Grazia


IV DOMENICA DI AVVENTO B

2Sam 7,1-5.8-12.14.16; Rm 16,25-27; Lc 1,26-38

 

Introduzione

Una quarta parola del vocabolario dell’Avvento che troviamo sul nostro cammino ci salva dal credere che i nostri sforzi per preparare una strada nel deserto, per raddrizzare sentieri tortuosi, per abbassare colli e monti, per colmare le valli, siano ciò che caratterizza e costituisce questo il senso di questo tempo dell’anno liturgico. Questa parola, che troviamo nel brano evangelico (Lc 1,26-38) dell’annuncio dell’angelo a Maria, è «grazia».

La prima lettura (2Sam 7,1-5.8-12.14.16) riporta il racconto dell’intenzione di Davide di costruire un tempio per il Signore e la conseguente risposta del profeta Nathan, che annunci al re la volontà di Dio di costruire a lui una casa, cioè una discendenza. Si tratta di un racconto che non va letto unicamente in riferimento alla discendenza davidica a cui Gesù appartiene, ma anche come evento nel quale si rivela l’agire gratuito di Dio: sarà il Signore a costruire una casa a Davide.

La seconda lettura (Rm 16,25-27) è costituita dalla dossologia finale della Lettera ai Romani. Paolo, dopo la lunga lettera nella quale annuncia «il suo vangelo», riconosce nella lode e nel ringraziamento, che chi farà crescere e fruttificare la sua parola sarà Dio stesso: «colui che ha il potere di confermarvi nel mio vangelo». Egli riconosce – e sarebbe un controsenso il contrario in una lettera tutta dedicata alla grazia – che la fedeltà al vangelo non è il frutto né dei suoi sforzi di apostolo, né del solo impegno dei destinatari della lettera, ma dell’azione di Dio. Anche in questa domenica la seconda lettura può avere la funzione di applicare alla vita dei credenti il mistero celebrato. Come è Dio che rende salda sul trono di Davide la sua discendenza, così è lui che può confermare in noi il vangelo che abbiamo ricevuto, perché porti frutto.

Commento

«Grazia» è un termine molto caro all’evangelista Luca. Egli lo usa abbondantemente sia nel suo Vangelo, sia negli Atti. La grazia indica il dono di Dio, che è sempre come la manna che il Signore diede come cibo al popolo che camminava nel deserto verso la terra della promessa. Essa si dissolve tra le mani di chi cerca di accumularla, di trattenerla e marcisce per chi la considera una garanzia automatica che non dipende ogni giorno da un atto libero e amoroso di colui che è realmente la fonte della vita.

Questo termine viene ad illuminare della sua ricchezza il nostro cammino di Avvento che ormai volge al termine. Giunti alle porte della celebrazione del mistero dell’incarnazione del Verbo e della sua manifestazione al mondo, troviamo questa parola che ci dispone a metterci in quell’atteggiamento di umile e grata accoglienza che nasce in chi sa che non avere nulla da dare ma tutto da ricevere come dono, gratuitamente. Si tratta di un termine prezioso per cogliere la dinamica fondamentale del rapporto tra Dio e il credente, nella spiritualità ebraico-cristiana.

L’apertura alla «grazia» è la disposizione di Maria che incontriamo nel racconto della annunciazione nel Vangelo di Luca. Ma prima ancora è ciò che risuona nel racconto che troviamo nel Secondo Libro di Samuele, quando Dio promette a Davide una casa, discendenza che rimarrà sempre salda sul suo trono. Il re Davide pensa di essere lui a dover costruire un tempio, una casa sontuosa per il suo Dio: «Vedi, io abito in una casa di cedro, mentre l’arca di Dio sta sotto i teli di una tenda» (2Sam 7,2). Anche il profeta Natan resta ammirato dai progetti del re, li crede progetti belli e grandi, ma la parola di Dio, in quella stessa notte, rivela al profeta che non sarà Davide a costruire una casa per Davide, ma Dio stesso costruirà per il re una casa (2Sam 7,11). È Dio che ha preso per mano Davide per costituirlo re del suo popolo; è lui che provvede alla sicurezza di Israele perché possa riposare sicuro nella sua terra; è lui che sconfigge i nemici di Israele e rende grande il nome di Davide; è lui che assicurerà un futuro per Israele, la sua vicinanza non cesserà ed egli assicurerà una discendenza a Davide e il suo trono sarà reso stabile per sempre. Dio così smaschera ogni pretesa umana e pone costantemente davanti agli occhi degli uomini una lunga storia nella quale lui si è dimostrato fedele nell’agire in favore del suo popolo. È un annuncio biblico fondamentale: colui che agisce per primo, non è il credente, ma Dio. Non siamo noi a fare qualcosa per Dio, a prestare a lui il nostro servizio, ma è lui che agisce in nostro favore.

Nell’annuncio dell’angelo a Maria si manifesta la medesima logica del rapporto di Dio con l’essere umano, così come lo abbiamo trovato nel Secondo Libro di Samuele. Maria è salutata dall’angelo come «ricolmata dalla grazia» (v.28), e subito dopo le viene detto di non temere perché ha trovato grazia presso Dio. È Dio che sta edificando nel Figlio una casa per il suo popolo e per l’umanità, un luogo per una comunione piena con lui. Tutto questo si compie in un modo che afferma in modo inequivocabile – una vergine/madre – che tutto è grazia! Dio è fedele alle sue promesse e una casa viene edificata non da mano d’uomo (At 7,48) ma da Dio stesso. È un annuncio impossibile: una nascita senza un rapporto tra un uomo e una donna. Proprio in questo evento «impossibile» si rivela la «grazia»: non siamo noi ad fare qualcosa per Dio, ma è Dio che fa qualcosa di meraviglioso per noi. Se Giovanni è l’uomo dell’Avvento, Maria è la donna dell’Avvento proprio perché ci mostra una completa disponibilità alla grazia.

Conclusione

Se ascolteremo l’annuncio della grazia che l’Avvento ci porta, giungeremo liberi e disponibili a celebrare la solennità del Natale senza presentarci davanti a Dio con le nostre mani piene, ma con un cuore capace di ascolto e di accoglienza della grazia di Dio che si manifesta in nel Messia Gesù. Proprio nella notte di Natale leggeremo la stupenda lettura tratta dalla lettera a Tito che interpreta il Natale, l’incarnazione del Verbo, proprio così, come manifestazione della grazia: «è apparsa la grazia di Dio, apportatrice di salvezza per tutti gli uomini, che ci insegna… a vivere con sobrietà, giustizia e pietà in questo mondo, nell’attesa della beata speranza…» (Tt 2, 11-14). La quarta parola dell’Avvento illumina di una luce nuova la nostra vigilanza (I domenica), rende vero e reale il termine vangelo (II domenica) perché tutto allora è in modo permanete bella notizia; dà senso alla testimonianza (III domenica) da ricevere e da portare e ci dispone ad un’umile accoglienza! È questo il percorso che il «vocabolario dell’Avvento» può suggerirci.

Matteo Ferrari, monaco di Camaldoli

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