La via del Concilio di papa Francesco, grande traduttore della tradizione cristiana


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Negli ultimi due decenni la Chiesa cattolica era stata tentate di andare “via dal Concilio Vaticano II”: con l’avvento di papa Francesco è stata riconfermata sulla “via del Concilio”.

All’inizio del V anno del suo Pontificato, Francesco papa appare come il grande traduttore del Concilio Vaticano II. Coloro che, in questo quadriennio si sono stupiti della forza e della profezia del suo pontificato – siano essi semplici battezzati o cardinali elettori – dovrebbero rileggere le parole con cui Jorge Mario Bergoglio intervenne nella Congregazione dei Cardinali del 9 marzo, 4 giorni prima della sua elezione. Lo schema del discorso è di una chiarezza cristallina. Contiene tutti i punti che in questi 4 anni abbiamo visto progressivamente attuati. Con tutta la “autocritica” e la esigenza di uscita, di liberazione dalla autoreferenzialità e di riscoperta della centralità della periferia. Già allora vi era il lucido presentimento che questa fosse l’unica vera soluzione per una ripresa di credibilità della Chiesa e su questa prospettiva Francesco ha ottenuto il consenso dei Cardinali.

Una immagine è forse la migliore sintesi: Cristo non è soltanto “fuori e bussa per entrare”, ma è anche “dentro e bussa per uscire”. La Chiesa deve liberarsi dalla autoreferenzialità e permettere a Cristo di uscire. Ecco il testo di 4 anni fa: il migliore augurio per un altro quadriennio indimenticabile.


INTERVENTO ALLA CONGREGAZIONE DEI CARDINALI – 9 marzo 2013
di Jorge Mario Bergoglio
Si è fatto riferimento all’evangelizzazione. È la ragion d’essere della Chiesa. “La dolce e confortante gioia di evangelizzare” (Paolo VI). È lo stesso Gesù Cristo che, da dentro, ci spinge.
1) Evangelizzare implica zelo apostolico. Evangelizzare presuppone nella Chiesa la “parresìa” di uscire da se stessa. La Chiesa è chiamata a uscire da se stessa e ad andare verso le periferie, non solo quelle geografiche, ma anche quelle esistenziali: quelle del mi­stero del peccato, del dolore, dell’ingiustizia, quelle dell’ignoranza e del­l’assenza di fede, quelle del pensiero, quelle di ogni forma di miseria.
2) Quando la Chiesa non esce da se stessa per evangelizzare diviene au­toreferenziale e allora si ammala (si pensi alla donna curva su se stessa del Vangelo). I mali che, nel trascorrere del tempo, affliggono le istitu­zioni ecclesiastiche hanno una radice nell’autoreferenzialità, in una sor­ta di narcisismo teologico. Nell’Apocalisse, Gesù dice che Lui sta sulla soglia e chiama. Evidentemente il testo si riferisce al fatto che Lui sta fuori dalla porta e bussa per en­trare… Però a volte penso che Gesù bussi da dentro, perché lo lasciamo uscire. La Chiesa autoreferenziale pretende di tenere Gesù Cristo dentro di sé e non lo lascia uscire.
3 ) La Chiesa, quando è autoreferenziale, senza rendersene conto, crede di avere luce propria; smette di essere il “mysterium lunae” e dà luogo a quel male così grave che è la mondanità spirituale (secondo De Lubac, il male peggiore in cui può incorrere la Chiesa): quel vivere per darsi glo­ria gli uni con gli altri. Semplificando, ci sono due immagini di Chiesa: la Chiesa evangeliz­zatrice che esce da se stessa; quella del “Dei Verbum religiose audiens et fidenter proclamans” [la Chiesa che religiosamen­te ascolta e fedelmente proclama la Parola di Dio - ndr], o la Chiesa mondana che vi­ve in sé, da sé, per sé. Questo deve illuminare i possibili cambiamenti e riforme da realizzare per la salvezza delle anime.
4) Pensando al prossimo Papa: un uomo che, attraverso la contempla­zione di Gesù Cristo e l’adorazione di Gesù Cristo, aiuti la Chiesa a uscire da se stessa verso le periferie esistenziali, che la aiuti a essere la madre feconda che vive “della dolce e confortante gioia dell’evangelizzare”.
Roma, 9 marzo 2013

Rileggendo questo testo ritroviamo la ispirazione originaria del pontificato e restiamo sorpresi per il fatto che 4 anni dopo, con tutto ciò che è accaduto in questi 4 anni, essa conserva intatta tutta la sua forza, la sua lucidità e la sua bellezza. Negli ultimi giorni Francesco ha accennato ad alcuni “temi” che diventeranno sicuramente terreni di azione per la Riforma della Chiesa del futuro: entrambi hanno a che fare con un “superamento della autoreferenzialità ecclesiale” che si nutre di nuove procedure per onorare la tradizione. La procedura di “ordinazione presbiterale”  – che potrà riguardare anche “viri probati” – e la procedura di “designazione episcopale” – che per individuare il Cardinal Vicario di Roma procederà a una radicale consultazione della Diocesi. A ciò deve essere unito anche lo “studio” intorno al diaconato femminile.

Tre segni che annunciano un altro quadriennio di riforme. A Francesco piace “camminare”: vuole una Chiesa che esca all’aria aperta e che non tema il confronto. Ma i processi, per essere riavviati, richiedono nuove procedure. Solo con procedure rinnovate la tradizione potrà essere onorata davvero. E nessuno deve avere paura di mutare le procedure: neppure i canonisti, che di procedure dovrebbero essere i più esperti.

La illusione che per tramandare la fede non si debba tradurre è superata. Il Concilio Vaticano II continua ad incidere a fondo, non viene sterilizzato. Su questo terreno celebriamo oggi i 4 anni compiuti e inauguriamo gli anni a venire di papa Francesco, grande traduttore.

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