La curia romana e la messa privata: un problema secolare
Le dichiarazioni contenute nella lettera del card. R. Sarah, a proposito della “messa individuale”, devono essere lette alla luce di una questione secolare. Da quando la Chiesa Romana si è data una burocrazia centralizzata, i soggetti di tale organizzazione burocratica centrale, almeno a partire dal medioevo e in modo ancora più accentuato dopo il Concilio di Trento, hanno iniziato ad assumere un ruolo di “corporazione” all’interno della Chiesa romana, plasmando in qualche modo la tradizione a partire dalla loro percezione particolare, e molto unilaterale, della vita ecclesiale. Per questo non è possibile comprendere le parole della lettera di Sarah se non mettendole in successione con le “forme di vita” che la Curia romana ha di fatto imposto ai propri membri, da molti secoli. Sia chiaro: vi è una pressione che l’ambiente esercita proprio per il fine istituzionale che persegue, e che incide direttamente sui vissuti dei soggetti che ne fanno parte. E’ la “forma di vita” a strutturare la comprensione e la pratica. Già a partire dal Medioevo si racconta, infatti, che la preghiera “secundum usum Romanae Curiae” si è imposta su tutti i chierici, di fatto creando quella forma del “breviario” che è diventato, per secoli, la forma ordinaria di preghiera di tutti i chierici. C’è da notare che questa forma era “alleggerita” nel carico di salmi e di preghiere, a causa del lavoro burocratico cui erano tenuti gli ufficiali di Curia. In modo simile la Curia Romana, con le sue forme di vita inevitabilmente burocratiche – ossia in ragione degli uffici da svolgere da parte dei suoi membri – ha profondamente segnato l’esperienza di celebrazione eucaristica, spesso riducendola a “messa privata” prima dell’inizio dei lavori di ufficio. Accade ancora oggi, infatti, che molti “ufficiali” – prima di iniziare la giornata di lavoro – accedano alla preghiera e alla messa in forma rigorosamente privata, senza comunità, senza popolo, da soli. Mi hanno raccontato che anche tra i più giovani membri della Curia Romana – ad esempio i numerosi giovani presbiteri che servono nella Congregazione dei Vescovi, per istruire le pratiche per le diverse Chiese nazionali – spesso vivano la loro esperienza di preghiera e di eucaristia in forma rigorosamente individuale, senza comunità e senza popolo. Devono contribuire alla scelta dei pastrori, ma non vivono per nulla una vita pastorale. Questo rappresenta un limite antropologico, pastorale, spirituale e teologico che segna profondamente la Curia Romana e che informa di sé, almeno potenzialmente, tutte le diverse Curie sparse per la Chiesa Universale. Non è un caso che uno dei risvolti più preoccupanti di questa tendenza sia stata l’idea – che la Curia Romana ha audacemente concepito e proposto – che si possa parlare di un “diritto di ogni presbitero a decidere liberamente con quale rito (NO o VO) celebrare la messa senza popolo”. Questo articolo, che sta all’inizio del MP Summorum Pontificum, è una sorta di premessa necessaria per capire le reazioni ai divieti di “messa individuale” imposti dalla Segreteria di Stato. Su questo punto, così delicato, ogni presbitero – leggi ogni ufficiale della Curia Romana – si è convinto di non dover rispondere a nessuno. E siamo pienamente all’interno di quella lettura, certamente più alta, ma sintonica, con cui della messa si parla, da 1300 anni, come di “ecclesiasticum officium”: questa è la distorsione di sguardo e di prospettiva che negli ultimi 100 anni si è caricata di una apologetica prima antimoderna e poi anticonciliare. Così una norma che nasce dall’ambiente particolare della Curia Romana – e che porta con sé tutte le caratteristiche antropologiche e ecclesiologiche che quel mondo inevitabilmente conosce e determina – rischia di interferire con la norma pastorale, spirituale e teologica che fa della “messa individuale” un caso estremo, raro e eccezionale, e che guarda invece come normale, salutare e benefico per il nutrimento spirituale e personale la messa celebrata e concelebrata con il popolo, intesa come “atto comunitario” e non come “atto individuale”. Non stupisce che R. Sarah, in quanto cardinale di