Sulla donna e sul gender. Una lettera aperta a Luigi Maria Epicoco
Caro Luigi Maria,
ti scrivo direttamente, anche se non ci conosciamo se non per “cultura libresca”, perché mi sembra la cosa più semplice e più utile, tra colleghi, in un caso del genere. Ho letto in questi ultimi due giorni due testi che hai scritto e che mi hanno veramente colpito e allarmato: mi riferisco ad una intervista pubblicata su “alzogliocchiversoilcielo” (che si può leggere qui) e ad un breve intervento sulla “teoria del Gender” (che si può leggere qui). Sono sorpreso per il fatto che tu scrivi non semplicemente sulla base della tua identità di prete, ma anche come filosofo e come teologo e per questo le tue parole portano una responsabilità critica che i tuoi titoli accademici pretendono da te, come da tutti noi. Voglio anche dire che quanto scrivo dipende dalla lettura di questi due testi citati e nulla ha a che fare con un giudizio sulla tua persona e sul resto della tua attività. Mi limito ad esaminare le questioni che emergono dai due testi e provo a formulare meglio le mie perplessità.
Aggiungo però subito di considerare questa occasione quasi come provvidenziale: i tuoi due testi mostrano un fenomeno ben più ampio di ciò che scrivi e permettono di affrontare un “deficit teologico” che attanaglia gravemente la nostra tradizione cattolica recente e che implica, da parte dei teologi e dei filosofi, una urgente funzione di terapia linguistica e di riflessione più profonda. Sono convinto che proprio quando emergono posizioni “scabrose”, come le tue, siamo sempre di fronte ad un passaggio utile per la crescita comune e per la elaborazione di una visione più matura e più equilibrata.
a) Le donne e la tradizione teologica
Inizio dal primo testo, che è una intervista a proposito del tuo libro “Le affidabili”. In questa intervista tu fai alcune affermazioni di grande stima verso le donne, sostenendo che “sono più affidabili degli uomini”, riferendoti a Maria, alla Adultera, alla Samaritana, a Giuditta. Però, nel momento in cui la domanda non verte più sulla descrizione dei “personaggi biblici”, ma sulle donne contemporanee, tu mostri di “infastidirti”. Riprendo letteralmente questo passaggio, su cui vorrei soffermarmi:
“La grande polemica sul ruolo delle donne nella Chiesa mi infastidisce molto, perché è come se noi dovessimo dare spazio a coloro che hanno tutto il diritto di ritenere che questo spazio ce l’hanno già, e se lo sono guadagnato attraverso quella affidabilità di cui parlavo prima. Nel libro ho usato un’immagine. In fondo quando noi guardiamo un quadro veniamo attratti dalle figure che sono in prima linea, ma in realtà queste figure sono comprensibili solo perché c’è un fondale alle spalle, che dà significato ai personaggi in prima linea. Ecco, le donne sono il grande fondale di senso dentro cui nessun personaggio che sta in prima linea potrebbe trovare significato se non attraverso di loro. Dietro i grandi uomini della Bibbia ci sono sempre grandi donne, nella Chiesa le vicende più importanti hanno sempre avuto come fondale figure sagge.”
ll fastidio che provi deriverebbe, a quanto dici, da una “domanda di spazio” che tu non capisci, perché tu pensi che questo spazio già sia attribuito alle donne, nella forma metaforica di uno “spazio del fondale”, che dà senso ad ogni “personaggio in prima linea”. Questa immagine che usi (tra primo e secondo piano) è la traduzione in metafora di ciò che la Chiesa ha affermato per molti secoli, identificando uno “specifico femminile” nella sfera privata e lasciando ai maschi il “primo piano della sfera pubblica”. Tu però dovresti sapere che la “grande polemica” che ti infastidisce, e che sicuramente non può accettare questa tua visione, è entrata nella Chiesa cattolica non solo per la grande elaborazione che a partire dal XIX secolo molte donne hanno compiuto sul piano culturale, sociale e scientifico, ma anche perché un papa, Giovanni XXIII, ha ufficialmente chiamato “entrata nello spazio pubblico delle donne” uno dei segni dei tempi con cui dobbiamo fare i conti. Il fastidio, di cui parli, è una crisi di crescita, che ci impedisce di continuare a ragionare con lo schemino: donne in privato, affidabilissime ma invisibili e senza autorità – uomini in pubblico, meno affidabili ma visibili e dotati di autorità.
