Un teologo e il giornale della sua diocesi. Una domanda a “Verona Fedele”


Come ho già scritto una settimana fa (qui), è del tutto normale che, su questioni ecclesiali dibattute, si possa essere di pareri diversi. La Chiesa ha una dottrina con alcune affermazioni indiscutibili, su tutto il resto, col dovuto rispetto, si può e si deve parlare. Negli ultimi tempi, avendo io scritto sia sulla teologia eucaristica attribuita al beato Carlo Acutis, sia su questioni legate più in generale alla teologia del Corpo di Cristo, ho ricevuto apprezzamenti e critiche, come sempre accade. Soprattutto sul tema della teologia eucaristica di Carlo Acutis molti siti tradizionalistici, come anche qualche giornale (come Il Foglio) o rivista (come Il Timone) sono passate dai testi alla persona, non discutendo le affermazioni, bensì ricostruendole a piacere per insultare la persona e arrivando, in molti casi, a chiedere che non mi sia permesso di insegnare. Sulla base di letture distorte e grossolane dei testi, si passava alla richiesta di sanzioni direttamente professionali. Quello che non mi sarei mai aspettato è che un giornale diocesano, come “Verona fedele”, che da alcuni mesi è anche il giornale della mia diocesi, e che non mi sembra affatto un giornale tradizionalista, potesse usare gli stessi toni e sollevare le medesime assurde richieste. Per questo, dopo aver letto il testo di Bruno Fasani, ho scritto immediatamente una lettera di protesta al direttore Luca Passarini, per chiedere ragione di questo comportamente scorretto sia dal punto di vista giornalistico, sia dal punto di vista ecclesiale.

Il direttore, con una gentile comunicazione per mail, mi ha risposto chiedendomi scusa e promettendo di pubblicare la mia risposta e di affrontare seriamente la questione.

La settimana successiva, ossia l’altro ieri, ho letto il lungo intervento del Direttore, ho apprezzato le citazioni con cui ha dato la parola da due giovani teologi veronesi, per contestualizzare al meglio le questioni dibattute. Sono rimasto invece molto deluso per un fatto non secondario. Nel ricostruire la vicenda, il direttore, parlando di me, dice che il mio stile è “pungente” (e non ho difficoltà a riconoscerlo), mentre parlando di Bruno Fasani, dice semplicemente che ha voluto difendere i dogmi eucaristici. Il Direttore dice di aver scelto questa via “irenica” per mettere fine alla polemica. Ma in questo modo non si pacificano le cose: occorre dire, esplicitamnte e senza giri di parole, che la polemica è nata per un intervento di accusa ai miei testi da parte di Bruno Fasani, mentre di Bruno Fasani si dicono nel testo solo cose positive, riferendo solo “come mie opinioni” gli aspetti critici di quel testo e tacendo ogni scusa nei miei confronti. In privato il Direttore si è scusato, ma in pubblico non lo ha fatto: perché per farlo avrebbe dovuto ammettere pubblicamente che il testo di Fasani era infondato sul piano dell’oggetto e ingiurioso sul piano del soggetto.

Non prendere pubblicamente posizione su un articolo pieno di insulti personali è un fatto grave. I lettori di “Verona fedele” meritano di conoscere la verità delle parole e la identità delle persone. In tutto questo non ci si può aspettare il silenzio di chi è stato travisato nei contenuti e insultato nella persona. Questa non è solo una questione personale, ma un modo di fare e di concepire la teologia e la chiesa. Il teologo usa le parole e di questo fa il suo mestiere. Un teologo che tace, salvo rari casi, sfugge alla sua responsabilità. Sul caso Acutis e sulla teologia eucaristica spesso ho sentito colleghi dirmi “è meglio tacere”. No, io penso che sia meglio scrivere, dire, sollevare questioni, mostrare opportunità migliori. Per questo io non taccio, e lo faccio non per carattere, ma per ministero. Se non sono convinto, non posso e non debbo tacere. D’altra parte la chiesa è una comunione di amore, nella quale vale la regola della parresia, non la logica della omertà. Chi vuole discutere e contestare, deve farlo con argomenti più forti, senza mettere di mezzo le persone e il loro ministero: io non mi permetterei mai di pensare che un prete, che fa il giornalista, e sbaglia gravemente un articolo, non sia degno di svolgere il suo ministero. Vorrei solo pregare il Direttore di impedire che sul suo giornale un prete che fa il giornalista, senza aver adeguatamente compreso i testi e senza aver umanamente rispettato la persona, si permetta di esprimere giudizi personali, gravi dottrinalmente e pesanti professionalmente, su chi esercita un ministero di insegnamento e di ricerca. Questi due principi, a mio parere, possono mettere tutti d’accordo: essere attenti ai testi e rispettosi delle persone. Se ristabiliamo questo punto e chiariamo bene la dignità dei testi e delle persone, possiamo davvero discutere e uscire dalle polemiche. Non pretendo che tutti siano d’accordo con me, ovviamente. Ma pretendo che la discussione sia oggettiva e senza insulti. Con questa chiarezza, io continuerò a parlare, ma almeno sul giornale della mia diocesi potrò aspettarmi critiche motivate nel rispetto, non illazioni confuse sulle parole e richieste pretestuose di licenziamento. Almeno su questo, mi piacerebbe poter confidare.

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