Il papa bambino e il primo compleanno di Traditionis custodes


vestitinuovi

Domani sarà il primo anniversario di “Traditionis custodes”. Questo evento merita una riflessione un poco più ampia, anche alla luce del recente documento Desiderio Desideravi.

Dopo il sofisma di “Summorum Pontificum”, che aveva creato quasi “ex nihilo” la compresenza parallela di due forme rituali dello stesso rito romano, di cui una era la correzione dell’altra, si era creata nella Chiesa una condizione simile a quella della favola “I vestiti dell’imperatore”. Potevano vedere i nuovi vestiti rituali, doppi e intercambiabili, solo coloro che erano fedeli, ligi, affidabili. Gli “stupidi”, gli inaffidabili non vedevano alcuna possibile doppia forma e restavano assai perplessi. Così una serie di soggetti, molto al di là di coloro che erano interessati alla questione liturgica, ma per non perdere il  valore simbolico aggiunto e per non uscire dalle dinamiche di potere, erano diventati, fino al 2021, “estimatori fedeli” della “doppia forma”. Due casi su tutti: da un lato era diventata un “criterio di promozione all’episcopato”; se ti dichiaravi disponibile a “non ostacolare” la forma straordinaria e addirittura ti facevi cogliere nell’atto di celebrarla, salivi di molto nella considerazione. Dall’altro era diventata “criterio di formazione in seminario”, di cui parlerò più avanti. Ma in tutto questo polverone, che durava dal 2007, non si era affatto considerato che, come nella favola, poteva uscire dala folla un “papa bambino”, che avrebbe potuto sempre dire, sia pure con 14 anni di ritardo, “il parallelismo rituale è nudo e vuoto”! Ossia che una idea teologicamente infondata, ecclesiologicamente pericolosa e liturgicamente distruttiva. Oggi, grazie a Traditionis Custodes, possiamo godere della parrhesia assicurata da questo papa bambino.

Ancor più un anno dopo “Traditionis custodes”, quando da poco abbiamo anche un documento che ne è figlio (Desiderio Desideravi = DD) e che ne chiarisce il senso e permette di identificarne la portata in una dimensione molto più ampia di una semplice “questione liturgica”. Per questo il significato del testo di un anno fa può essere interpretato a tre livelli diversi, su cui vorrei brevemente soffermarmi:

a) Sul piano teologico: TC ripristina la “logica elementare” e “unica sana” della vigenza universale di un’unico rito romano, senza alcuna possibilità – se non eccezionale o personale – di vigenza parallela di una forma “precedente” del rito romano. La logica di questo parallelismo universale , che SP aveva preteso di rendere disponibile per tutta la chiesa, non ha alcun fondamento né teologico, né dottrinale, né disciplinare. E’ un pasticcio e una mistificazione che sorprende siano stati permessi proprio da un “papa teologo”. Il “papa pastore” appare qui molto più teologo del predecessore. Perché TC non tutela solo la liturgia, ma anche la ecclesiologia, le forme del ministero e della spiritualità, dove non si può mai assumere come principio che “ciò che è stato sacro per le generazioni precedenti, deve restarlo anche per le successive”. Questo non è un principio teologico, ma un problema di comprensione distorta della tradizione, che non è anzitutto un monumento da custodire, ma un giardino da coltivare. TC non è anzitutto un documento sulla liturgia, ma sul senso e sul concetto di “tradizione”, che è una cosa troppo seria perché sia lasciata nelle mani inesperte dei tradizionalisti.

b) Sul piano ecclesiologico: TC ripristina la unità della Chiesa sul piano del suo linguaggio più originario, quello simbolico e rituale. Era evidente, fin dal 2007, che pensare ad una Chiesa che può avere, parallelamente, persino nella stessa parrocchia, due diversi calendari, due diversi spazi, due diversi tempi e ministri e testi e gesti della celebrazione era una cosa folle. Forse il fatto più grave, a cui TC ha reagito con decisione, è stato lo scandalo pubblico di una formazione parallela, dei seminaristi, in molti seminari USA e anche nel North American College di Roma. Solo dei superiori che vogliano futuri preti privi di una chiara identità, possono aver immaginato di dare loro la formazione liturgica secondo la forma riformata e, nello stesso tempo, secondo la forma che il Concilio Vaticano II ha esplicitamente voluto riformare. L’unità della Chiesa si costruisce con un insegnamento e una pratica rituale unitaria, non contradditoria e spiritualmente non lacerante.

c) Sul piano liturgico: Il valore di TC, sul piano liturgico, oggi è più chiaro grazie al recentissimo DD. Il recupero del grande valore del Movimento Liturgico (non di Nuovi Movimenti Liturgici reazionari) e della Riforma Liturgica (non di meschine Riforme della Riforma) riporta al centro le due istanze fondamentali chieste dal Vaticano II: il recupero della azione liturgica come azione di “tutta la comunità sacerdotale” esige un passaggio coraggioso e vero dall’atto di “riforma” all’atto di “formazione”. La ripresa di alcuni testi di R. Guardini, centrali in DD, chiarisce che questo non è solo il pensiero del Concilio o dei riformatori, ma dell’intero XX secolo. Si tratta di liberare le energie vere del linguaggio rituale (verbale e non verbale) come culmen et fons di tutta la azione della Chiesa. Questo oggi accade non più anzitutto in latino e in un rito dei soli preti e non della assemblea, ma in moltissime lingue, in numerose e diverse assemblee, le cui culture sono entrate, da 60 anni, nel patrimonio comune della grande tradizione ecclesiale. Una Chiesa che vuole “custodire la tradizione” non deve avere paura delle culture diverse con cui oggi possiamo fare esperienza della fede ed esprimere il nostro credo. Questo “tavolo comune”, che è possibile solo con la fine di SP, potrà permettere di valutare i limiti di ciò che fino ad oggi si è fatto e assumere con coraggio il cammino da compiere sul piano dei linguaggi verbali e non verbali. Un grande cantiere potrà aprirsi: perché la tradizione si custodisce camminando avanti, non arretrando.

Un bambino che dice “il re è nudo” e un papa bambino che dice “c’è una sola forma rituale universale nella Chiesa cattolica” sono due figure della “parrhesia” che libera lo Spirito alla sua azione nella storia. Chi è stato illuso non deve dire: “mi sento respinto dal papa”. Dica piuttosto, sono stato illuso di poter essere cattolico senza dover accettare la evoluzione e la riforma della mia Chiesa degli ultimi 60 anni, a partire dal Vaticano II. Questa è la illusione da cui liberarsi una volta per tutte. Un papa bambino, che parla al momento giusto, è un custode della tradizione più efficace di Massimi  e Sommi Pontefici.

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