b) Le donne nel privato e il deficit del magistero
La tua reazione, che si completa nella risposta all’ultima domanda, dove confessi il tuo debito affettivo verso la nonna, la madre e le sorelle, è esemplare di una cultura molto unilaterale: le donne non sono solo “affidabili e affettuose”, ma sono anche sempre maestre, autorità, teologhe, sindaci, tassiste, giudici, musiciste, registe…hanno risorse di autorità e di “primato” che il tuo discorso, indirettamente e direttamente, si affanna a negare e teme come un pericolo. Sarebbe specifico della donna essere “destinata” a questa affidabilità di sfondo. Tu non lo vedi, ma questa è “cultura dello scarto”. Qui, a mio avviso, le tue categorie teologiche e filosofiche non sono per nulla alla altezza di un “segno dei tempi”, ma restano indietro e alimentano quei “complessi di superiorità” che la cultura cattolica da 60 anni dovrebbe sentire il compito di superare. Tuttavia questo imbarazzo ci è utile perché ci spinge a scovare come questo meccanismo automatico e incontrollato, con cui gli uomini di fede relegano le donne in secondo piano, è presente anche nelle parole del magistero. Anche il magistero, idealizzando la donna, la tiene in secondo piano. Parlando di “principio mariano”, ed equiparando arbitrariamente tutte le donne a Maria, ne esclude la rilevanza istituzionale, riservandola a Pietro, ed equiparando altrettanto arbitrariamente tutti i maschi a Pietro. Questo non scusa le tue affermazioni, ma le contestualizza e rende ancora più necessario aprire un dibattito serio sui meccanismi con cui noi “blindiamo” una marginalità femminile, proprio riconoscendole un primato nella affidabilità. Come sai bene, questa è anche la strategia di uno dei documenti che ha inaugurato la presa di posizione del Magistero cattolico in quella che tu chiami “grande polemica”. In effetti in “Inter insigniores” troviamo la seguente affermazione:
“« I segni sacramentali – dice S. Tommaso – rappresentano ciò che significano per una naturale rassomiglianza ». Ora, questo criterio di rassomiglianza vale, come per le cose, così per le persone: allorché occorre esprimere sacramentalmente il ruolo del Cristo nell’Eucaristia, non si avrebbe questa « naturale rassomiglianza », che deve esistere tra il Cristo e il suo ministro, se il ruolo del Cristo non fosse tenuto da un uomo: in caso contrario, si vedrebbe difficilmente in chi è ministro l’immagine di Cristo. In effetti, il Cristo stesso fu e resta un uomo.”
Tommaso però non ha mai detto questo. Se analizziamo dove si trova la citazione di Tommaso, scopriamo che l’espressione citata da Inter insigniores compare nel Commentario alle sentenze di Pietro Lombardo (Super Sent., lib. 4 d. 25 q. 2 a. 2 qc. 1 ad 4) ed è parte di una risposta alla discussione, che non riguarda la ordinazione della donna, ma quella dello schiavo (l’articolo 2 si intitola infatti “Se la schiavitù sia impedimento alla ricezione dell’ordine”). Il testo della citazione integrale, che è molto breve, suona così:
“ Ad quartum dicendum, quod signa sacramentalia ex naturali similitudine repraesentant; mulier autem ex natura habet subjectionem, et non servus; et ideo non est simile.” (I segni sacramentali manifestano una certa naturale somiglianza, ma la donna ha la soggezione per natura, mentre non è così per li schiavo. Perciò non è simile)”
Come è evidente, il riferimento alla “similitudo” non riguarda di per sé la “somiglianza maschile/femminile” rispetto al Signore, ma la somiglianza nella “condizione di schiavitù”, che lo schiavo ha per contratto o per convenzione, mentre la donna ha “per natura”. Una “schiava per natura” non può in alcun modo rappresentare il Signore!
La pretesa con cui “Inter insigniores” vuole mostrare che il sesso femminile è escluso dalla rappresentanza di Cristo procede secondo una lettura pregiudiziale del femminile, la cui caratteristica decisiva non è la affidabilità, ma la soggezione e la mancanza di autorità. Questo pregiudizio mi pare pesantemente presente nel “fastidio” con cui tu non riesci a riconoscere alcun valore a ciò che Giovanni XXIII, ben 60 anni fa, ha identificato come “segno dei tempi”: ossia il fatto che “mulieres in re publica intersunt”. Potrà dare fastidio, ma è con questo che il filosofo e il teologo deve misurarsi. E per quanto si parli di affidabilità, anche a giusto titolo, se non ci si confronta con l’esercizio della autorità, non si rende un servizio alla ragione teologica e alla dignità delle donne.
