Amicus Praefectus, sed magis amica Veritas: la risposta del card. Sarah e la mia replica


viadelconcilio01Il giorno 5 luglio Matias Augé, nel suo blog, ha pubblicato la risposta che il card. Sarah ha dedicato ai miei due interventi (del marzo e giugno scorso) in cui avevo pesantemente criticato due suoi scritti. Mi sembra un segnale positivo, almeno per il fatto che si sia aperto un canale di dialogo. Tuttavia debbo osservare che il card. Sarah, nella sua risposta, non entra minimamente nella discussione “di merito”, mentre si limita ad osservazioni di carattere formale, soprattutto sul mio “tono”, oltre che sulle sue intenzioni. Allora ho pensato che fosse giiusto fare due cose:
– portare a conoscenza anche dei lettori di questo blog della risposta del card. Sarah;
– farla seguire da una mia breve replica, nella quale cerco di mostrare i limiti della risposta stessa e il buon diritto con cui ho sollevato fin da marzo le mie critiche.
a) LA RISPOSTA DEL CARD. SARAH

 

Per la seconda volta in pochi mesi, il Prof. Andrea Grillo ha scritto sul suo blog dei commenti non troppo lusinghieri sul mio conto. In un post del 6 marzo scorso[1], sin dal titolo mi accusava di «sfigurare il Vaticano II». Nel testo, poi, commentava un passaggio di una mia intervista, parlando di «“monstruum” logico e pastorale» e dicendo che, con le mie parole, mi esponevo al «ridicolo», operavo una «mistificazione» e commettevo «un errore irrimediabile», per tacere del resto. Verso la fine, egli mi accusa di quell’autoreferenzialità giustamente stigmatizzata da Papa Francesco, equiparandomi a quegli «esponenti di Curia privi di senso della realtà e di vero contatto con le comunità vive», i quali «vivendo sempre negli uffici di curia […] si immaginano una Chiesa che non c’è e trascurano quella che c’è». Non commenterò le precedenti espressioni, ma circa queste ultime voglio ricordare che sono stato ordinato sacerdote nel 1969 e, dieci anni dopo, vescovo. Dal 1979 al 2001 sono stato vescovo nella mia Guinea, affrontando la vita pastorale ordinaria e tante situazioni “straordinarie”. Solo nel 2001 sono arrivato in Curia. Credo di poter dire di avere un po’ di conoscenza della Chiesa «che c’è». Non posso garantire lo stesso per tutti e singoli gli accademici, anche se la maggior parte di loro riesce ad unire in modo armonico lo studio e la vita ecclesiale.

Un secondo post il Prof. Grillo me lo ha dedicato lo scorso 16 giugno. Esso reca lo strabiliante titolo: «L’analfabetismo conciliare del Cardinal Sarah»[2]. In esso, il liturgista mi critica duramente per un articolo da me pubblicato su L’Osservatore Romano il 12 giugno 2015, dal titolo: «Silenziosa azione del cuore».

Leggendo il titolo del post del Prof. Grillo, avrei dovuto preoccuparmi: sono davvero analfabeta riguardo al Concilio, o almeno circa il suo insegnamento liturgico? Se così fosse, sarebbe grave e dovrei porre immediatamente rimedio, magari andando a «scuola di Concilio» da qualche specialista che dà lezioni private!

Ma sono rimasto confortato da due riflessioni. La prima, su cui tornerò subito, è che le accuse che mi vengono rivolte dal Prof. Grillo non si giustificano in base al vero contenuto del mio articolo. La seconda è che, se sono analfabeta, sono in buona compagnia, dato che la mia interpretazione di Sacrosanctum Concilium coincide con quella di numerosi altri autori, non di scarso rilievo, e alcuni di essi importantissimi. Cosa ancor più importante, la mia interpretazione legge il Concilio alla luce del Magistero post-conciliare.

Ma consideriamo, seppur molto brevemente e senza entrare nei dettagli, ciò che il Prof. Grillo scrive circa il mio articolo, anche se – a dire il vero – dovrei dire: ciò che scrive su di me. L’autore afferma di volermi rivolgere quattro domande, mentre in realtà vengo messo sul banco degli imputati, dovendo sopportare una requisitoria al termine della quale la condanna è, come era prevedibile sin dall’inizio, dura e certa.

