Agostino senza Agostino. L’uso disinvolto di citazioni errate, inesatte o fuori contesto
Da qualche tempo mi capita di notare che l’uso dei testi di Agostino deve essere sempre accuratamente controllato: non solo si leggono le sue parole fuori contesto, ma addirittura gli si attribuiscono testi che non mai scritto.
La cosa, a dire il vero, non è solo un vizio moderno. La forza della parola agostiniana lo ha reso una “autorità” così potente, sotto cui si potevano far passare idee non sue. Il caso più famoso è il trattato De vera et falsa poenitentia che è circolato come testo agostiniano per quasi 400 anni, prima che, Erasmo e Lutero, quasi contemporaneamente, ne rivelassero la inautencità.
Ma anche i contemporanei non scherzano. Tutto per me comincia da un breve video, nel quale mi sono imbattuto in TV, dove ho visto lo psicologo Crepet citare con enfasi una frase di Agostino così formulata: ““La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Lo sdegno per la realtà delle cose, il coraggio per cambiarle.”
Qualche tempo dopo, mi accorgo che addirittura il Presidente Meloni, nel passato, aveva citato la stessa frase, che campeggiava nel suo profilo FB. Se si curiosa su Google, si trovano moltissime ripetizioni della stessa frase, sempre attribuita ad Agostino. La frase, tuttavia, sembra pensata non nel mondo di Agostino e comunque non è mai accompagnata da citazioni. Decido di fare una ricerca. In tutta l’opera di Agostino ci sono solo alcuni passi in cui speranza e figli sono collegati, ma in nessuno appare la frase citata. Dunque ho la certezza: la frase non è di Agostino. Una alternativa possibile (almeno concettualmente) è che sia una frase di Pablo Neruda. Anche qui, tuttavia, manca la fonte. Non sono riuscito a trovarla. Forse si tratta di una frase anonima, che però si è cercato di rendere più autorevole attribuendola o a un grande retore e teologo antico, o a un bravo poeta del 900.
Un papa agostiniano
L’attenzione per Agostino nelle ultime settimane è molto aumentata, per il fatto che molto frequentemente il nuovo papa Leone, che è un “padre agostiniano”, cita frasi di Agostino. In questo caso non è certo in dubbio la autenticità della fonte. E tuttavia, essendo Agostino un autore prolifico e abbondante, già è accaduto che nei testi ufficiali dei discorsi papale fosse riportata una fonte diversa da quella autentica o più breve che nell’originale.
a) Il papato come servizio, ma anche come pericolo
Nel suo primo discorso, Papa Leone ha citato la famosa frase di Agostino, tratta dal Sermone 340, da lui scritto per l’ anniversario della sua stessa ordinazione. La frase citata è solo la prima proposizione, che è solo l’inizio di una tipica concatenazione agostinana, che si sviluppa in modo sorprendente:
«Vobis enim sum episcopus, vobiscum sum Christianus. Illud est nomen suscepti officii, hoc gratiae; illud periculi est, hoc salutis»
«Per voi infatti sono vescovo, con voi sono cristiano. Quel nome è segno dell’incarico ricevuto, questo della grazia; quello è occasione di pericolo, questo di salvezza.»
Essere “con voi e e “per voi” in Agostino è solo la premessa di una conseguenza sorprendente.
b) La citazione “a senso”, ma dal discorso sbagliato
Nel primo discorso che papa Leone ha tenuto ai giornalisti, ha proposto una bella citazione di Agostino sui “mala tempora”. Ecco il brano, come riportato dalla edizione ufficiale sul sito del Vaticano:
“Viviamo tempi difficili da percorrere e da raccontare, che rappresentano una sfida per tutti noi e che non dobbiamo fuggire. Al contrario, essi chiedono a ciascuno, nei nostri diversi ruoli e servizi, di non cedere mai alla mediocrità. La Chiesa deve accettare la sfida del tempo e, allo stesso modo, non possono esistere una comunicazione e un giornalismo fuori dal tempo e dalla storia. Come ci ricorda Sant’Agostino, che diceva: “Viviamo bene e i tempi saranno buoni” (cfr Discorso 311). Noi siamo i tempi».”