c) La conferma sul Gender
Un ultimo appunto mi pare che meriti il secondo testo che ho citato all’inizio, nel quale tu presenti la “teoria del Gender” in modo del tutto caricaturale. Ma questo non mi sorprende. Se non riesci a comprendere che la considerazione teologica della donna non può partire dai pregiudizi sociologici e culturali con cui la abbiamo pensata come un “maschio difettoso”, come una “schiava per natura”, a cui non rimedia il riconoscimento della affidabilità – che può convivere con quei pregiudizi, e anzi li conferma – evidentemente puoi guardare in modo solo catastrofico alla elaborazione della categoria del “genere/gender”, in cui la dimensione biologica e culturale si fondono in modo più complesso di quanto avevamo pensato fino ad oggi. In questo modo mi pare che tu non riesca a comprendere come ciò che tu liquidi come “esperienza del male” sia in realtà una delicata e preziosa rielaborazione del rapporto tra identità e differenza. Certo la teoria non è priva di problemi e di limiti, ma non può essere giudicabile in modo sommario e sbrigativo come una “esperienza del male”. E’ proprio il “segno dei tempi” della donna nello spazio pubblico a rendere necessaria una “teoria di genere” che non sia appiattita su una lettura essenzialistica del femminile. Come se il profilo culturale e sociale potesse derivare semplicemente da un dato naturale. Questo modo di intendere le differenza è semplicemente un modo per difendere i propri pregiudizi. Per questo tu puoi scrivere questo testo, che mi sembra dominato da un pregiudizio talmente pesante da risultare frutto di un approccio fondamentalistico, che fatico a correlare alla tua formazione filosofica:
“In ogni epoca storica il male si è manifestato in diverse maniere, in questo momento storico la modalità più specifica attraverso cui il male si fa presente e agisce è sicuramente la teoria del Gender. Voglio però subito precisare che dicendo questo non mi sto riferendo a coloro che hanno un orientamento omosessuale. Il Catechismo della Chiesa Cattolica ci invita anzi ad accompagnare e a prenderci cura pastorale di questi fratelli e di queste sorelle. Il mio riferimento è più ampio e riguarda una pericolosa radice culturale. Essa si propone implicitamente di voler distruggere alla radice quel progetto creaturale che Dio ha voluto per ciascuno di noi: la diversità, la distinzione. Far diventare tutto omogeneo, neutrale. È l’attacco alla differenza, alla creatività di Dio, all’uomo e la donna”
Una descrizione caricaturale della domanda di identità che è oggetto della “teoria gender”, la demonizzazione di una radice culturale e la lettura antimodernistica del “progetto creaturale” non mi sembrano parole adeguate al tuo ruolo di filosofo e di teologo. Mi sembra di leggere il testo di uno che parla per slogan vuoti, senza aver davvero meditato ciò che sta dicendo. E questo è molto grave, proprio per un teologo e per un filosofo che gode di un credito di cui non dovrebbe abusare.
Ho cercato di ragionare, brevemente, con parresìa, esponendo le ragioni della mia preoccupazione. Spero che sia una occasione per dire meglio anche tutto quello che ci accomuna, nella medesima chiesa, a partire dalle differenze qui rimarcate, come era inevitabile, nel dialogo necessario ad ogni tradizione che non sia tentata di fermarsi, ma che sappia di dover camminare, ieri come oggi, per restare se stessa.
Andrea Grillo
“Vero… libero…grande … rigoroso”. Non sono parole mie, Andrea, ma di un vescovo che così ha commentato il tuo blog e mi ha chiesto espressamente di trasmettertele. Per quanto mi riguada non posso che ringraziarti: presenza e ruoli delle donne nelle diverse società e nelle diverse chiese sono questioni-chiave su cui si deve misurare oggi qualiasi riflessione teologica, prima ancora di qualsiasi marketing editoriale. So bene quanto sia “in auge” oggi il pensiero di don Epicoco (un’amica mi ha detto che ha riempito poco tempo fa il duomo di Colonia. Non a caso: Colonia!) e quanto sia corteggiato dalle case editrici. Ancor di più ti ringrazio allora per averlo richiamato, visto il suo ruolo di “influencer”, al rigore teologico e all’attinenza storica. Se da questo nascesse una discussione teologica degna di questo nome, avrai ancora una volta assolto al tuo vero compito di teologo: chiamare a un confronto leale degli argomenti. E, forse, teologhe di tutto il mondo di argomenti in questi decenni ne hanno messi molti sul tavolo! Ma non tutti gli “uomini di Chiesa” se ne sono accorti.
Cara Marinella, ti sono grato e spero che ne venga un dibattito nel quale ci si accorga di quanto hanno lavorato le teologhe per permettere al “segno dei tempi” di non restare solo nel mondo, ma di entrare anche nella Chiesa.
Complimenti signor Andrea Grillo, chiaro e limpido. Sul Gender spero la legga anche il papa, a cui voglio bene, ma quando parla di Gender… mi sa che ha la stessa visione caricaturale di Epicoco. E lui, il Francesco, non se la prenda Luigi Maria, è un po’ più…. influencer😏😏😏
Certamente nessuno e nessuna domina la vastità del sapere umano e un saggio a carattere divulgativo non è una tesi di dottorato. Tuttavia anche la divulgazione, anzi soprattutto la divulgazione richiede la responsabilità di dare peso e conto di parole destinate, nei casi più fortunati, a raggiungere e influenzare un pubblico più vasto. Da un filosofo, da un teologo, da un preside di facoltà che si avventura in un campo – quello biblico – che non è di sua strettissima competenza e che decide di dare alle stampe un libro su tale argomento, mi aspetto quindi, se non la contezza e la padronanza delle più recenti acquisizioni esegetiche, almeno la consapevolezza della complessità delle questioni “di genere” che attraversano i testi delle Scritture ebraiche e cristiane. Complessità che studiose e studiosi hanno da tempo messo in luce con rigore scientifico e solidità di argomentazioni. I frutti delle loro ricerche sono oggi facilmente reperibili e accessibili, anche al di fuori dei circoli strettamente accademici. Basterebbe, nell’imbarazzo della scelta, dare un’occhiata alla lunga lista di testi proposti sul sito del Coordinamento delle Teologhe Italiane. Continuare a raccontare le donne della Bibbia rinchiudendole in fastidiosi (questi sì, sul serio) quanto piatti stereotipi, traendone addirittura linee di indirizzo che si pensano valide universalmente, non è davvero un utile servizio.
Grazie a lei dott. Grillo per la presa in carico, per la limpidezza, per il gentile e fermo richiamo, per l’incrollabile fiducia nelle possibili occasioni di sincero e proficuo dibattito.
