Munera 1/2023 – Francesco Stoppa >> La fiducia nel passaggio di testimone tra genitore e figlio

Per quanto ci si possa scervellare sulla questione del dialogo – mancato o meno – tra le generazioni, alla fine il fattore decisivo, la scommessa in gioco, ha molto a che vedere con il grado di fiducia che gli adulti nutrono, e dimostrano di nutrire, nei confronti dei loro eventuali eredi (dico “eventuali”, perché non necessariamente gli uni concedono agli altri la dignità di eredi). Bisogna dire che la generazione adulta di oggi non sembra trovare grandi motivi per fidarsi dei giovani. Li giudica poco maturi, superficiali, viziati e spenti, poco interessati ai temi politici o sociali e più ai beni materiali, piuttosto inclini a contatti virtuali, ripiegati sul proprio io, insomma, ma allo stesso tempo incapaci di emanciparsi dalle figure genitoriali. Ovviamente, gli adulti in questione rimuovo- no il fatto di essere stati precisamente loro ad approntare per i propri figli un mondo blindato, a ingabbiarli nelle contorte dinamiche della coppia genitoriale, a proiettare in essi la propria immagine idealizzata e, non ultimo, a offrire loro quella realtà tanto stigmatizzata popolata da una serie infinita e cangiante di beni di consumo e ritrovati tecnologici.

Detto questo, non si può non rilevare un dato strutturale: in tutte le epoche la generazione adulta concede a quella che dovrà succederle una fiducia limitata e comunque mai scevra da punte di scetticismo. È la dimostrazione di come il dialogo fra le generazioni non abbia nulla di naturale e spontaneo: nel passaggio transgenerazionale si tratta, da un lato e dall’altro, dell’assunzione di un rischio e dell’attraversamento di un certo lutto, che si tratti di rinunciare ai privilegi della posi- zione infantile o più generalmente filiale oppure del concepire il proprio venir meno. Nel secondo caso, un genitore dovrebbe sapersi dare per sottrazione, e a questo proposito sarebbe bene avvicinarsi in termini meno retorici o superficiali di quanto oggi accade alle reali implicazioni di quella grammatica generativa che per Pierangelo Sequeri fa da motore alla sintassi della storia.

Generare significa mettersi al passo non tanto del proprio desiderio quanto di una vicenda che trascende la singola persona e che ha come suo obiettivo la continuità dell’esperienza umana. Non bisogna infatti dimenticare che l’atto preliminare e decisivo del generare, prima di significare per l’appunto un’espansione, una generosa e caritatevole fluorescenza di sé, significa esattamente il contrario. Generare è a tutti gli effetti il gesto fondativo di chi fa spazio al nuovo sapendo spostarsi dal centro della scena e operando una destituzione del proprio io, compiendo il lutto delle proprie aspettative che sono il più delle volte dettate dall’esigenza di perpetuare sé stessi nel figlio.

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