Curia, si sia mosso sulla scia di altri tre cardinali di curia (Burke, Mueller, Brandmueller): la forza dell'”usum Romanae Curiae” supera ogni ragionevole teologia, spiritualità o antropologia. E può inventare gli argomenti più strani e strampalati pur di aver ragione, per custodire gelosamente quei privilegi che la pratica burocratica ha imposto agli “homines curiae”. Se Dio vuole, non tutta la Curia Romana corrisponde a queste idee estreme. Ci sono esempi ragguardevoli che si muovono in senso diverso e anche opposto. Ma le messe agli altari laterali di S. Pietro sono diventate, nei decenni, quasi dei “simboli” di affidabilità e di lealtà di curiali obbedienti. E questo è potuto avvenire nel silenzio generale, alimentando una sorta di “vita parallela” sul piano liturgico, che ha lasciato il segno. Ed è inevitabile che anche la Riforma Liturgica, letta dalla Curia Romana, appaia come un “apparato simbolico-rituale” sovrabbondante, non necessario, eventuale e accessorio, rispetto alla prassi normale per un ufficiale, che è fatta di atti individuali, in una lingua non più in uso, nei quali egli rischia di identificare non tanto il suo “mestiere curiale”, ma la sua “identità cristiana e ministeriale”. Per questo non è importante con quanta fragilità e ingenuità teologica si cerchi di difendere l’antico privilegio, ma il fatto di usare tutti gli argomenti a disposizione – anche quelli meno ragionevoli – pur di non uscire dal bozzolo. Fino a sostenere che sarebbe molto meglio che ogni ufficiale celebrasse una messa privata diversa, piuttosto che due o dieci curiali si incontrino e concelebrino insieme, per non “diminuire il dono di grazia” e così produrre un “danno incommensurabile”. Ma la grazia qui non c’entra. Qui è in gioco solo la libertà di restare come si è: piccoli o grandi principi, che “dicono messa” da soli, in latino, magari in VO, senza rispondere ad altri che a Dio. Nel cuore della Curia Romana, da secoli, la più alta obbedienza si sposa con la più radicale e indifferente anarchia. Far entrare lo spirito della Riforma Liturgica nella Curia Romana è la prima grande riforma della Curia, che riguarda la radice più delicata – ossia quella simbolica e rituale – di una diversa autocomprensione ecclesiale e pastorale, perché la piramide diventi realmente “capovolta”. Finché la piramide non si capovolge, la messa più pura, più intensa e più pia apparirà sempre e solo quella privata. E si troverà sempre un teologo spensierato, disposto a dimostrare che una messa privata può essere più pubblica e partecipata di una messa con folla di popolo. E così si potrà continuare a pensare di poter dormire tranquilli e in grazia di Dio, nella più grande delle 7 stanze del proprio appartamento di 300 metri quadrati: perché lo stile curiale, almeno ai suoi gradi più ragguardevoli, non è fatto solo di messa individuale.
Gent.mo dott. Grillo,
chi è lei per giudicare?
Sono fondamentalmente d’accordo col prof. Grillo: cresciamo tutti insieme. Ordinariamente cercare di celebrare e di vivere con la gente e non solo in un ufficio. Vale per tutti, in modo sensato anche per i teologi. Vi sono cambiamenti profondi verso cui orientarsi e che aiutano ad uscire da un intellettualismo che sta svuotando la società, portandola al crollo. Questo comporta molte cose: per esempio preferisco dialogare e riflettere insieme, tanto più che non di rado si propone il contrario, sull’argomento seguente: non sarebbe meglio che il vescovo fosse a capo di diocesi molto piccole, facesse più il parroco che il vescovo dal suo palazzo? Potendo condividere e comprendere tante cose impossibili o molto difficili a cogliersi a tavolino?
https://gpcentofanti.altervista.org/un-problema-centrale-la-scuola/
La questione posta in questo articolo si inserisce dunque nel decisivo a tutto campo, ecclesialmente e socialmente, tema del passaggio da una sinodalità di sola teoria, intellettualistica, ad una vissuta. https://gpcentofanti.altervista.org/alcune-domande-sulla-sinodalita/
Caro Centofanti,
credo che la questione sia molto semplice: stiamo diventando fervorosi e intolleranti atei cattolici. Mi permetta, glielo dico con il cuore, grazie anche alle elucubrazioni che lei propina.
