Scusarsi per la pianta e non scroccare il bus. L’etica pubblica di due amici


Scusi-Grandi

I libri e gli amici possono confondersi. Ho due amici che si occupano direttamente di filosofia morale e di teologia morale. Quando li incontro e quando li leggo – potrei dire meglio quando gli incontro nei libri e quando gli incontro fuori dai libri – sono sempre capaci di stupirmi. Così ho pensato, leggendo l’ultimo libro di Giovanni Grandi, Scusi per la pianta. Nove lezioni di etica pubblica (Torino, UTET, 2021). Tutto il libro ruota intorno ad un bigliettino su cui, questa estate, si è scatenato un interesse “virale”. Eccolo:

bigliettovirale

Questo “atto responsabile”, compiuto da un ragazzino, accende i motori delle 9 preziose lezioni. In cui, con stile pacato e acuto, Giovanni Grandi accompagna il lettore garbatamente nel mondo incantato e però arduo dell’etica pubblica. Fare i conti con il “male” di cui si è causa, resistendo alla tentazione di far pagare agli altri il male di cui si è stati vittima, è il difficile lavoro morale che spetta a ciascun cittadino. La lettura del testo è molto fluida e permette di scoprire le logiche più segrete con cui possiamo costruire una città responsabile. Il sottotitolo è fedele al contenuto: si tratta proprio di 9 brevi lezioni, rigorosamente concatenate, che partono dal bigliettino, ne analizzano l’impatto, esaminano le conseguenze del gesto e della sua recezione, nell’immediato e soprattutto nella “coda” del fenomeno, quando ormai tutti se lo sono dimenticato e possono tornare a far finta di niente. Così il piccolo episodio diventa, nel libro, esemplare del nostro tempo di pandemia e della tentazione ad accelerare per lasciarselo alle spalle, perdendo così la occasione di elaborare il male in positivo e farne emergere il bene comune ed anche il bene personale. Ma leggere questo bel libro mi ha riportato a 7 anni fa, quando ho vissuto, direttamente, un caso molto simile a quello da cui parte questo libro. Lo avevo già raccontato sul mio blog e ora lo ripropongo. Vorrei tanto che questo piccolo episodio, in cui ho sperimentato direttamente la forza di un “atto morale”, grazie alla azione sorprendente e “resistente” di un amico teologo morale alle prese con i bus di Roma, spingesse qualche lettore a leggere con tutta la attenzione il libro di Giovanni. E comunque ringrazio gli amici “moralisti” – filosofi e teologi – che illuminano le nostre vite, non solo con pensieri di profonda verità, ma ancor più con atti morali pieni di profezia. Una profezia di ventura, che ci fa bene.

Il biglietto del bus come “operetta morale”

(Già pubblicato su questo blog il 14 maggio 2014) 

Piccolo viaggio romano con amico moralmente resistente

 E’ una storia “normale”, che diventa singolare e sorprendente per l’esperienza media italiana. E’ una storia esemplare e curiosa, che non meriterebbe quasi attenzione, se non fossimo, ancora una volta, nel pieno di uno “scandalo” di corruzione.
Ma andiamo per ordine. Raccontiamo i fatti. Mi trovavo in una riunione a Roma, vicino a S. Maria in Trastevere. Le cose finiscono prima del previsto e quindi, con uno dei membri della Commissione di lavoro possiamo prendercela comoda e raggiungere la Stazione Termini con una passeggiata e poi con un bus. Così facciamo. Arriviamo fino a Largo Argentina a piedi e poi, da lì, aspettiamo il primo bus per guadagnare la stazione ferroviaria, dalla quale tornare alle nostre città. Lui a Firenze e io a Genova-Savona. Ma il bus che arriva sulla banchina è stracolmo di passeggeri. Così ci rassegniamo ad un viaggio nella scatola di sardine. Saliamo dalla porta centrale (è una infrazione, ma a Roma, dopo qualche giorno, non la si percepisce più così) e alla chiusura delle porte siamo “inscatolati” a dovere. Sorge subito nel mio amico il problema: come obliterare il biglietto? I margini di movimento sono nulli e le due obliteratrici, in testa e in coda, sono equidistanti ed equamente irraggiungibili. Leggo sul suo volto, per tutto il tragitto, il desiderio di raggiungere l’irraggiungibile e di compiere l’impossibile. Per lunghi minuti il mezzo compie le sue traiettorie nel traffico cittadino del tardo pomeriggio, con piccole discese e salite di clienti, che non modificano la “alta pressione” alla quale siamo sottoposti.
Finalmente arriviamo al piazzale davanti a Termini. Quando si aprono le porte, l’intera massa dei passeggeri si precipita fuori dal bus e noi due, che eravamo in posizione centrale, restiamo tra gli ultimi, mentre il mio amico inizia la sua performance più importante, dicendo: “Se non lo facessi, ora, come potrei continuare a insegnare teologia morale ai miei allievi?” Così con l’autobus fermo, vuoto, il motore spento, l’autista rilassato che consulta un libretto o forse firma qualche documento di viaggio, ecco che il mio amico morale estrae il suo biglietto, lo inserisce nella obliteratrice e “paga” il servizio ricevuto. E mi dice: “tu non sei obbligato, Andrea”. Ma come non seguirlo? E anch’io inserisco a mia volta il mio biglietto, la macchinetta lo registra, e scendiamo sul marciapiede.
Siamo sorridenti. E’ stata una cosa forte, ordinaria, ma indimenticabile. Un caso di “resistenza”, una piccola attestazione di senso del dovere. “Forse ci hanno fatto una foto?” dice ironicamente l’amico morale. “Bisognava farlo” aggiungo io, ma penso: “Solo grazie a te ho potuto farlo”. Il senso comune forse non capisce. Lo sguardo disincantato forse dubita o ironizza. Senza rigidità e senza giudizio verso comportamenti diversi e non incomprensibili, è stata per me una piccola operetta morale. Della quale ringrazio l’amico. Di cuore. Nell’Italia che ruba, che evade, che raccomanda, che chiede tangenti, che falsifica i rimborsi, esiste anche questo. Se Dio vuole, un gesto di libertà è sempre possibile.
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