Grazie dottor Grillo per la schiettezza con cui ha illustrato la sua visione sia nel trattare la questione femminile che quella del gender confrontandola con quella di Episcopo. Per caso mi ero trovata a leggere su internet quanto dal medesimo scritto e al quale lei fa riferimento e ne ero rimasta addolorata. Sì addolorata perlpché la visione delle donne che ne esce è davvero avvilente: come si può pensare che siano solo le donne a fare da sfondo. Certo anche lo sfondo è importante, ma non possono essere solo le donne a farlo. Dietro a un uomo grande c’è una grande donna, ma non può essere vero che dietro ogni donna grande c’è un uomo grande.? Siamo tutte creature in relazione le une con le altre e dobbiamo o almeno dovremmo fare da sfondo o essere in primo piano vicendevolmente.
So che nella Chiesa purtroppo ancora molti la pensano come don Episcopo e questo mi sconforta.
Chissà che un giorno non ci possa essere un sincero dibattito su un argomento così importante ma che fa così paura a tutti livelli, Papà Francesco compreso.
I miei studi non sono stati né filosofici, né teologici, su questi argomenti direi di essere autodidatta, ma ritengo che né i teologi né il magistero della Chiesa cattolica possano più portare a giustificazione dell’esclusione delle donne dall’ordinazione ministeriale il fatto che Gesù è un maschio o che le donne sono inferiori per natura. Solo se le donne si considerano inferiori per natura possono essere destinate a fare sempre da sfondo. E dire che sia i maschi che le femmine possono fare da sfondo non vuol dire che gli uomini e le donne sono uguali. No assolutamente, ma vuol dire che hanno uguale dignità e possibilità di essere in primo piano o fare da sfondo. È questa paura degli uomini di fare da sfondo che li porta ad “ammaliare” le donne con farle creature affidabili, ma da sfondo Anche i maschi possono essere affidabili e le donne non affidabili. Questa è la realta’ con la quale anche la Chiesa deve fare i conti.
La ringrazio molto della sua spiegazione dottor Grillo
Anche le lettere, essendo femminili, devono restare in privato? Io credo che sia bene discutere apertamente. Non voglio alimentare la omertà ma la parresia.
Credo che abbia sbagliato commento e che stesse rispondendo a me.
Evidentemente però, ha anche mal compreso ciò che ho scritto…
D’altra parte, l’ironia è un mezzo ottimo per screditare l’altro, senza rispondergli nel merito.
Peraltro, di quale “omertà” si tratterebbe, se la correzione fraterna fosse stata fatta in privato? Vi è forse una “mafia” del pensiero teologico moderno, o antico, che pretenda di tenere nascosto qualcosa?
O non è invece vero che il Vangelo dà indicazioni precise su come correggere il fratello?
E di quale “parresia” parla? Di quella definita dalla Treccani come “libertà di parola eccessiva, sfrenata”?
O del “coraggio e la sincerità della testimonianza”, che però sono quelli di San Paolo, ben diversi dalla pretesa di rendere tutti occhi, o tutti braccia, o tutti testa, nel Corpo di Cristo, che si è insinuata in questo periodo di capricci di uguaglianza e negazione della Verità.
Ciò con cui dobbiamo imparare a fare i conti è il fatto che non siamo Dio e non possiamo modificare a nostro piacimento la natura delle cose, solo per nostro comodo e per far contento chi non vuole essere soggetto ai limiti che la natura di creatura gli impone.
Non vi è meno dignità nello stare in posizione arretrata, tanto più se consideriamo ciò che il Signore ci ha insegnato con la lavanda dei piedi: “Quando ebbe lavato loro i piedi, riprese le sue vesti, sedette di nuovo e disse loro: «Capite quello che ho fatto per voi? Voi mi chiamate il Maestro e il Signore, e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: un servo non è più grande del suo padrone, né un inviato è più grande di chi lo ha mandato. Sapendo queste cose, siete beati se le mettete in pratica.”
Chi, avendo ascoltato questo, può pretendere di elevare se stesso, invece di chinare il capo e servire, nella posizione in cui si trova?
Se uno scrive in pubblico, perché bisognerebbe rispondergli in privato? Essendo i temi di interesse ecclesiale, ed essendo io un teologo non ho la possibilità ma il dovere di rispondere, così come ho fatto.
Una lettera che avrebbe dovuto essere inviata in privato a Don Epicoco (la correzione fraterna si fa in privato, diceva qualcuno, mi pare di averlo letto in un libro…), invece che pubblicata urbi et orbi.
Peraltro fondata su un pregiudizio evidentissimo, che porta a interpretare le parole di Don Epicoco in maniera negativa, a prescindere, senza alcuna apertura alla possibilità che abbiano un senso completamente opposto a come sono state interpretate. Interpretazione che invece, in quanto donna credente, leggo benissimo e stimo moltissimo.