Con i migliori auguri.
Guardi, di tutto possiamo parlare, ma affermare che il card. Zen, che ha rischiato più volte la vita per il Vangelo, viva nel lusso sfrenato e giustifichi con una messa privata uno stile di vita ipocrita, beh, ce ne vuole di coraggio… Poi, per carità, se vogliamo polemizzare a buon mercato, di quanti metri quadrati sono i suoi appartamenti dott. Grillo?
A Sua Eminenza
Card. Robert Sarah
Cara Eminenza,
Dolore ed indignazione invadono il mio cuore a sentire certe incredibili notizie: hanno proibito le messe private in S. Pietro!?
Se non fosse per le restrizioni imposte dal Coronavirus io prenderei il primo volo per venire a Roma e mettermi in ginocchio davanti alla porta di Santa Marta finché il Santo Padre faccia ritirare quell’editto.
Era la cosa che più fortificava la mia fede ogni volta che venivo a Roma: alle sette precise si entra in sagrestia (incontravo quasi sempre il sant’uomo, l’Arcivescovo e poi Cardinale Paolo Sardi), un giovane prete si fa avanti e mi aiuta a vestire i paramenti, poi mi portano ad un altare (in Basilica o nelle grotte non fa differenza per me, siamo nella Basilica di San Pietro!). Penso che sono state le messe che, in vita mia, ho celebrato con più fervore e commozione, qualche volta con le lacrime pregando per i nostri martiri viventi in Cina (ora abbandonati e spinti nel seno della chiesa scismatica dalla “Santa Sede” [così si presentava quel documento del giugno 2020 senza firme e senza la revisione della Congregazione per la Dottrina]).
È momento di ridimensionare lo strapotere della Segreteria di Stato. Via le mani sacrileghe dalla casa comune di tutti i fedeli del mondo! Si accontentino di giuocare la diplomazia mondana con il padre della menzogna. Facciano pure della Segreteria di Stato “un covo di ladri”, Ma lascino in pace il devoto popolo di Dio! “Era notte!” (Giovanni 13:30)
suo fratello
Giuseppe Zen, SDB
Così sono decisivi e molto più interessanti questi siti che si aprono al dialogo di altri che selezionano veline dall’alto. Vi è tutto un mondo da scoprire a cui certi siti di sistema sono totalmente impermeabili, svuotando tutti di vivi stimoli.
“Far entrare lo spirito della Riforma Liturgica nella Curia Romana è la prima grande riforma della Curia” Che obiettivo urgente e essenziale ! Grazie Professore.
Capisco bene il sentimento espresso dal cardinale Zen durante le sue celebrazioni eucaristiche in San Pietro e l’emozione di celebrare vicino alla tomba dell’Apostolo, ma penso che la stessa emozione potrebbe trovarla immergendosi in preghiera davanti al Santissimo nella cappella che credo sempre aperta per l’Adorazione.
Se poi gli capiterà di essere insieme a pellegrini in San Pietro potrà vivere insieme a
loro quella forte emozione che probabilmente anche semplici pellegrini desiderano tento condividere.
Ideologie conservatrici e progressiste ma in fondo ideologie considerano la riforma liturgica in modo riduttivo e distorcente. Vi sono problemi a monte di cui spesso si è ancora poco consapevoli.
Si veda su Giampaolo Centofanti blog “Problemi a monte non considerati”.
La Chiesa cattolica sta cambiando! Si sta andando verso un regime progressista in cui pratiche antiche e tradizione vengono ridicolizzate in nome di una riforma liturgica che si è rivelata un disastro!
Mi ci trovo sempre meno…..e sono sempre più a disagio! Ringrazio il card. Sarah per le sue puntualizzazioni che condivido al 100%!
Ringrazio comunque il prof. Grillo per porre le questioni in modo chiaro e senza fronzoli. Se però queste idee diventano prevalenti, virero’ verso la fraternità San Pio X! Buona Pasqua!
