IL MALE SENZA COLPA E LE INGIUSTIZIE DEGLI UOMINI


IL MALE SENZA COLPA E LE INGIUSTIZIE DEGLI UOMINImigrare-300x203

Ogni malato sente di vivere una ingiustizia. In ogni malattia grave sperimentiamo un disordine che non abbiamo causato e che per questo ci fa più male del peccato. Tuttavia l’episodio che voglio raccontare mi sembra metta in luce un altro tipo di responsabilità e un altro tipo di peccato, strettamente legato alla malattia e del quale dobbiamo politicamente denunciare la colpa.
Entro nella nuova camera del mio terzo trasferimento di ospedali e lo trovo sdraiato nel letto accanto al mio: un giovane ragazzo africano. Mi sistemano nel mio letto, organizzo minimamente il comodino e poi, quando la camera si svuota di infermieri, mi presento. Lui mi risponde con calma, con una calma quasi serafica. Dice che viene dalla Guinea e che non può camminare. Abbiamo dunque lo stesso problema, ma con radici ben diverse. Direttamente non gli chiedo nient’altro, però sono agevolato dalla continua apparizione di infermieri e medici che si occupano di lui: intanto capisco che il giorno dopo deve essere operato. Quando poi arrivano i due medici e chiedono a lui di firmare anche una liberatoria capisco meglio: lui non può camminare perché la schiena non lo regge più. Ha una tubercolosi ossea molto grave. Il giorno dopo, con un lungo intervento, gli metteranno una serie di perni lungo tutta la parte alta della colonna vertebrale, perché possa reggere il peso e permettere alle gambe di camminare.
Ma la parte più interessante, non strettamente medica, doveva ancora venire, perché i medici chiedono a lui come mai fosse arrivato a queste condizioni. E allora lui dice alcune cose davvero impressionanti: ha 24 anni, è in Italia da 8, e ha sempre raccolto, a nord o a sud, frutta e verdura nei campi. A quel che lui racconta, però, il problema non è stato tanto il lavoro duro, quanto il fatto che dormisse al bordo dei campi, quando non all’interno del campo stesso. Di notte, con gli sbalzi di temperatura, con la brina, con la rugiada, così, per lavorare a condizioni davvero disumane, si è ritrovato la schiena in quello stato.
Da un lato le malattie sono esperienze di un male senza colpa. D’altro canto ci sono malattie di cui portiamo tutta la responsabilità: prima di tutto grava su coloro che sfruttano questo lavoro senza garantire condizioni vivibili agli operai; in secondo luogo pesa sulle comunità, che conoscono bene queste dinamiche e tacciono; pesano poi sulla classe politica, che sa parlare contro i caporali solo quando ci sono almeno quattro o cinque morti di mezzo, e poi tollera queste forme disumane di sfruttamento, che parlano nel volto da bambino di questo figlio della Guinea. Oggi è stato operato. Gli hanno inciso quasi una croce nella schiena. Questa croce lo libererà per camminare, ma questa croce gli impedirà di tornare a fare quel lavoro.
Questo mondo che viviamo può infliggere croci di morte e poi avere luoghi capaci di donare croci di salvezza. È un paradosso, che dobbiamo affrontare in modo diverso. La domanda sulle origini del male resta aperta, ma in questi casi è evidente come l’interesse cieco di nazioni cosiddette “ricche” possa garantire il male di tanti figli di nazioni povere. Vi è qui una ingiustizia che grida al cielo e che dobbiamo ascoltare soprattutto quando non camminiamo per tutt’altro motivo, misterioso, sconosciuto, inafferrabile.

(Da me dettato e da Daniela trascritto)

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