Munera 2/2020 – Stefano Biancu >> L’etica che verrà

Che cosa possiamo conoscere, che cosa dobbiamo fare, che cosa possiamo sperare sono le tre domande che, fin dai tempi di Kant, riconosciamo come essenziali per ogni tentativo umano di pensare l’esistenza e il reale: tre domande rispetto alle quali l’esperienza della pandemia ci ha sottratto ogni facile risposta.

Ritenevamo di poter conoscere ogni realtà fisica, per quanto infinitesimale, e di poter confinare nell’ambito dell’inconoscibile le realtà metafisiche: il virus ci ha ricordato che non conosciamo tutto, neanche tra le realtà di questo mondo. E che forse non tutto, neppure quaggiù, è completamente dominabile.

Avevamo abbandonato quasi del tutto la ricerca di ciò che è bene in sé (l’ambito dei valori), data la difficoltà di trovare un accordo, limitandoci a negoziare democraticamente ciò che è giusto, ovvero ciò che ciascuno può esigere e legittimamente aspettarsi dalle istituzioni e dagli altri (l’ambito delle norme): il virus ha rimescolato le carte, dimostrando che non è possibile stabilire ciò che è giusto senza una comprensione anche di ciò che è bene. E che il bene richiede a volte di non limitarsi a ciò che è esigibile.

Avevamo riposto ogni speranza nei nostri mezzi e nelle nostre capacità: conoscitive, tecniche e pratiche. Il virus ci ha dimostrato che non di speranza si trattava, ma di illusioni. Non tutto è in nostro controllo, né mai lo sarà.

L’esperienza della pandemia ci ha così consegnato, a caro prezzo, alcune lezioni destinate ad approfondire la nostra comprensione di ciò che possiamo conoscere, di ciò che dobbiamo fare, di ciò che possiamo sperare. Come allora potrà – e forse dovrà – essere l’etica di domani?

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