C’è ragione di dubitare di una citazione indicata esplicitamente? E’ sempre meglio controllare la fonte. La citazione indicata nel testo non è tratta dal Sermone 311, come dice la parentesi, ma dal Sermone 80.
Allego qui i due testi, che suonano in modo simile, ma non vi è dubbio che il testo citato non è il primo, ma il secondo:
Sermo 311
“8. … Molesta tempora, gravia tempora, misera tempora sunt. Vivite bene, et mutatis tempora vivendo bene: tempora mutatis, et non habetis unde murmuretis. Quid sunt enim tempora, fratres mei?”
Sermo 80
“8. … Mala tempora, laboriosa tempora, hoc dicunt homines. Bene vivamus, et bona sunt tempora. Nos sumus tempora: quales sumus, talia sunt tempora”.
Forse a facilitare l’equivoco ha concorso, oltre che la somiglianza testuale, anche il fatto di essere entrambi tratti dal par. 8, ma di discorsi diversi.
Il contesto rimosso, oltre Agostino
Resta poi una terza questione: anche quando la frase è di Agostino e viene citata dalla sua vera fonte, è evidente che una frase, estrapolata dal contesto, facilmente assume un significato diverso.
Come esempio di rimozione del contesto, vorrei citare una curiosità nella quale mi sono imbattuto per caso, qualche tempo fa: al di là della fonte, possiamo usare “frasi autorevoli”, che non hanno alcun bisogno di essere “attribuite” per esercitare la loro autorità. Non di rado, tuttavia, se leggiamo il loro contesto originale, scopriamo che non hanno affatto il significato che riteniamo “ovvio”.
Consideriamo una frase come: mens sana in corpore sano. La scoperta moderna di una correlazione strutturale tra benessere corporeo e benessere mentale-psicologico sembra espressa in latino con quella “brevitas” in cui il latino ha pochi rivali. Se però andiamo alla fonte della espressione restiamo senza parole. La fonte è una Satira di Giovenale, la n. X, che al versetto 356 dice: “Orandum est ut sit mens sana in corpore sano”. Non si tratta, in Giovenale, della constatazione di una relazione causale, ma la preghiera perché Dio conceda le due uniche cose che contano: una mente sana in un corpo sano. La decontestualizzazione del testo di Giovenale ne propizia una lettura addirittura capovolta.
Siccome Agostino è stato “ridotto a frasi memorabili” (come ad es. “ama e fa ciò che vuoi”) ha subìto, come pochi altri autori antichi, una sorte di radicale decontestualizzazione, che ne ha assicurato allo stesso tempo la fortuna e la incomprensione. Gran parte del sapere medievale e moderno è nato dai mattoni delle frasi degli antichi, ricostruiti in muri ed edifici di tutt’altra intenzione. Si potrebbe quasi stabilire una regola: quanto maggiore è la fortuna di una frase, tanto più forte è il rischio di non capirla. La sorprendente abilità di Agostino, nel costruire frasi perfettamente ritmate e sintetiche, ha alimentato questo “abuso di citazioni”.
Agostino o H. Arendt?
Un’ultima brevissima curiosità. Siccome Agostino si diffonde molto più per “citazioni altrui” che per lettura diretta dei suoi testi, nel caso in cui ci sia un errore di citazione da parte di un “testimone”, tutti finiscono per citare in modo sbagliato, perché non partono dall’originale, ma dalla citazione di seconda mano. La famossissima frase Initium ut esset, creatus est homo, che Arendt cita alla fine di Le origini del totalitarismo, è attribuita pressoché da tutti al cap. 20 del libro XII del De civitate Dei (come risulta anche nell’originale inglese). Al riscontro diretto sul cap. 20, tuttavia, è evidente che la frase non c’è. Si trova invece alla fine del cap. 21. Ma tutti usano Arendt come fonte agostiniana, non Agostino. Perciò tutti citano la frase come se venisse dal cap. 20, dove non si trova.
Quando si cerca la frase initium ut esset creatus est homo, in https://www.augustinus.it/latino/trinita/index2.htm la si trova alla fine del capitolo 20. Forse lo sbaglio viene da lì