Ireneo riconosce la profezia femminile? (di Zeno Carra)


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Abbiamo letto alcuni giorni fa la notizia di un pubblico apprezzamento che il Card. Mueller ha rivolto con una lettera a papa Francesco per il riconoscimento di S. Ireneo come Dottore della Chiesa. La lettura dei padri, tuttavia, quando venga incasellata nelle categorie dogmatiche ad essi successive, può rendere tristi anche le cose più grandi. Se ci accostiamo ai testi del grande Ireneo possiamo scoprire che ci parla non solo dal passato, ma anche dal nostro futuro. In questo testo, uno dei più fini conoscitori di Ireneo ci mostra come possano parlare i suoi testi se non li facciamo diventare “martelli”, ma li lasciamo brillare come “lampade”. Lo ringrazio per questa raffinata e dotta lettura, che si collega indirettamente, ma autorevolmente, a ciò che ho scritto qualche giorno fa a proposito della evoluzione ecclesiale in materia di ministero femminile. Una evoluzione può essere fondata anche su testi del II secolo, purché non li sigilliamo nelle categorie elaborate, in modo legittimo ma non assoluto, 10, 5 o 2 secoli fa. (ag)

Ireneo ed il profetismo femminile

 di Zeno Carra

Nella discussione attuale sul ruolo della donna nella chiesa, qualcosa può dirci un autore del II secolo, da poco insignito del titolo di “Dottore della Chiesa”, Ireneo di Lione1.

Quando si interrogano gli scritti di autori così lontani da noi nel tempo, occorre avere alcune attenzioni:

  • leggerli facendo estrema attenzione ai particolari minuti del testo, a quelle cose che durante la lettura fanno un poco di “solletico” all’intelletto, ma in un modo talmente lieve che siamo tentati di passare oltre, concentrandoci sugli elementi macroscopici, quelli che colpiscono in modo più prepotente. Tanta ricchezza patristica invece si cela spesso nei dettagli…

  • leggerli non imponendo loro di dire già tutto e solo ciò che la teologia successiva ha ratificato come via principale (o spesso unica) del dogma cattolico. Di Ireneo, ad esempio, la manualistica riporta alcuni importanti apporti: la lotta alle eresie gnostiche; l’elaborazione dei concetti di tradizione e successione apostolica. Spesso però si rischia di far coincidere Ireneo con ciò che di lui tale recezione ha consacrato (ad es.: https://kath.net/news/77737) e non dargli parola sul molto altro che ha da dire.

Con queste due premesse di metodo possiamo lasciar parlare Ireneo in alcuni dettagli del suo scritto principale, l’adversus haereses, sulla nostra questione: il ruolo pubblico della donna nella chiesa.

 È un assunto classico della storia del cristianesimo antico che la crisi montanista tra II e III secolo abbia portato ad un contraccolpo non indifferente nella chiesa: il ruolo delle profetesse nel movimento frigio combattuto come eretico avrebbe introdotto nella grande chiesa una notevole diffidenza verso la profezia femminile pubblica tanto da neutralizzarla2.

Contro le profetesse viene chiamato in causa un passo paolino, 1 Cor. 14, 34-35 in cui l’apostolo proibisce alle donne di parlare in assemblea, relegando il loro diritto di parola dentro le mura domestiche. Nella stessa linea si associa anche 1 Tim. 2, 11-14 che impone alla donna il ruolo di discente, proibendole quello di docente.

Come esempio del ricorso a tale versetto paolino si può citare un frammento catenario di Origene3 in cui egli contraddice la pretesa di legittimità che i montanisti invocano per le loro profetesse Priscilla e Massimilla. Essi si appellano alla testimonianza di Atti 21, 9 sulle quattro figlie di Filippo dotate del dono della profezia. A ciò egli controbatte con la suddetta proibizione di 1 Cor. 14, 34, deducendone che le figlie di Filippo non possono certamente aver profetizzato nelle chiese! A suffragio di tale posizione egli passa in rassegna alcuni casi di profetesse veterotestamentarie cercando la corrispondenza delle testimonianze su di loro con il divieto paolino: per Origene, Debora, il giudice di Israele, ad esempio, non parlava pubblicamente al popolo, ma solo in privato a chi la consultava! Il divieto paolino alle donne di parlare in assemblea è dunque usato per negarne il profetismo pubblico.

Il ricorso alla censura paolina avrà una notevole storia degli effetti nella letteratura patristica4, estendendo la sua onda d’urto sino a tempi non lontani da noi (forse, per alcune latitudini ecclesiali, possiamo dire sino ad oggi…).