Caro Stefano, sono 60 anni che abbiamo bisogno di chiarezza. Le cose che ha scritto Sarah sono fuori da ogni logica del Concilio Vaticano II, che è stato un passaggio necessario e fruttuoso. La nostalgia per il pre-concilio è un abbaglio. Prima le cose erano molto peggio di quanto oggi non si possa idealisticamente pensare. Se si pensa di virare verso gli scismatici è perché non si comprende il senso stesso della chiesa e la sua missione nel mondo contemporaneo. D’altra parte, se si è d’accordo con Sarah al 100 per 100 non vedo altra strada. L’irrigidimento liturgico è nostalgia di una chiesa piramidale che può aver senso solo se viene capovolta. Chi ama la vecchia piramide è inevitabile che vada verso il Faraone.
In una chiesa liturgicamente plurale mi ci trovo, in una caserma progressista no! quando vedrò che non c’è più nulla da fare, seguirono suo consiglio!
Una chiesa liturgicamente plurale significa molte cose diverse. Se la pluralità è lacerazione interna, non ha alcun senso. Se mentre celebro la “mia messa di sempre” entro in polemica costante con la verità della Chiesa come piramide capovolta e cerco solo di alzare bastioni contro il mondo moderno, contro le donne, contro gli omosessuali, contro la sinistra, contro la televisione, contro le ferrovie ad alta velocità, contro i telefonini, contro il progresso, contro la fine del latino, allora può avere senso che Econe diventi il mio sogno e la mia consolazione. Ma la tradizione non è un museo degli orrori. Questo debbo ripeterlo, perché non ci si illuda.
Quello che non si capisce è perché la Messa individuale (più che “privata”) andrebbe contro il Concilio. Sarah cita il Concilio e Paolo VI per dimostrare il contrario. Semmai Sarah si oppone ad una certa lettura del Concilio, ma non a quello che il Vaticano II ha realmente detto.
Inoltre Lei enfatizza che i sacerdoti pregano da soli, senza popolo. Ma il Concilio e Paolo VI dicono il contrario: ogni Messa, anche quella celebrata dal solo sacerdote, è sempre atto di Cristo e della Chiesa. Non mi pare si possa definire solitudine, data la compagnia!
Infine, Lei enfatizza il fatto che è tutto questione di Curia Romana. Ciò Le fa buon gioco per sostenere la Sua posizione. Ma Sarah cita l’esempio dei sacerdoti, di ieri e di oggi, che vengono da tutto il mondo a celebrare a San Pietro. Innumerevole, tra essi, è il numero di santi.
Antonio Sannita
P.S. Sarei più rispettoso verso chi non la pensa come Lei. Non è detto che se un teologo sostiene posizioni simili a quelle di Sarah è uno “spensierato”. A Lei non piacerebbe essere definito così per le Sue idee. Dunque tratti gli altri come vorrebbe essere trattato.
Caro Antonio Sannita,
il rispetto verso chi non la pensa come me – e dire spensierato non mi pare mancanza di rispetto – si deve unire al rispetto per la verità. Le tre cose che lei afferma, e che anche alcuni pochi miei colleghi osano affermare, sono prive di fondamento. Se le scrive un normale cristiano ho il dovere di criticarle. Se le scrive un teologo, debbo immaginare che sia per lo meno “spensierato”, perché nessuno, che faccia per mestiere il teologo, può permettersi di camuffare le tradizione. La messa privata è stata una piaga, che ha attraversato i secoli, con l’assenso anche di grandi teologi. Ma nell’ultimi secolo tutti i grandi teologi hanno superato questa rappresentazione inadeguata e pericolosa. Sarah non è un teologo, e lo si vede da quello che scrive. Ma non posso escludere che il suo testo sia stato scritto da qualche teologo, che merita come minimo l’appellativo di “spensierato”. Ma bisognerebbe aggiungere irresponsabile e privo di scrupoli. La teologia non è un supermercato dove ognuno dice la sua, ma il resoconto di una tradizione che cammina e che non si lascia ricostruire come più di piace. Così, ogni giudizio superficiale sul Vaticano II, come quello espresso da lei all’inizio del suo commento, porta irrimediabilmente fuori strada. E io sono tenuto a dirglielo, in modo chiaro.Le citazioni del Vaticano II e di Paolo VI proposte da Sarah sono forme di incomprensione grave del primo come del secondo. Questo glielo dico sulla base non delle mie opinioni, ma del mio mestiere e ministero ecclesiale, che non mi permette di raccontare frottole, come invece permette a lei, che non ha alcuna responsabilità ecclesiale per quello che scrive. E fa parte del mestiere anche permettere ad un lettore di scrivere più liberamente, salvo essere corretto per le cose inesatte che ha scritto. Un cordiale saluto
Una realtà che non riguarda solo i “curiali romani”, ma tutto l’ordine presbiterale. Anche nella scorsa primavera, è risorto questo uso anche nelle case dei presbiteri. La questione è: “io posso, voi laici no”….
