Alla ricerca di un nuovo modello di sviluppo


La recente crisi economica e finanziaria ha minato in profondità i meccanismi economici che sono stati di riferimento nella società del dopoguerra. Il fatto che sia stata superata, in tutto o in parte, o che non lo sia ancora, non cambia la sostanza. I modelli del passato, basati sulla libera iniziativa e sulla concorrenza, hanno mostrato numerose lacune ed impongono un ripensamento.

Numerosi progressi sono stati fatti e importanti risultati sono stati raggiunti dal dopoguerra, in termini di un miglioramento delle condizioni di vita nei decenni scorsi, in molti paesi del mondo, va riconosciuto con fermezza. Tuttavia, sorgono molto interrogativi. Quello che è stato utile nel passato, non sembra più adatto a sostenere uno sviluppo equilibrato, diffuso e soprattutto duraturo. Gli squilibri sono sotto gli occhi di tutti.

Occorre innanzitutto riflettere sul concetto stesso di capitalismo, un sistema come noto che si fonda sulla libertà del singolo, sulla libera iniziativa privata, secondo cui la realizzazione del singolo contribuisce alla realizzazione della società tutta, alla quale egli appartiene. La concreta attuazione di questo che di per sé è un sano principio, tuttavia è andata ben oltre. La crescente concentrazione della ricchezza e del reddito, nonché il crescente numero degli esclusi lo stanno a dimostrare. I meccanismi spontanei del mercato – la mano invisibile – dovrebbero consentire agli operatori efficienti di rimanere sul mercato ed escludere gli altri. Purtroppo l’evidenza degli ultimi decenni sembra dimostrare che tale sistema non garantisce uno sviluppo equilibrato e non protegge dagli eccessi.

Il moderno sistema economico occidentale è fondato sul consumo, sulla produzione di beni e servizi, in parte essenziali, ma in gran parte superflui che creano enormi problemi di smaltimento e di inquinamento anche per il trasporto da e per ogni parte del mondo.

La stessa misurazione di quanto viene prodotto in un paese – il PIL – risulta inadeguata, poiché non considera il “lavoro nero”, la distruzione della ricchezza che può derivare da inefficienze, degrado, incuria o corruzione, ma nemmeno considera il contributo fornito dalle donne nel mondo per la cura della famiglia.

La costituzione di imprese sempre più grandi, globali, in tutti i settori, sulla spinta dei risparmi di costo (le cosiddette economie di scala e di scopo), ha cancellato le produzioni locali, minori, artigianali, eliminando non solo l’attività produttiva che svolgevano, ma la rete famigliare e sociale nella quale erano inserite.  L’eliminazione di tante piccole realtà locali artigianali a beneficio di una produzione standardizzata, sostenuta da un consumismo esasperato, ha portato prodotti in gran quantità, ma di minore qualità.

Il degrado dell’ambiente, sfruttato in maniera esagerata e deturpato, è frutto sia di uno sfruttamento esagerato sia dello spreco, ma anche del malaffare. Occorre riflettere sulla cura del bene comune, su ciò che è pubblico e quindi utile a tutti.

Si tratta di problematiche sotto gli occhi di tutti, da più parti ormai da tempo oggetto di analisi. Ma tanto evidenti, quanto difficili da superare. Molte sono le proposte e gli esempi che stanno emergendo in ogni parte nel mondo. Di alcuni già si ha notizia, ma molto resta da fare.

Un libro, piccolo ma intenso, che parte da questi interrogativi e cerca di proporre soluzioni “radicali”, non tecniche (in senso strettamente economico), è  “Idee eretiche – Trentatrè percorsi verso un’economia delle relazioni, della cura e del bene comune” di Roberto Mancini (Edizioni Altreconomia, 2010). Mancini non è un economista e non propone una nuova teoria economica o una linea politica. Osserva la realtà, cerca di capire gli eventi, e si interroga; ci interroga, piuttosto, sugli squilibri che vede, gravi ed urgenti, sui quali tutti siamo chiamati a riflettere.

Il testo non va letto per trovare risposte, piuttosto è un agile strumento per riflettere, per aprirsi ad un nuovo modo di valutare le variabili in gioco, da parte di tutti perché “pensare l’economia oggi è compito di tutti”, senza moralismi, sentimentalismi, ma anche senza cedimenti allo sconforto.

L’autore non propone nuovi strumenti ma un nuovo modo di vivere, più semplice, più essenziale, più vero, che consenta a tutti di poter partecipare, degnamente. Richiama innanzitutto la possibilità di pensare ad un modo diverso, cioè a non dare per scontato il sistema attuale, ma a credere prima di tutto che esso possa migliorare.

Le riflessioni di Mancini – che possono essere ulteriormente approfondite anche con vari altri contributi dell’autore disponibili in rete – possono aiutare a cogliere le storture attuali e a correggerle, prima di tutto dentro di noi, con grande beneficio di tutti.

Share