Inoltre, anche le accuse in fondo si riducono ad una sola, che ricorre più volte lungo tutto il testo: per il Prof. Grillo, sarebbe una mia grave colpa aver citato Redemptionis Sacramentum n. 42, con quel suo richiamo ad utilizzare con cautela l’espressione «comunità celebrante». Evito di documentare di nuovo l’inopportunità del linguaggio che viene utilizzato nei miei confronti, come e ancor più che nel primo dei due post. Mi soffermo sull’essenziale e faccio notare al Prof. Grillo che Redemptionis Sacramentum viene citata una sola volta, mentre Sacrosanctum Concilium tredici.

E non parlano solo i numeri: anche il tema dell’espressione «comunità celebrante» viene toccato una sola volta e non rappresenta affatto il punto centrale del mio articolo, bensì un’applicazione all’interno di un discorso di ben più ampio respiro. D’altro canto, è chiaro che io sono d’accordo con quella precisazione offerta dall’Istruzione, mentre è ugualmente evidente che il Prof. Grillo non lo è.

Ma questa differenza di vedute giustifica il tipo di intervento che egli ha pubblicato? Il Professore dice che la mia ermeneutica del Concilio è completamente errata e che, più che la Costituzione del Vaticano II, sembra che io abbia letto la Mediator Dei di Pio XII (tra l’altro, mai citata nel mio articolo).

Il Prof. Grillo rivendica la libertà del teologo di criticare la mia «leggerezza di analisi e di giudizio» e di «portare alla luce tutte le lacune».

La conclusione del suo post conferma in termini ancora più drastici questa rivendicazione. Il Professore scrive: «Un Prefetto che voglia davvero servire un’autentica attuazione del Vaticano II, non scriverebbe mai neppure una riga di quanto è apparso con la sua firma. Questo è un fatto grave. Su cui un teologo, che voglia servire la Chiesa, non potrà mai tacere, in nessun caso».

Su questo voglio dire che non dubito della sincerità dei sentimenti del Prof. Grillo nel voler servire la Chiesa. Neanche contesto che, in linea di principio, uno dei compiti della teologia sia quello di criticare rappresentazioni parziali (quali non lo sono?), allo scopo di favorire una migliore comprensione e presentazione della verità rivelata. Obietto però sulle modalità con cui ciò è stato fatto.

Orazio insegna: est modus in rebus. E san Pietro rincara la dose quando, con parole che si riferiscono particolarmente bene al ministero dei teologi, dice: «adorate il Signore, Cristo, nei vostri cuori, pronti sempre a rispondere a chiunque vi domandi ragione della speranza che è in voi. Tuttavia questo sia fatto con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, perché, nel momento stesso in cui si parla male di voi, rimangano svergognati quelli che malignano sulla vostra buona condotta in Cristo» (1Pt 3,15-16).

Il Prof. Grillo è naturalmente libero di criticarmi, se ritiene che io – come privato autore – sbagli. Egli però deve cambiare lo stile delle sue critiche, deve renderle davvero costruttive, vorrei dire persino edificanti, se ciò è concesso. Inoltre, quando critica, deve sforzarsi di cogliere nel segno: ossia di criticare un vero errore, se c’è; non di creare un discorso che non è stato fatto, per poi scagliarsi a capofitto contro la sua stessa creatura, la cui paternità egli però attribuisce al suo accusato.

Una parola conclusiva sul motivo di questo mio intervento. In Italia si dice: “non c’è due, senza tre”. Siccome il Prof. Grillo mi ha già dedicato due post, probabilmente devo aspettarmene altri. Forse devo aspettarmi un post ogni volta che apro bocca o scrivo qualcosa. Voglio dire chiaramente che, sebbene possano dispiacere, questo genere di interventi non mi intimidisce.

Continuerò a riflettere e a parlare, o scrivere, sulla sacra liturgia secondo ciò che la mia intelligenza e coscienza mi fanno comprendere essere vero e degno di essere trasmesso agli altri. Continuerò ad obbedire al Santo Padre, come ho sempre fatto. E il Papa Francesco, come ho avuto modo di dire altrove, nel nominarmi Prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti, mi ha conferito mandato di continuare l’attuazione del Concilio, seguendo la strada aperta da Papa Benedetto XVI. Questo intendo fare, con l’aiuto di Dio, degli officiali e consultori della Congregazione e dei liturgisti che desiderano dare un contributo positivo.

Scrivendo questo testo, non ho inteso difendermi, anche se sono stato attaccato. Ho invece voluto difendere il diritto di avere una visione giusta e fedele al Magistero della Chiesa, nonostante sia diversa da quella di uno o più liturgisti.

Non voglio proteggere o «regolarizzare», come afferma il Prof. Grillo, «chi non vuole stare al gioco del Concilio Vaticano II». Voglio invece dire che non è affatto sicuro che ciò che il Professore chiama «Concilio Vaticano II» coincida davvero con ciò che il Concilio ha insegnato.