Caro Gianni, è vero. Un certo approccio alla messa è trasversale all’intera sfera clericale. Il caso del quale discutiamo, tuttavia, si radica precisamente nella “curia” – e in parte in tutte le curie – che è luogo nel quale questa tendenza “privatistica” arriva al parossismo anche per ragioni funzionali.
La libera, fin dalla scuola, formazione, la libera partecipazione, dunque le identità e lo scambio, sarebbero grandi occasioni di crescita. Il fermarsi alla sola identità o al solo scambio lascia negli ideologismi della ragione astratta. E infatti oggi si parla di democrazia, di sinodalità ma a patto che tutti la pensino come chi può decidere. Questo è un altro segnale molto significativo.
Gracias, prof. Grillo, por sus iluminadoras reflexiones. Como ha titulado su amigo, el prof. Augé, “la reforma litúrgica ha llegado a la basílica de San Pedro”. Por España decimos: “nunca es tarde si la dicha es buena”. Saludos, y gracias de nuevo.
Grazie a lei. Un caro saluto e un augurio per l’imminente Triduo Pasquale
Gesù è la Parola di Dio perché è l’ascolto di Dio e degli uomini, Figlio di Dio e Figlio dell’uomo. Certo che può venire il momento di qualche no ma egli tende ad accompagnare, a lasciar sviluppare i carismi. Com’è diverso crescere in una società della libera formazione e della libera condivisione, della reale partecipazione. E in una autentica sinodalità: l’autentica libera crescita e partecipazione fa maturare molte cose in modo autentico mentre il prevalere del più forte lascia ognuno chiuso nei suoi schemi. Sto scoprendo che per certi progressisti e per certi conservatori sinodalità è cosa buona a patto che la si pensi come loro. Sono le tipiche chiusure del razionalismo dalle quali identità e scambio tendono a far vissutamente uscire. Cercando sempre più il discernere del cuore divino e umano di Gesù che accompagma ciascuno, coglie mille sfumature che le squadrature dell’intellettualismo nemmeno intravedono…
Caro Prof. Grillo, lei porta la discussione su praterie estese che vanno oltre le mie preoccupazioni. Lei ragiona pensando di avere di fronte il prototipo che frequenta le messe more antiquo: misogeno, omofobo, fascista, sovranista (sempre che ciò corrisponda a verità), ma sta sbagliando completamente persona! Non voglio buttarla sul personale, ma io ho votato centrosinistra fino a 5 anni fa (poi quando con il mio voto a Bersani mi sono trovato Renzi che ha fatto politiche di destra peggiori di quelle mai fatte da Berlusconi ho deciso di prendermi una pausa di riflessione e non ho più votato, anche stufo di scegliere il meno peggio), non ho mai votato destra (anzi penso che le politiche di Salvini e Meloni sull’immigrazione siano incompatibili con l’insegnamento del Vangelo), ho tanti amici e amiche omosessuali e non mi pongo neppure il problema che lo siano, penso di avere il massimo rispetto per le donne, non sono contro l’alta velocità, i telefonini, ….sono ingegnere, non sono contro il progresso. Quindi, se lei la vuole buttare sulla politica e i diritti, non è con me che deve discutere! E guardi, io non sono neppure contro il Concilio Vaticano II, che apprezzo in tanti suoi aspetti. La mia preoccupazione è esclusivamente di carattere spirituale, in quanto mi è sempre più difficile pregare in queste liturgie squallide che vengono propinate nelle parrocchie: chitarre strimpellate, battiti di mani, pezzi di pane frantumanti e che girano sui piatti per la comunione, preti che modificano a piacimento le formule del messale. E, almeno dove risiedo io, non ci sono alternative: la domenica mattina la scelta è tra messe lette o messe schitarrate. Quando dico che la riforma liturgica è stata un disastro intendo questo….volo più basso di quanto fa Lei. Il concilio dice cose ben precise sull’uso del latino, dell’organo, del gregoriano….Lei le conosce meglio di me! Ma sono completamente disapplicate! Nella mia diocesi non vi è una chiesa