Ad esempio, “lo sfondo” in cui si vorrebbero “relegate le donne”, secondo la Sua lettura, non ha certamente il significato dell’ambito privato, contrapposto all’ambito pubblico riservato ai personaggi in primo piano, dato che quello stesso sfondo (nel quadro preso ad esempio) è ben visibile al pubblico che lo ammira, insieme ai personaggi in primo piano. Ma, ancor più, sbagliata è l’interpretazione data allo sfondo come ruolo di secondo piano in contrapposizione al primo piano. Nella metafora usata da Don Epicoco, in realtà, si esalta il ruolo fondamentale di chi “sostiene” l’altro, ne esalta i meriti e ne amplifica l’efficacia di azione, esattamente come la spalla è indispensabile al comico per poter essere apprezzato al meglio (e pur senza che il pubblico se ne accorga, il vero protagonista del duetto è proprio la spalla, molto più del comico).
Ma nel mondo odierno, nel quale l’egocentrismo è la regola, e l’umiltà l’eccezione, pensare di essere relegati in “secondo piano” è considerato un affronto inaccettabile.
Quanto all’aggettivo “caricaturale” con il quale bolla la descrizione della domanda di identità che è oggetto della “teoria gender”, fornita da Don Epicoco, dispiace doverlo evidenziare, ma purtroppo la caricaturalità appartiene a un certo mondo LGBT (si badi bene, non a tutto quel mondo, ma ad alcuni, che sembrano tanti perché fanno tanto rumore), quello dei Gay Pride e simili, non certo alle parole di Don Epicoco.
D’altronde, quando ci si dimentica che la persona ha una dignità, che deriva dall’essere stato creato a immagine e somiglianza di Dio, indipendentemente da tutto ciò che la caratterizza incidentalmente, si finisce per concentrarsi su una finta dignità derivante proprio da particolari di secondaria importanza. E proprio questo puntare tutto su certe caratteristiche, invece che sull’interezza della persona (corpo anima e spirito), autoriduce che lo fa e lo relega in un angolo, privandolo della sua intera dignità di figlio di Dio, per il quale è stato versato il Sangue di Cristo…
Questo ragionare, da parte Sua, sia in relazione al ruolo e all’importanza della donna, sia sul Gender, non ha nulla di teologico, perché riduce l’azione dello Spirito a una sorta di assistenza sociale e, invece di elevare in dignità, riduce e comprime la persona nel ruolo, nel personaggio scelto, privandolo della possibilità di puntare alla Santità.
Che peccato, mi creda, vedere che le vette mostrate dal Vangelo vengono ridotte a collinette e che la Regalità di Cristo viene relegata nelle Sacrestie, invece di essere profusa a piene mani a tutti i fedeli, nel loro proprio ruolo, nella loro propria dignità, nella loro propria appartenenza al Corpo di Cristo, ciascuno con il proprio ministero…
O vogliamo affermare che San Paolo abbia scritto baggianate?
“Vi sono diversità di ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diversità di operazioni, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti. E a ciascuno è data una manifestazione particolare dello Spirito per l’utilità comune: a uno viene concesso dallo Spirito il linguaggio della sapienza; a un altro invece, per mezzo dello stesso Spirito, il linguaggio di scienza; a uno la fede per mezzo dello stesso Spirito; a un altro il dono di far guarigioni per mezzo dell’unico Spirito; a uno il potere dei miracoli; a un altro il dono della profezia; a un altro il dono di distinguere gli spiriti; a un altro le varietà delle lingue; a un altro infine l’interpretazione delle lingue. Ma tutte queste cose è l’unico e il medesimo Spirito che le opera, distribuendole a ciascuno come vuole. Come infatti il corpo, pur essendo uno, ha molte membra e tutte le membra, pur essendo molte, sono un corpo solo, così anche Cristo. E in realtà noi tutti siamo stati battezzati in un solo Spirito per formare un solo corpo, Giudei o Greci, schiavi o liberi; e tutti ci siamo abbeverati a un solo Spirito. Ora il corpo non risulta di un membro solo, ma di molte membra. Se il piede dicesse: «Poiché io non sono mano, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. E se l’orecchio dicesse: «Poiché io non sono occhio, non appartengo al corpo», non per questo non farebbe più parte del corpo. Se il corpo fosse tutto occhio, dove sarebbe l’udito? Se fosse tutto udito, dove l’odorato? Ora, invece, Dio ha disposto le membra in modo distinto nel corpo, come egli ha voluto. Se poi tutto fosse un membro solo, dove sarebbe il corpo? Invece molte sono le membra, ma uno solo è il corpo. Non può l’occhio dire alla mano: «Non ho bisogno di te»; né la testa ai piedi: «Non ho bisogno di voi». Anzi quelle membra del corpo che sembrano più deboli sono più necessarie; e quelle parti del corpo che riteniamo meno onorevoli le circondiamo di maggior rispetto, e quelle indecorose sono trattate con maggior decenza, mentre quelle decenti non ne hanno bisogno. Ma Dio ha composto il corpo, conferendo maggior onore a ciò che ne mancava, perché non vi fosse disunione nel corpo, ma anzi le varie membra avessero cura le une delle altre. Quindi se un membro soffre, tutte le membra soffrono insieme; e se un membro è onorato, tutte le membra gioiscono con lui. Ora voi siete corpo di Cristo e sue membra, ciascuno per la sua parte.
Alcuni perciò Dio li ha posti nella Chiesa in primo luogo come apostoli, in secondo luogo come profeti, in terzo luogo come maestri; poi vengono i miracoli, poi i doni di far guarigioni, i doni di assistenza, di governare, delle lingue. Sono forse tutti apostoli? Tutti profeti? Tutti maestri? Tutti operatori di miracoli? Tutti possiedono doni di far guarigioni? Tutti parlano lingue? Tutti le interpretano?”
