia è una relazione radicalmente vulnerabile. Quando una persona si fida di un’altra, mette nelle sue mani qualcosa di proprio di cui l’altro può disporre e persino abusare. La radice di quella gioia speciale che proviamo quando qualcuno ripone in noi la sua fiducia sta proprio nell’esporsi di colui che ci dona la sua fiducia: sentiamo che ci ha chiesto di custodire

qualcosa di prezioso che riguarda la sua persona, la sua intimità, il suo mistero.

La condizione di vulnerabilità cresce con il valore di quel “qualcosa” che mettiamo nelle mani dell’altro. La vulnerabilità ha anche il suo valore e proprietà tipiche che cambiano la natura di un rapporto, in genere migliorandolo. Quando chi compie un atto di affidamento fa di tutto per ridurre, e possibilmente annullare, il rischio di abuso e tradimento intrinseco alla fiducia, finisce per ridurre e azzerare il valore intrinseco di quel bene relazionale. Molti rapporti si interrompono sul nascere, perché la volontà di escludere futuri abusi crea un contesto di diffidenza che impedisce al rapporto di iniziare. La fiducia invulnerabile non è un bene, in genere è un male. Lo vediamo nei confronti del coniuge, dei figli, dei colleghi, degli amici, che amiamo e dai quali siamo amati, finché siamo capaci di fidarci di loro – e loro di noi – senza avere garanzie assolute sulla loro reciprocità, sebbene da essa dipendiamo per la nostra felicità.

In tutti gli ambiti, infatti, la generatività ha un bisogno vitale di libertà, fiducia, rischio: tutti elementi che rendono vulnerabile chi concede queste libertà e questa fiducia.

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