dove si cantino le parti fisse in gregoriano (ormai neppure alle messe pontificali), per non parlare del proprio. E’ in questo contesto che mi sono avvicinato alla liturgia tradizionale (anche spinto dalla pandemia e quindi dalla necessità di ascoltare le messe on line) e mi sono reso conto della ricchezza spirituale del rito antico, se celebrato in maniera precisa seguendo alla lettera il messale (giustamente, come dice Lei e come raccontano i miei vecchi, non è una volta fossero rose e fiori…gli stessi abusi che si verificano oggi sul messale di Paolo VI venivano perpetrati anche su quello di Pio V….forse il fatto che la liturgia antica oggi sia poco diffusa è garanzia che almeno venga celebrata con decoro). L’uso del proprio gregoriano, la polifonia cinquecentesca sono perle che purtroppo la Chiesa ha buttato nella spazzatura! In tal senso le messe trasmesse da Parigi della Fraternità San Pio X sono per me momenti di grande spiritualità! La mia pluralità liturgica è nel senso che io, rispetto a Lei che vuole cancellare il motu proprio (e quindi ritornare al regime di indulto con il destino della liturgia tradizionale nelle mani dei vescovi…e quindi, a seconda delle idee del vescovo di turno, vieni privato della possibilità della messa more antiquo), non sono per rinnegare la riforma liturgica in toto, ma di consentire a tutti di potersi accostare alla forma liturgica che più è confacente alla propria spiritualità (quindi non caserma liturgica, ma massima apertura). Io non sono per abolire niente…..penso che, se certe messe scout (ne fanno parte i miei figli e quindi le conosco bene) sono lecite e magari adatte a certi contesti, possono benissimo starci le messe more antiquo (che sono state celebrate per centinaia di anni e hanno dato enormi frutti di fede e spiritualità….si legga quello che dice Enzo Bianchi della messa tradizionale.. https://www.monasterodibose.it/fondatore/articoli/articoli-su-riviste/6281-dalla-messa-tridentina-alla-riforma-liturgica-del-vaticano-ii) e, per tornare al tema del blog, le messe individuali! Lei mi dirà della divisione, del faraone, della piramide….personalmente ringrazio la Chiesa che nel tempo ci ha dato tanta ricchezza! Se voi teologi volete distruggerla, io mi opporrò con tutte le forze!
con stima
Ma se le cose sono come lei dice, e non posso dubitare che siano così, io capisco ancora meno. Perché decidere di abbracciare gli scismatici reazionari senza vedere che smentiscono sistematicamente e inevitabilmente ogni libertà dello spirito è una palese contraddizione. Non sono i teologi a voler distruggere, è la tradizione che ha bisogno di una cura diversa dalla custodia di un museo.
Aveva ragione il mio vecchio parroco quando diceva che i teologi ragionano “dai tetti in su” e raramente si preoccupano della realtà che va “dai tetti in giù”. Io ho posto una serie di problematiche concrete e mi si risponde con ragionamenti del tutto generali del tipo “gli scismatici reazionari.. smentiscono sistematicamente e inevitabilmente ogni libertà dello spirito”. Per me sono alcune derive della liturgia moderna che smentiscono la libertà dello spirito! La follia liturgica è stata quella di regalare ai “reazionari” il patrimonio storico musicale della Chiesa, il gregoriano, la polifonia, l’organo…..che, invece, viene custodito “nel museo” proprio dagli attuali vescovi: i paramenti e gli oggetti sacri nei musei diocesani, il gregoriano e la polifonia nei concerti e addirittura nelle stagioni musicali dei teatri. Non io, ma parecchie personalità del mondo musicale (non sospettabili di essere reazionari, ad es. Bepi de Marzi) hanno criticato la deriva musicale della chiesa attuale. In attesa che qualche vescovo si svegli e capisca, meno male che ci sono i “reazionari” (non necessariamente scismatici) che mantengono vivo tanto ben di Dio e ci consentono di apprezzarlo nel contesto per cui è stato concepito, ovvero la liturgia!