‘….il vostro linguaggio sia sì/sì, no/no”
Caro Andrea Grillo, linguaggio il suo sine glossa o giri di parole. Grazie.
Necessario sempre, ora più che mai.
Grazie
Grazie per il ‘coraggio” di parole chiare e in verità che rinfrancano e invitano a proseguire.
Grazie
Andrea Giovanna
Signor Grillo, lei rappresenta a pieno una teologia (ormai vecchia) per cui Gesù Cristo è superato. La colpa delle donne sullo sfondo è di Cristo che ha scelto 12 maschi. E che ha confermato il diritto naturale. Abbia l’ onestà intellettuale che si esige da un accademico di correggere Cristo.
Come Giovanni xxiii non ho simpatia per i profeti fi sventura e per coloro che attribuiscono a Cristo e al diritto naturale i loro pregiudizi misogini
Contenuto privo di Spirito. Parole senza il tocco divino.
“L’uomo naturale però non comprende le cose dello Spirito di Dio; esse sono follia per lui, e non è capace di intenderle, perché se ne può giudicare solo per mezzo dello Spirito”. 1Cor 2,15.
Certa che don Epicoco non sprecherà parole per rispondere al dott. Grillo, prego che la Chiesa sia animata sempre da Profeti, Maestri ed Evangelizzatori come don Luigi Maria Epicoco.
Dato che qualcuno/a ha richiamato l’opportunità della correzione fraterna, mi sembra opportuno che i nostri interventi avvengano nei toni giusti, soprattutto non ricorrendo a espressioni che non sono il massimo di simpatia. A. Grillo ci ha proposto una lettura ‘critica’ di qualche passaggio dell’intervista a Epicoco; sarebbe opportuno restare sul piano critico, ovvero, in questo caso, cercando di argomentare, dato che i due interlocutori (Grillo e Epicoco) privilegiano il registro filosofico e teologico: ad argomenti si risponde con argomenti! Non sono escluse le citazioni (anche bibliche); ma, come ricordava Tommaso d’Aquino, l’argomento di autorità è il più debole (inclusa la autorità stessa di Tommaso, evidentemente!). A. Grillo ha argomentato su due temi delicati e attuali: il femminile e il gender. Circa le osservazioni critiche fatte alla posizione di Epicoco nelle citazioni da lui riprese e analizzate, mi dichiaro d’accordo e mi sembrano ben argomentate; mi permetto solo di aggiungere che A. Grillo discolpa Tommaso dall’uso scorretto di una sua citazione e ha fatto bene a restituirla al suo contesto (similitudine schiavo/donna); ma, lo stesso Tommaso manco ‘scherza’ in altri suoi loci; ma lo perdoniamo. Mi permetto solo di invitarci a vicenda a una attenzione maggiore verso le tematiche e le problematiche del nostro tempo e a non liquidarle subito come pericolose, dannose come tante volte è avvenuto nella storia; esse spesso non possono trovare risposta nei testi del passato semplicemente perchè il passato (Scrittura, tradizione, magistero e gli altri loci…) o non le aveva ancora assunte o non aveva ancora dato il giusto peso a partire da nuove conoscenze e acquisizioni critiche; quindi tante volte il semplice appello al passato non è detto che risulti adeguato; nè possiamo citare quelle del passato … come risposte ‘anticipate’, chiaroveggenti! Piuttosto, teniamo sullo sfondo o sul ‘fondale’ (questa volta sì), le tante questioni cui si è risposto nel passato con tanta sicurezza, tanto più pericolosa quanto più gravi sono stati gli effetti prodotti: pensiamo alla accettazione della schiavitù, alla inferiorità della donna, alla idea della guerra giusta, alla condanna della libertà di pensiero, al valore scientifico anziché salvifico della Bibbia …; tutto questo per raccogliere le sollecitazioni preziose che A. Grillo ci ha offerto perché non vedessimo più il ‘bene’ dove di fatto c’è stato tanto male, come negli esempi che ho appena citato; e cominciamo a non vedere ‘male’ dove siamo chiamati a scoprire probabilmente (e speratamente) il ‘bene’, che Dio ci offre: la donna e la pienezza del suo inserimento ecclesiale, i molti generi… ! Grazie a tutti, comunque.
Condivido in toto quanto scritto dall’ottimo don Luigi Epicoco e per nulla quanto espresso da Andrea Grillo. I due autori partono con premesse teologiche diverse; personalmente considero corrette quelle di don Epicoco. Senza acredine e con buona pace.
Il ragionamento di Grillo sulla femminilità ha una sua verità, ma sulla teoria gender c’è da dire che non significa niente, perché il sesso che veramente si sente di avere è solamente il proprio e in realtà non si può cambiare: neppure le operazioni chirurgiche lo possono veramente… Mi spiego anche con un altro esempio. Un bambino che soffre perché vorrebbe essere un lupacchiotto va aiutato solo con la saggezza… così col desiderio di essere del sesso opposto; i desideri degli umani sono così, non sempre sono uno con la volontà istintiva. Quindi la cosiddetta “teoria del gender” andrebbe trattata per quello che è, una pretesa inautentica oltre che impossibile.