Ireneo, che scrive agli albori della questione, mentre del fatto montanista la grande chiesa comincia a discutere, vede le cose diversamente.

Anzitutto egli crede che, nei tempi inaugurati dalla Pasqua di Cristo, si adempia la profezia di Gioele 3,1-2, per la quale il Signore effonde il suo Spirito su ogni carne, e ciò suscita come profeti uomini e donne: “Ed ancora, dando ai discepoli la potestà della rigenerazione per Dio diceva loro: Andate ed ammaestrate tutte le genti, battezzandole nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito santo. Quest’ultimo infatti promise che tramite i profeti egli avrebbe effuso nei tempi ultimi sopra ai suoi servi e alle sue serve affinché profetizzino5.

Su questo fondamento egli ricorre all’apostolo Paolo: “Nella lettera ai Corinzi Paolo ha accuratamente parlato dei carismi profetici e conosce uomini e donne che profetizzano nella chiesa (in Ecclesia)6. Si noti l’operazione del Nostro: egli allude chiaramente al passo in cui l’Apostolo vieta alle donne di parlare pubblicamente nella chiesa – l’indicazione “in Ecclesia” è un esplicito riferimento ad 1 Cor. 14, 34 – ma ne fa uso per dire una situazione positiva: nella chiesa apostolica le donne profetizzavano pubblicamente. Non si limita cioè ad altri passi della stessa epistola che potrebbero fare meglio al caso suo (ad es. 1 Cor. 11, 5) attestando puramente l’esistenza di profetismo femminile, ma va dritto al punto e disattiva la portata della norma paolina utilizzandola come attestazione di una situazione esistente, non impugnandola contro di essa come gli altri autori indicati sopra.

Il contesto delle righe citate ci permette di comprendere meglio e di vedere come, con molta probabilità, questo uso di Paolo sia riferito alla controversia sul montanismo (e quindi sulla profezia femminile). Sta parlando del fatto che le sette eretiche rifiutano parti degli scritti canonici in base a ciò che dell’esperienza cristiana custodiscono rispetto al tutto. Ad certo punto egli parla di alcuni che rifiutano il vangelo di Giovanni nel senso che non vogliono credere alla promessa di Cristo sull’invio del Paraclito: “Altri poi, per frustrare il dono dello Spirito che negli ultimi tempi secondo il beneplacito del Padre è stato effuso sul genere umano, non ammettono quella dimensione attestata dal vangelo di Giovanni, per la quale il Signore ha promesso che avrebbe mandato il Paraclito, ma rigettano al contempo ed il Vangelo e lo Spirito profetico. Proprio tristi coloro che pretendono che esista la pseudoprofezia, e quindi scacciano la grazia profetica dalla Chiesa. Sono assimilabili a coloro che, per il fatto che alcuni si comportano da ipocriti, si astengono da qualsiasi relazione con i fratelli!7. Essi manifestano questa loro “eresia” (= selezione) respingendo il carisma profetico dalla chiesa: per il fatto che esiste chi lo millanta, essi stoltamente lo rifiutano tout court, privando così la chiesa di un suo elemento strutturale8. Anzi, aggiunge, costoro oltre alle promesse contenute in Giovanni, con questa chiusura mostrano di rifiutare anche l’apostolo Paolo che – e qui il passo succitato – nella sua lettera ai Corinzi attesta la profezia come carisma ecclesiale, ed attesta di profezia “in ecclesia” sia di uomini che di donne.

Essendo testimoniato da Eusebio di Cesarea che i confessori della chiesa di Lione intervennero presso papa Eleutero (175-198) nella questione montanista9, e che fu Ireneo il latore di tale lettera10; date le vicinanze teologiche tra l’impianto di Ireneo e certe istanze del movimento montanista e la prossimità geografica di origine (penisola anatolica), non è per nulla improbabile che Ireneo, pur non condividendo gli eccessi del montanismo, vedesse con sospetto la repressione delle sue giuste istanze11. Il passo in questione mostrerebbe dunque una nota di biasimo a coloro che, per combattere gli errori, perdono anche ciò che di buono per la chiesa l’errante vive, nella fattispecie la valorizzazione del carisma profetico12, e, in esso, il dato originario del profetismo femminile. Con l’acqua sporca si sta buttando anche il bambino!