Tanti nella Chiesa si ritrovano nella visione liturgica che ho solo brevemente abbozzato nel mio articolo apparso su L’Osservatore Romano. Non è vero che sono pochi, come spesso si sente dire! È la libertà di espressione mia e di queste persone che ho ritenuto soprattutto di dover contribuire a garantire. Il dibattito è cosa buona.

Perché ci sia dibattito, bisogna avere la capacità di confrontarsi serenamente con idee diverse dalle proprie. Io sarò sempre aperto ad ascoltare e a ragionare pacatamente con tutti. Ma è necessario difendere la libertà di leggere il Concilio come un fenomeno nuovo e al tempo stesso pienamente inserito nella continuità dell’unico Soggetto Chiesa.

Bisogna garantire la libertà di pensare ed esprimersi in questo senso, sapendo ovviamente argomentare ciò che si dice (argomentare e attaccare non sono la stessa cosa). È oggi divenuto un dovere difendere questa libertà di pensiero e di parola da chi vuole negarla, affermando che l’unica lettura adeguata del Vaticano II è quella da lui proposta.

È per contribuire a garantire la possibilità di essere, di pensare e di parlare oggi, come uomini e donne della Chiesa del Vaticano II, che è la stessa Chiesa di sempre voluta dal Signore, che ho deciso di scrivere e che continuerò a farlo. Ringrazio chi vorrà leggere questa mia risposta e annuncio sin d’ora che non ve ne saranno altre, anche se dovessero continuare critiche scomposte nei miei riguardi. Sarà sufficiente questo testo e quanto continuerò a pubblicare in futuro, in spirito positivo e propositivo.

 

NOTE [1] Cf. http://www.cittadellaeditrice.com/munera/signor-cardinale-che-bisogno-ha-di-sfigurare-il-vaticano-ii-il-prefetto-sarah-e-la-pace-liturgica/

[2] Cf. http://www.cittadellaeditrice.com/munera/lanalfabetismo-conciliare-del-cardinal-sarah-quattro-domande-di-un-teologo-ad-un-prefetto/

Fonte: http://www.zenit.org/it/articles/53858

b) Amicus Praefectus, sed magis amica Veritas

La risposta del Card. Sarah e la necessaria difesa del “vero” Concilio Vaticano II sono l’oggetto di questa mia breve replica. Vorrei ordinare i miei pensieri per replicare, con la massima pacatezza di cui sono capace, alle parole del Card. Sarah. Procederò rapidamente in questo modo: metterò in luce la  descrizione unilaterale che egli fa dei miei due interventi (1), la giustificazione del tono “sdegnato” con cui ho scritto (2), le questioni fondamentali in gioco (3) e la inconcludenza con cui il Cardinale, finora, ha accuratamente evitato di argomentare (4) a proposito delle mie domande.

1. Una descrizione del tutto unilaterale

Un primo dato curioso appare questo: allo stesso modo con cui descrive e presenta SC, il card. Sarah – mutatis mutandis – ha descritto e presentato i miei due interventi sul mio blog, occultando accuratamente il motivo sia del tono che del contenuto. Se si nasconde il motivo del mio duplice scritto – ossia la teoria della “libertà di utilizzo del VO o del NO secondo attaccamento personale” e la negazione della “partecipazione attiva” come logica fondamentale che giustifica la Riforma liturgica – non si permette di capire a nessuno che cosa è in gioco in tutto questo. Sembra che tutto si risolva in una polemica tra persone. Se non si ricostruisce il fatto – ossia un duplice scritto del Prefetto della Congregazione per il Culto Divino che ricostruisce la Riforma Liturgica in modo unilaterale e ingiusto – non si capisce perché io abbia dovuto alzare il tono e indicare questo duplice errore alla pubblica opinione ecclesiale. Il Prefetto ha esplicitamente sostenuto una teoria sbagliata, dalla quale discendono conseguenze deleterie per la vita delle comunità e dei soggetti. Io non ho nulla di personale verso di lui. Anzi, proprio perché lo rispetto come persona e come ministro, sento il dovere di indicargli, con tutta la chiarezza necessaria – senza usare la nota “doppiezza” clericale – dove sta l’errore di valutazione e di giudizio che altera la ricostruzione della storia e la diagnosi del presente.