Mauro Pastore
Forse prima di giudicare una teoria bisognerebbe conoscerla. Il “gender” è la connotazione culturale di una condizione naturale. Nell’uomo e nella donna la natura è sempre inculturata. Per questo non si tratta anzitutto di “cambiare sesso”, ma di capire in quale misura la sessualità è un fenomeno culturale. Di questo la Chiesa non solo può, ma deve interessarsi anche in positivo.
Lei dice: “Per questo non si tratta anzitutto di “cambiare sesso”, ma di capire in quale misura la sessualità è un fenomeno culturale.”… Eppure la teoria gender è basata sulla fantasia del cosiddetto transessualismo, quindi anche sulla fantasia del cambio di sesso… E si finge che il sesso che si desidera di essere sia per questo identità. E un imbroglio, insomma, che proprio non va difeso e neanche ponendo in causa la cultura. Cultura e natura non devono divergere ma nella teoria gender divergono. Questo non è accettabile.
Mauro Pastore
Il transessualismo non è la causa della teoria, ma un possibile effetto. Lei continua a confondere. La bicicletta e guidarla contro mano in autostrada devono essere distinti. Altrimenti si condanna la bicicletta come se l abuso fosse la sua ragion d essere. Mi creda non cada nella confusione
Domenica scorsa, prima e indipendentemente da queste letture, mi trovano a una mostra e mi sono soffermata a lungo su un bassorilievo marmoreo dove una scena emergeva da uno sfondo fatto di figure umane indistinte. Non ricordo assolutamente nulla della scena protagonista perché il mio sguardo cercava fra quella folla indistinta, un volto, un gesto, nel vano tentativo di vedere la loro vita, di cogliere qualche particolare che mi facesse comprendere chi fossero.
Le categorie davanti e dietro, sotto e sopra non comprendono il reale, la vita, ma sistemano gli esseri umani, li mettono a posto, al loro posto. Quale posto?
Allora ben vengano lettere come la sua, Andrea Grillo. Grazie per il suo lavoro “vero, libero, grande e rigoroso” e grazie alle teologhe del Coordinamento teologhe italiane per il loro lavoro bello, vero, libero e rigoroso. Un lavoro teologico prezioso che tiene aperta la forza liberante della buona novella per tutte e per tutti, che fa emergere la verità e l’autorevolezza di chi sta da troppo a lungo sullo sfondo; un lavoro che smaschera categorie culturali che ci tengono ancora in ostaggio, sia che siamo credenti o non credenti.
Caro professore, Andrea, GRAZIE!
Grazie per aver voluto rendere pubblica questa lettera, davvero “aperta”! Aperta alla realtà, ai segni dei tempi, che non solo dobbiamo scrutare, ma dai quali dovremmo anche lasciarci ammaestrare. Grazie per l’apertura a un dialogo franco, per il tuo parlare lucido, rigoroso, senza retorica e aperto alla complessità. Ne abbiamo tanto bisogno in questo tempo di slogan, semplificazioni e ideologie (non mancano pure qui, mi pare). Spiace sentire donne quasi lusingate da parole come quelle citate…
E ci sarà chi in questa lettera vede il Vangelo stravolto, ma c’è anche chi, come me, ne riceve luce e fa memoria di queste parole:
“Non è il Vangelo che cambia, ma siamo noi che cominciamo a comprenderlo meglio”.
Emanuela Francesca, clarissa
Penso che non si tratti di capire se è più importante lo sfondo o i primi piani. Ambedue sono necessari per fare del quadro un’opera d’arte. Il problema è di capire se è giusto che solo le donne debbano fare da sfondo o possano scegliere secondo i loro carismi di posizionarsi sullo sfondo o svolgere funzioni di primo piano. Dio ci ha creato maschi e femmine a Sua immagine e somiglianza e quindi penso con quale dignità. Il fatto che Gesù abbia scelto più di 2000 anni fa’ gli apostoli solo maschi non mi pare giustifichi la scelta di posizionare le donne per l’eternità sullo sfondo.
Vi immaginate, se Gesù avesse scelto donne per l apostolato, chi avrebbe dato loro credito se all’epoca non potevano neppure testimoniare?
La arbitrarietà con cui si attribuisce a Gesù una intenzione “esclusiva” è impressionante e deve essere chiarita. Gesù compie una azione. La sua azione ha una rilevanza positiva, ma non negativa. Perché se avesse valore anche negativo, dovremmo dire che possono essere ordinati solo maschi, solo circoncisi, solo originari della Palestina, solo pescatori o esattori…il fatto che il sesso diventi oggetto di una “scelta esclusiva”, voluta espressamente dal Signore, non ha nulla a che vedere con le intenzioni di Gesù, ma molto a che vedere con le abitudini di chi lo ha ascoltato lungo i secoli.
Tuttavia, fermo restando che questo non è per ora accaduto riguardo al diaconato, san Giovanni Paolo II ha chiuso la questione sulla ordinazione sacerdotale delle donne con una sentenza “definitive tenenda”. E questo mi pare opportuno ricordarlo. Avendo esercitato in modo infallibile il munus petrino, direi che la questione non si pone più. Chi continua a dire “se, ma, però, forse, in ogni caso, tuttavia”, portando argomentazioni volte a screditare l’affermazione magisteriale definitiva, si pone fuori della comunione ecclesiale. Non è il depositum fidei che si deve adeguare a me, sono io chiamato a comprendere il depositum fidei; troviamo parole adeguate, questo è necessario; ma la sostanza non cambia.