Se questa ricostruzione storica, per quanto plausibile, non è apodittica (Ireneo non ci offre altri dettagli per confermarla), certo è comunque il cuore della questione di cui discutiamo: contro qualcuno che per combattere la pseudoprofezia combatte la vera profezia, egli difende il fatto che nella chiesa delle origini uomini e donne profetavano pubblicamente13.

A suffragio di questa lettura si possono addurre anche quei passi in cui è Ireneo a combattere una specifica pseudoprofezia: egli denunzia lo gnostico Marco detto il Mago in quanto illude le sue discepole – donne da lui sedotte e fuorviate – di infondere in loro il carisma profetico14. Ireneo, nel denunziare la falsità di questo fenomeno fa ricorso ad altri argomenti (che non esiste una profezia indotta a comando), ma non fa affatto leva sul sesso di coloro che sono falsamente indotte a profetare! Per il fatto che lui non ritiene il sesso femminile un impedimento alla profezia pubblica nella chiesa.

Sorge allora infine una domanda: come fa Ireneo, solitamente attento al tenore letterale dei testi biblici, ad aggirare il divieto paolino, utilizzandolo per affermare ciò che esso vieta? Perché nella sua ermeneutica biblica è conscio della molteplice funzione dei testi scritturistici: non ogni legge presente nel testo biblico va considerata legge naturale, ovvero iscritta nelle strutture portanti dell’uomo, ma taluni precetti sono emessi ad situationem, ed il vigore normativo dura fintantoché dura la congiuntura storica che le ha determinate15. Di questo statuto sono anche talune normative date dagli apostoli nel nuovo testamento16. Tra gli esempi che riporta non cita 1 Cor. 14, 34, ma nulla vieta di pensare che Ireneo ne disattivi la portata in quanto lo interpreta con questo criterio: una norma data storicamente dall’Apostolo in vista di una determinata situazione, non l’espressione apodittica del volto della chiesa.

Un piccolo insegnamento di contenuto e di metodo dalla lontana chiesa del secondo secolo, dalla penna di un autore la cui dottrina il papa ha riproposto all’attenzione della chiesa universale…

1 Cf già S. Parvis, Ireneaus, Women, and Tradition, in Irenaeus. Life, Scripture, Legacy, edd. P. Foster – S. Parvis, Fortress, Minneapolis 2012, 159-164.

2 Cf cf P. Champagne de Labriolle, La crise montaniste, Paris 1913, 175-182.551-555.

3 Cf Origene, Frammento catenario 74 dalle omelie su 1 Cor.: ed. C. Jenkins, Documents: Origen on I Corinthians, in Journal of Theological studies9-10 (1908).

4 Cf Dialogo di un montanista e di un ortodosso; Ambrosiaster, Commento alla 1 Tim. 3,11; Epifanio, Panarion 49; [Ps.?] Didimo il Cieco, Sulla Trinità 3,41,3: testi raccolti nel dossier di P. Champagne de Labriolle, Les sources de l’histoire du montanisme, Fribourg 1913,rispettivamente alle pagg. 105-108; 109-110; 139-141; 159-160. Cf anche Ambrosiaster, Commento alla 1 Cor. 14,34-35; Ambrogio, epistola 15,5; Giovanni Crisostomo, Sul sacerdozio 3,9.

5 Iren., haer. 3,17,1: SCh 211, 328-329, trad. mia.

6 Iren., haer. 3,11,9: SCh 211, 172, trad. mia.

7 Iren., haer. 3,11,9: SCh 211, 170-172, trad. mia. Sulle questioni testuali, e sulla traduzione cf SCh 210, 289; R. Polanco Fermandois, El concepto de profecía en la teología de san Ireneo, BAC, Madrid 1999, 354-357. A commento cf A. Orbe, Sobre los”Alogos”de San Ireneo (Adv. Haer.III,11,9), in Gregorianum 76 (1995), 47-68.

8 Sui carismi nella chiesa in Ireneo, cf haer. 2,32,4; 3,24,1; 4,20,6; 4,26,5.

9 Cf Eus., h.e. 5,3,4.

10 Cf ibid. 5,4,1-2.

11 Cf Labriolle, La crise montaniste, 230-242; F. Vernet, Irénée, in DTC vol. 7, Paris 1923, 2488-2489.

12 Cf anche Iren., dem. 99.

13 Cf, prima di lui, già Giustino, Dialogo con Trifone 88,1.

14 Cf Iren., haer. 1,13,1-4.

15 Cf Iren., haer. 4,4,2; 4,13,2ss: spec. 4,16,1-5.

16 Cf Iren., haer. 4,15,2.

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