Infatti, accetto scommesse sul fatto che il motu proprio non verrà soppresso, in quanto questo papa “che non fa catenaccio” ha capito che i gruppi che seguono la liturgia tradizionale (scismatici a parte) costituiscono una ricchezza fondamentale per la Chiesa! E, giusto per fare contropiede, è andato a celebrare una messa “quasi privata” nella cappella del card. Becciu! Mettendo una pietra tombale a tutta la discussione del blog! Un caro saluto e grazie per il forum! Stefano
Lei prende gli episodi per principi e i principi per episodi. La musica, nella liturgia, deve essere bella, ma deve essere “canto comune”. Questo è il principio. Poi i grandi direttori d’orchestra o gli esperti possonos stracciarsi le vesti, ma il principio, ristabilito dal Vaticano II, e faticosamente in attuazione, è una vera tradizione rispetto ai “grandi repertori” che lasciano muta la assemblea. Altrettanto, e ancor più, vale per il VO rispetto al NO: il NO non serve a celebrare nelle cappelle private, ma ad alimentare il culto comunitario. Per questo il SP resta una contraddizione con la realtà che prima o poi dovremo responsabilmente superare. Solo così si sta dai tetti in giù. Con la testa fra le nuvole sono quelli che teatralizzano musica e liturgia.
Aggiungo un link di un volumetto in uscita dove presento in modo semplice ma spero non banale come si debba intendere la messa nel nuovo rito
https://www.goodbook.it/scheda-libro/andrea-grillo-daniela-conti/la-messa-in-30-parole-9788831553773-3438625.html
Un caro saluto
Piramide in sù, piramide in giù, guardiani della rivoluzione, che vedono in ogni oremus in latino un attentato alla grande intuizione del Concilio, ed ogni provvedimento giudicano in base a come loro lo reputano un passo indietro o in avanti sulla strada luminosa del sol dell’ avvenire concilare.
Io vedo che un povero prete di periferia come me, fino a ieri sapeva (anche se lo ha fatto in venti anni di sacerdozio sì e no cinque volte) che quando andava a Roma poteva celebrare a San Pietro e gli mettevano a disposizione paramenti puliti, un altare, un messale nelle maggiori lingue conosciute, e persino un chierichetto per accompagnarlo nell’ampia basilica, che è casa comune di TUTTI perché è la tomba dell’Apostolo Pietro e che ora non può più farlo.
Io credo che oltre a preoccuparsi della spiritualità più o meno individualista degli Ufficiali di Curia, che una concelebrazione obtorto collo non curerà, si doveva considerare maggiormente l’aspetto di Santuario della Basilica di San Pietro, che non a caso non è la cattedrale di Roma…e lasciare ai piccoli sacerdoti la possibilità di recarsi alla tomba di Pietro, magari senza la presenza fisica della comunità che quotidianamente accompagnano e con la quale celebrano l’eucarestia, ma certamente non senza le loro gioie, le speranze, i lutti e le angosce, ed offrire il sacrificio di Cristo con loro e per loro nel cuore e tornare al paese a consolare la sposa che desidera un bimbo, la madre accorata per il figlio malato dicendo di aver celebrato in san Pietro per loro.
Non so se questo sia conforme o contrario al Concilio, ma lo credo profondamente umano, cristiano, sacerdotale.
Caro lettore, lei pensa che sia ragionevole e umano ciò che è distorto e disumano. La tradizione è anche malata, purtroppo. E per curarla occorre anche decisione e dirittura. La qual cosa può anche spaventare. Ignorare le grandi riforme è e resta una colpa grave, quando si è preti.
Secondo Lei pregare per qualcuno è disumano?
Viva un po’ meno tra i libri, ascolti le confidenze ,visto che per ora non le hanno dato la facoltà di confessare, della gente e saprà che il cuore dei sacerdoti è pieno delle vicende del popolo, che gli chiede oltre che di pregare con loro, di pregare per loro.
Sarebbe importante capire. Pregare per gli altri è decisivo. Il problema sono le messe private dei preti. A S. Pietro come altrove.
Gentile lettore,
C è un livello di clericalismo che è talmente spudorato che non posso in alcun modo dargli voce. Scriva sui blog reazionari. Qui si fanno – o almeno si cerca di fare – discorsi seri. Mi dispiace.