2. Il tono “sdegnato” e la monotonia curiale

Proprio qui si innesta il secondo aspetto della sua risposta: il card. Sembra tanto colpito dalla inconsueta parresia con cui io mi sono espresso. Evidentemente egli pare essersi abituato al mondo curiale, dove si dice – di tutto e di tutti – in modo molto più pesante di quanto io abbia fatto, ma solo e sempre dietro le spalle, nascondendosi e mormorando. Quante volte io stesso ho dovuto costatare che sui temi liturgici più scottanti – di cui scrivo da anni con tutta la schiettezza di cui son capace – colleghi, monsignori, vescovi e presbiteri dicevano molto peggio di me, ma sempre e solo “di nascosto” e “abbassando la voce”, guardandosi intorno in modo circospetto, quasi come animali braccati. Vorrei qui ricordare, al Signor Cardinale, quello che ha detto papa Francesco, in una occasione recente: “Se dici una parolaccia su mia madre, ti devi aspettare un pugno”. Per un liturgista, che crede in quello che studia e insegna, non è tollerabile sentir parlare della Riforma Liturgica e della partecipazione attiva nei modi con cui ne ha parlato il Signor Cardinale, In questi casi il “tono sdegnato” è proporzionale alla passione con cui si vuole rispettare un percorso ecclesiale e un progetto di rinnovamento della tradizione. Che “il vecchio e il nuovo si equivalgano”, o che la “partecipazione attiva si riduca a mera passività interiore” si può sopportare se detto dall’approssimativo senso comune di un uomo della strada, ma non da un Prefetto di Congregazione. Mi creda, Signor Cardinale, anche in questo caso, è solo il ministero che svolge ad aver suscitato questa mia inevitabile e giustificata reazione. Lei si sorprende se ho parlato di “analfabetismo conciliare”? Ma come fa, lei, a parlare per pagine di SC senza mai dire ciò che è centrale del documento? Se ne parla con 13 citazioni che non hanno nulla di “specifico” della novità di quel testo? Lei sostiene che “molti” hanno già scritto quello che lei scrive. Ma quali sono le sue fonti? Alcuin Reid? Nicola Bux? Vittorio Messori? Sono queste le “auctoritates” di cui si avvale un Prefetto? Non ha mai letto Vagaggini, Marsili, Parsch, Mazza, Bradshaw, Angenendt, Kloeckener, che ricostruiscono in tutt’altro modo la storia del Movimento Liturgico e della Riforma Liturgica? Perché deve fidarsi di autori secondari, senza alcuna autorità accademica o pastorale, e non prendere sul serio le vere autorità? Su questo non solo non ho avuto alcun chiarimento, ma la sua risposta mi induce a maggiore preoccupazione.

3. Le due grandi questioni in gioco

Nei miei due interventi mi sono limitato a mettere a fuoco due questioni assolutamente centrali, che nelle sue parole risultano impostate in modo distorto e con possibili conseguenze del tutto “anarchiche”. Per questo ho messo in dubbio, non la sua intenzione, ma l’effetto “pacificante” delle sue parole, A mio avviso – e le assicuro ad avviso di tutti i più attenti osservatori della vita liturgica cattolica – queste affermazioni sono obiettivamente pericolose. Le sintetizzo di nuovo, qui di seguito:

a) Cercare la “pace liturgica” incrementando la contraddittorietà tra VO e NO.

Dal 2007 siamo entrati nel “tunnel” aperto da uno dei più infelici atti del pontificato di Benedetto XVI, che introduce un pericolosissimo parallelismo tra forme contraddittorie del medesimo rito romano. E’ un progetto che nasce come “progetto di pace”, ma che è diventato immediatamente “dinamite istituzionale”. Può avere senso solo in ambienti chiusi, clericali. Ma anche in essi – ad es. in un Seminario o in una comunità religiosa – ha un effetto di divisione nella formazione, nella spiritulità, nella pastorale, nella ecclesiologia dei futuri presbiteri. Non parliamo poi quando dà voce ad avvocati reazionari, per costituire un “gruppo VO” nella parrocchia sotto casa…Se uno non si accorge di queste dinamiche, tanto distorte quanto garantite dall’alto, è bene che un teologo lo dica apertamente e senza peli sulla lingua.

b) Diffidare della “assemblea celebrante” e tradire tutto il disegno di Riforma di SC ?.