Con buona pace e auguri di santa domenica del Corpus Domini a tutti gli italiani (in altri Paesi l’hanno celebrato giovedì scorso).
Non è esercitato in modo infallibile. Definitivo e infallibilie non sono sinonimi, Attenzione!
C’è una larga fetta di teologi e canonisti i quali sostengono che la dichiazione magisteriale de qua abbia tutte le caratteristiche richieste per un insegnamento papale infallibile. Poco tempo dopo la sua pubblicazione, la cdf emise una nota esplicativa a riguardo. Lo stesso papa Francesco l’ha riaffermato in una intervista che l’ultima parola è quella detta da san Giovanni Paolo II.
Lei continua a confondere. Altro è dte difibitiva, altro è dire infallibile. Le affermazioni ufficiali non parlano mai di infallibilità. Se vuole controllare imparerà qualgosa ed eviterà di scrivere menzogne.
Gent.mo Grillo, io non scrivo menzogne! Il card. Ladaria, come troverà scritto sul sito della Santa Sede, scrive testualmente:
In secondo luogo, i dubbi sollevati sulla definitività di Ordinatio sacerdotalis hanno conseguenze gravi anche sul modo di comprendere il Magistero della Chiesa. È importante ribadire che l’infallibilità non riguarda solo pronunciamenti solenni di un Concilio o del Sommo Pontefice quando parla ex cathedra, ma anche l’insegnamento ordinario ed universale dei vescovi sparsi per il mondo, quando propongono, in comunione tra loro e con il Papa, la dottrina cattolica da tenersi definitivamente. A questa infallibilità si è riferito Giovanni Paolo II in Ordinatio sacerdotalis.
Giusto per dovere di cronaca.
Le opinioni personali che estendono indebitamente il contrnuto del magistero non sono magistero. Se avesse voluto fissare una dottrina infallibile, il magistero lo avrebbe fatto. Se non lo ha fatto, nessuna interpretazione estensiva può sostituirla. Perciò resta la differenza e dire il contrario resta falso, chiunque lo dica. Tanto più in una materia non strettamente dottrinale come il sesso femminile, su cui la storia e la coscienza non può essere sostituita, neppure da un Prefetto!
Però, mi scusi professore, qui il Card. Ladaria non stava dando una interpretazione personale:
https://www.vatican.va/roman_curia/congregations/cfaith/ladaria-ferrer/documents/rc_con_cfaith_doc_20180529_caratteredefinitivo-ordinatiosacerdotalis_it.html
In ogni caso non ho altro da aggiungere. La saluto cordialmente.
Certo che no. Ma la interpretazione risulta personale e perciò anziché risolvere le questioni, le complica. Sulla infallibilità nessuno può dire la parola ultima se non il papa. Prefetto e un semplice battezzato sono sullo stesso piano.
Mi permetto di commentare da semplice lettrice😁
Punto primo: pensate forse che Dio faccia distinzioni? Mi pare che guardi al cuore, no?
Punto secondo l’importanza, l’apparire, i ruoli, servono a noi, poveri mortali,
Punto terzo, la chiesa si poggia idealmente su Pietro e questo giustificherebbe il sacerdozio maschile. Così pare.Ma non è una interpretazione assoluta. Con il dovuto rispetto per i quasi 2000 anni di storia.
Punto quarto: ho sempre pensato che la chiesa fosse in cammino, che dovesse vivere nel presente, non lontana dalla realtà, dalla società. E la nostra epoca va veloce e sta affrontando cambiamenti impensati prima in tempi sorprendenti.
Non siamo più al tempo di Erode e nei secoli tutto è cambiato.
Punto quinto: a meno che non si abbia l’ardire di voler insegnare a Dio cosa fare😁 potrebbe pure essere che la chiesa del futuro, si aprirà al sacerdozio femminile, che si porrà domande sulla correttezza di certe decisioni ormai passate di secoli, che non interpretano più il sentire comune, o forse la Volontà di Dio?
Punto sesto: L’importanza femminile non si discute, basta leggere i Vangeli, senza preconcetti.
Punto settimo: Ho letto l’intervista e seguo con interesse Don Luigi Maria Epicoco, ma non ho interpretato le sue parole nel modo che lei intende. Ma son punti di vista.
Punto ottavo: senza scomodare Sante che son riconosciute come Dottori della Chiesa, che hanno dato un enorme contributo nei secoli, basta guardare alla quotidianità, che é fatta anche di vita cristiana vissuta e attiva, non solo intesa come attività meramente concreta, parlo di vita interiore e di vita spirituale, o pensiamo che il loro forse invisibile, ma determinante contributo sia nascosto agli occhi di Dio?
Concludo dicendo che se anche un prete affermasse che la donna ha un ruolo di secondo piano, per me il convincimento lascerebbe il tempo che trova. Problemi suoi. Forse manca di studio, vita interiore e conoscenza di quel Cristo i cui insegnamenti pretende di conoscere.