La premessa necessaria alla prima “opzione” è la incomprensione del cuore di SC e della Riforma Liturgica. Lei sa bene che ci sono stati alcuni “teologi” (o, meglio, giornalisti e preti che si spacciano per tali) che hanno osato sostenere – ascoltati anche da ambienti della sua Congregazione – che SC non voleva riformare “la messa”, ma solo “le messe festive, con concorso di popolo”. Lei sembra dare ascolto a queste letture distorte e insostenibili della tradizione recente, trascurando il valore centrale di una Chiesa che riscopre “ritus et preces” come linguaggio comune a tutti i battezzati. D’altra parte, alcuni anni fa, io ascoltai con le mie orecchie un suo precedessore dire che “i laici dovevano essere tenuti lontani dagli altari”. Con questo approccio non si può capire SC e non si può leggere adeguatamente la tradizione che quel documento ha efficacemente inaugurato. Un documento che ci fa capire, ancora oggi, che occorre anzitutto “recuperare gli usi”, prima che “combattere gli abusi”. Su questo, nei suoi scritti, non ho trovato parole chiare.

4. La evasività del Cardinale

Mi creda, Signor Cardinale, mi ha fatto molto piacere leggere la sua risposta. Anche quando non ne condividevo nulla, sapevo che questo gesto, da Lei compiuto, era improntato ad una fiducia di fondo: che il confronto sia meglio della autosufficienza. Ma, accanto a ciò, debbo confessarle che sono rimasto molto deluso per il fatto che, dopo aver reagito, come è naturale, alle mie critiche, lei non abbia minimamente accennato a rispondere alle questioni che ho sollevato. Lei dice che “molti la pensano come lei”: questa non è una risposta, se non quantitativa, che io metto in dubbio in quanto tale – secondo me questi molti sono pochissimi e marginali – e che contesto soprattutto perché non è motivata. La interpretazione autentica di SC non è quella di coloro che cercano di appiattirla su Mediator Dei, come anche lei ha fatto nei suoi due interventi. Ed è curioso che lei, ragionando in modo positivistico, obietti di non aver mai citato Mediator Dei. Certo. Lei non aveva bisogno di citare MD, perché ha citato solo quei brani di SC che si possono leggere già in Mediator Dei! E’ come leggere il Vangelo mettendo in luce soltanto tutte le citazioni dell’AT. Come si fa a coglierne la novità se non la si cita mai direttamente? Addirittura lei fa una operazione ancora più pericolosa. Non cita gli elementi di vera novità e insinua il dubbio nel lettore che e vere novità “non siano legittime”: altrimenti come potrebbe sostenere che la “pace liturgica” possa nascere solo rendendo la Riforma irrilevante e che la “assemblea celebrante” debba essere un concetto da usare con cautela? Forse lei crede che la differenza tra grazia e legge possa essere una differenza pericolosa? Che la grande novità cristiana, per la quale la “assemblea celebrante”, come “corpo di Cristo”, diviene parte dello stesso mistero celebrato, possa essere ritenuto un pensiero pericoloso? Che questa non sia teologia, ma sociologia o dimenticanza del primato di Dio?

In conclusione

Per finire, come ripeto, mi dichiaro contento della sua risposta. E’ un bel segnale, al di là dei contenuti. Anche il Concilio diventa vita non tanto come un contenuto, ma come uno stile. Ma voglio aggiungere un’ultima cosa. Lei auspica che in futuro io scriva in modo diverso, più costruttivo e edificante. Bisogna capire bene ciò che si deve intendere con questo legittimo auspicio. Se lei vuole che io prenda lo stile contorto e laconico dei testi clericali che il suo Ufficio ha saputo produrre negli ultimi anni, penso che la deluderò ad oltranza. Io intendo la funzione del teologo come “critica rispettosa”, e “rispetto critico”. In questo caso, trovandomi di fronte a documenti e a articoli che “fraintendono la verità della storia degli ultimi 100 anni”, e che minacciano la buona conduzione del cammino di riforma della liturgia e della Chiesa, iniziato un secolo fa, io ho il dovere di reagire in modo netto e anche duro. La mia reazione è causata dal contenuto fuorviante dei suoi scritti. Io le dico una verità, che è dura da ascoltare, ma che è molto preziosa. Sono diventato teologo per esercitare questo compito, e se non lo facessi, anche se a volte può apparire scortese o ingrato, non sarei a posto con la mia coscienza. Non faccio il teologo per fare complimenti ai potenti di turno, ma per salvaguardare il senso più prezioso della tradizione. In questo mio lavoro esercito anche verso di Lei una forma di amicizia, rispettosa della diversità delle funzioni ecclesiali, ma critica verso ogni forma di smemoratezza o di ingiustizia, soprattutto quanto viene dall’alto. Proprio per questo, direi quasi per deontologia professionale, cerco di difendere l’antico adagio: amicus Praefectus, sed magis amica Veritas.

 

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